sta incalzando quello dei roaring twenties, del periodo cioè che va all'incirca dal 1919 - il primo dopoguerra - alla grande -crisi del 1929: l'epoca del proibizionismo, delle flappers eredi del suffragismo che invocano l'emancipazione al suono del charleston. « :È il decennio di tutte le proteste e di tutte le rivolte, delle utopie più ottimistiche e delle ·delusioni più •spietate ». Oggi che il mito suscita in Italia il riconoscimento di queste analogie con il clima degli anni venPi ( e sarebbe interessante annotare se vi è o vi è stato un periodo della nostra letteratura che abbia modelli in quel clima) si diffonde con la prosp·ettiva del tempo trascorso - com·e in America si rivaluta - l'opera di Francis Scott Fitzgerald, il poeta dell'età del jazz. In un certo senso si può affermare che il primo libro del ventitreenne Fitzgerald, Di qua dal Paradiso (1920), rappresentò per gli americani quello che da noi - con le dovute diversità - fu Gli Indifferenti di Moravia: percorsero entrambi, interpretandola, un'epoca. Dopo una disarmante collezione di centoventidue rifiuti, il manoscritto, più volte rielaborato, fu pubblicato da Scribner. Il successo giunse immediato, sfolgorante. Scott realizzò l'aspirazione alla ricchezza, sposò Zelda Sayre (]a sua altra parte, la donna di cui s'innamoravano, idoleggiata nei suoi libri co~ una insistenza patetica, morta nell'incendio del sanatorio che l'ospitava, otto anni dopo la fine del marito), avviò quella bruciante esistenza dove la vita s'identificava alla letterah.rra in una sorta di scambievole mimesi compiaciuta e cosciente, agitata dalle folli mani di quegli anni in un convulso diagramma. Di qua dal Paradiso fu il brevi'ario dei giovani contro i feticci vittoriani, fu il coD:senso totale perchè, non rifiutando l'impianto· tradizionale del roman~o, awertiva l'esigenza di uno stile rinnovato e la novità dei contenuti: il mondo del dopoguerra - un certo intoccabile mondo di incantevoli e sventate debs e di sofisticati universitari di Y ale e Princeton - visto senza veli. Qualche tempo prima, quasi presentendo il successo, Fitzgerald aveva confessato all'amico e critico Edmund Wilson, la temuta cc coscienza intellettuale » del suo mestiere di scrittore: « So che se Scribner lo accetta mi sveglierò una mattina per accorgermi che le debuttanti mi hanno reso famoso durante la notte. Credo proprio che nessun altro avrebbe potuto scrivere con tanta penetrazione la storia della giovinezza della nostra generazione » ••• La generazione che era stata cc scagliata nel ventre oscuro della violenza » creando una irrimediabile frattura con· quella precedente. Quei giovani avevano trovato « tutti gli dei morti, tutte le guerre già combattute, tutta la fiducia negli uomini scossa»: erano i figli della politica di Harding e Coodlige. Fitzgerald, il fanciullo d'oro del dopoguerra, « stava attraversando quegli anni come un bimbo ». E di quella generazione, se Hemingway ne registrò · la scomparsa dell'anima, Scott fu il poeta ed il re; e la vittima, perchè non ebbe l'ar1natura di cinismo dei suoi contemporanei. Ad essi, che dopo Tenera è la notte (1934: il romanzo del disfacimento) gli voltarono le spalle facen- .clone un esule deluso e disperato nella waste land d'i Hollywood, Scott aveva dato tutto « in un'orgia di affetto » ed alla fine « viene distrutto dal dono continuo di se stesso » ••. un darsi infinito ... l'estroversione sublimata e clamorosa ... un ego tanto grande da contenere il mondo. In tutto quanto scrive c'è una continua parafrasi autobiografica che certa critica esaspera con estra126 Biblioteca Gino Bianco
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