zioni millimetriche, nell'ambito del capitolo e del racconto, di un personaggio, di uno scorcio psicologico, di uno stato d'animo. Così nei 28 racconti (Mondadori, traduzione di Bruno Oddera) curati da Malcolm Cowley, il quale, oltre ad una premessa iniziale, ha brevemente documentato il senso cronologico e biografico delle quattro parti in cui si articola la raccolta. Ma, al di là di queste indubbie suggestioni temporali che tratteggiano ancor più miticamente la figura dello scrittore a scapito spesso dei valori intrinseci della sua opera, bisogna tener conto che « nella vittoria .e nella sconfitta Fitzgerald conservò una qualità che pochi scrittori riescono ad acquisire: la sensazione di vivere nella storia ». È questo il nocciolo essenziale dell'identificazione dell'autore con i personaggi dei suoi libri: un metodico abbinamento, profilo su profilo, delle figure di Scott, di Zelda e dei loro amici dissolve quell'ala leggera di incanto che deriva da un mirabile impressionismo verbale, raggiunta spesso all'improvviso con tocchi sapienti, bellissimi. Insomma, oltre il realismo minuto del riscontrabile contorno di ogni protagonista, c'è il mondo di un'epoca che scorre sui binari dell'amore, del denaro, della bellezza ei della gioventù. Gli eroi antieroici di Scott sono tutti giovani, belli e dannati, sfiorati da quel1'aria drammatica d'irrimediabile disastro ... il disastro di non poter andare un punto di più alla ricerca monomaniaca della felicità. Si agita in queste pagine il fremito di un romantico cupio dissolvi aggiornato sui ritmi del jazz ed annegato nel whisky: avrà il suo peso sulla generazione successiva. Trent'anni dopo, in un libro recente, la figlia di uno della generazione perduta dirà: « credevano di aver già provato tutto quelli della generazione perduta, tutti quelli che non pensavano a nulla. Si credevano perduti. Erano pazzi. Non erano perduti. Stavano perdendo noi: ecco1cosa stavano facendo. Non si sono perduti. Ci hanno perduto ». La misura di questi racconti - una esigua parte dei centosessanta che scrisse Scott - in taluni è felicissima e ~o scorrimento obbligato nei metri e nei motivi fitzgeraldiani mai induce alla noia. C'è una modernità psicologica, una bravura nel comporre dialoghi, che si ritrovano intatte e trasportate, di peso nelle schiere sempre più folte degli imitatori odierni, da noi, in Italia, già proliferanti: si è detto, con ragione, che fra i maestri dei nostri giovani scrittori c'è Fitzgerald. Ed è un pur ristretto riconoscimento d'attualità che conforta la giustezza dell'affermazione essere Fitzgerald non soltanto un esempio o un archetipo della stagione in cui visse, ma rappresentare « in ultima analisi, lo spirito umano in una deMe sue forme definitive ... la lotta contro la sconfitta ... il genere di ben definito trionfo cui egli pervenne grazie a tale lotta ». Una lotta straziante che richiama, come prismatico risultato, la maturità sia pure monca e frammentaria di « Ultimi fuochi » (il romanzo postumo interrotto all'inizio del sesto capitolo perchè il 21 dicembre 1940, ad Hollywood, un attacco di cuore concluse, a 44 anni, quel disperato periodo di umiliazione in cui « erano sempre le tre del mattino ... fra una paralisi ed una bottiglia di whisky»). Scott rivela una coscienza e delle strutture, anche fra imprecisioni e sforzi, che i detrattori gli avevano sempre rimproverato di non avere, accusandolo superficialmente d'essersi perduto dietro i sogni fragili dei ricchi. Ma Scott sapeva che _la realtà del denaro alla quale si afferrava con la ferocia della sua purezza (una purezza di estrazione etnica 127 · Biblioteca Gino Bianco
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