diversi aspetti della sua vita economica, politica e sociale; il cap. VII (pp. 97169), che raccoglie una serie di «biografie» di castellammaresi, trascritte - evidentemente - con fedeltà sulla falsariga del racconto che gli intervistati hanno fatto delle proprie vicende. In appendice (p. 171 segg.) sono offerti i « dati statistici ricavati dal IX censimento della popolazione in data 1951 ». Dall'insieme della ricerca il volto di Castellammare riesce notevolmente illuminato; e con esso il paradosso di una cittadina che - dopo Napoli e Salerno - è la terza, per importanza industriale, nella regione campana; che, pertanto, è anche uno dei più notevoli centri industriali dell'intero Mezzogiorno, e certo è uno dei rarissimi centri meridionali in cui la maggiore attività industriale locale abbia una storia pressochè bisecolare; ma che risente, non meno delle più contadine fra le città contadine, il peso e il vigore sempre determinanti della tradizionale civiltà agraria del Mezzogiorno, di cui vive ancora, con fedeltà sostanzialmente immutata, gli ancestrali costumi. Perchè? vien fatto di chiedere. La risposta non è facile e ci sembra che Ferrarotti e i suoi collaboratori (cfr. p. 94-95) l'abbiano intravista soltanto per metà. È vero, è verissimo che << una delle fonti del potere è nelle mani delle Direzioni e dei Consigli d'Amministrazione » che presiedono al processo ind-ustriale che investe la città; e sono vere anche tutte le osservazioni che seguono a questa e che ci sembra opportuno trascrivere per intero : « Ormai il cittadino è perfettamente conscio che è in potere di queste Direzioni se il suo grado di benessere aumenterà o diminuirà, se egli continuerà a fare il manovale per tutta la vita oppure se diverrà un tecnico qualificato, e se i diritti di cittadinanza acquisiti in fabbrica saranno rispettati anche fuori della fabbrica. È conscio che il « fatto nuovo » della città è proprio la concentrazione di potere legata al nuovo processo industriale, che si pone come alternativa ai vecchi poteri tradizionali. Ma è una alternativa che tende a dissolversi nel compromesso, nell'accordo tra le nuove e le vecchie èlites, cosicchè il ' salto storico ' dal mondo contadino alla società industriale si riduce alla conservazione dello status quo. L'operaio res,ta così con la sua doppia cittadinanza, dentro e fuori fabbrica, ma in realtà in balia di un potere dal quale continuerà a sentirsi 'escl•uso ', dentro e fuori fabbrica. La partecipazione al processo produttivo risveglia in lui la coscienza della propria competenza e dei propri diritti, mentre la mancata distribuzione del potere lo risospinge in un ambiente preindustriale. È un conflitto che lo tiene continuamente sospeso tra due modi di vita e i contrapposti sistemi di valori, su cui si fondano. Il destino della città - il suo sviluppo oppure l'involuzi0ne e la morte - dipendono da una soluzione positiva di questo conflitto ». Ma con ciò non ci sembra di restare soddisfacentemente illuminati sul punto centrale della questione: perchè lo sviluppo industriale rompe la crosta del vecchio mondo rurale, ma ne subisce le tradizioni e i miti? perchè è così facile il compromesso tra nuovi e vecchi detentori e rappresentanti di centri di potere? Bisogna rifarsi - a nostro parere - a un dato essenziale : lo sviluppo industriale è avvenuto a Castellammare fin dalle origini (il cantiere borbonico) per sollecitazione dall'esterno, per realizzazione di interessi aventi altrove la loro fonte, sotto la direzione e il controllo di dirigenze allo119 Biblioteca Gino Bianco
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