del porto. La abolizione della legge che vietava le costruzioni fuori le mura (rinnovando la più antica prammatica di Pedro di Toledo del 1566), avvenuta nel 1718, ebbe effetti di particolare rilievo sotto il regno di Carlo I Borbone: l'equilibrio fra città murata e campagna fuori le mura, che durava ormai da secoli nella contrapposizione di zone fortificate e sicure a borghi esterni alla cinta muraria, e in costante pericolo, venne così infranto, onde da questi primi decenni del Settecento in poi, Napoli cesserà di ripiegarsi continuamente su se stessa, e, decompressa per le nuove vie aperte o per i prolungamenti di quelle esistenti, si espanderà sempre più, allargandosi ai piedi delle colline e risalendo lungo alcune dorsali. Ciò avverrà - com'è noto - con rapidità notevole per quei tempi, anche se l'espansione periferica sulle nuove direttrici avrà carattere sempre estensivo ed umanamente accettabile: ed in questo sembra consistere la maggiore differenza con l'urbanesimo successivo, dalla seconda metà dell'Ottocento ad oggi, allorchè assai più sensibile diventerà la densità umana, fino a giungere alla attuale negazione della possibilità di una armonica convivenza. Ma il Canova a Napoli ha la possibilità di vedere anche altre opere edilizie, dovute a Ferdinando IV che prosegue la politica paterna: oltre al forte di Vigliena (1766), e alla smisurata fabbrica dei Granili (1799), entrambi all'esterno del nucleo abitato, la più importante opera di questi anni, nell' ambito urbano, è evidentemente rappresentata dalla villa reale, detta Les Tuilie .. ries, disegnata da Carlo Vanvitelli al margine della spiaggia di Chiaia; essa era destinata a divenire il principale giardino pubblico della città, ed elemento peculiare della sua conformazione paesistica. E ancora al regno del secondo Borbone si devono il teatro del Fondo (1778) e la nuova sistemazione della piazza del Mercato (1780), a dimostrazione, insieme con le altre opere pubbliche già citate, del risveglio edilizio e della rinnovata vitalità di Napoli sul finire del Settecento. Canova, con l'aiuto di una buona guida e di una mappa della città, desidera vedere tutto quanto ha interesse d'arte e di storia, animato da giovanile entusiasmo e da profondo amore: la città è per lui « veramente situata in una delle più amene situazioni del mondo » (p. 71), egli scrive, anticipando l' entusiastico giudizio che Goethe darà sette anni più tardi; e ugualmente si entusiasma dell'ambiente di Toledo, una strada eh' egli definisce cc bellissima ». Così vediamo il giovane artista visitare tutte l~ più celebri fabbriche della città: da S. Chiara, alla chiesa dello Spirito Santo, a S. Domenico Maggiore, a S. Paolo, al palazzo Carafa di Maddaloni, al Duomo, ai Gerolomini, a S. Martino; e se delle sue intense giornate egli ci dà descrizioni forse troppo sintetiche, dobbiamo tuttavia notare che, di fronte alle singole opere d'arte, egli esprime giudizi pieni di significato nell'anticonformismo che gli è proprio, dimostr~ndo di saper superare quell'accademica freddezza di cui talora è stato accusato. Di fronte alla chiesa di S. Paolo Maggiore, che due secoli prima, un altro grande veneto, Andrea Palladio, aveva disegnato, visitando Napoli, il Canova giunge a notare che i due busti dei Dioscuri, frammenti superstiti dell'antico tempio romano, insieme con le due colonne di facciata, risultano male collocati perchè poco visibili, e andrebbero meglio disposti (p. 74). 123 Biblioteca Gino Bianco
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