zione ». Questo vuol dire che, per certi loro studi - proprio in quanto hanno varcato i limiti della geografia meramente descrittiva, proprio in quanto hanno dato vita a una geografia eminentemente problematica, proprio in quanto hanno messo al bando così le astratte classificazioni positivistiche come le deterministiche spiegazioni di cui abusavano « i geografi del XIX secolo, naturalisti di formazione» - proprio per tutte queste ragioni, i geografi francesi possono proclamare insieme a Meynier che la loro geografia, senza rinunziare allo studio come fine a se stesso, « legittimamente » pretende di assolvere « un grande ruolo nella direzione del mondo moderno ». Sempre a questo proposito si può concordare in modo particolare con le seguenti affermazioni di Meynier: 1) « gli studi sui paesaggi agrari costituiscono spesso la base delle pianificazioni »; 2) per non averne tenuto adeguatamente conto « pesanti errori sono stati spesso commessi nell'economia diretta», sia da paesi collettivisti che dalle democrazie moderne a economia mista; 3) gran parte dei successi ottenuti con operazioni di riordinamento fondiario o con piani di valorizzazione agraria sono stati dovuti a « una conoscenza fine e approfondita » dei problemi di geografia agraria che sono famigliari agli studiosi dei paesaggi agrari. Queste affermazioni relative al valore pratico degli studi sui paesaggi agrari noi possiamo infatti considerarle quanto mai attuali proprio in Italia e in rapporto ai problemi della politica meridionalista (si pensi alla urbanizzazione delle « piane » meridionali dopo la scomparsa della malaria e si pensi alla influenza dell'industrializzazione sulle modificazioni dei paesaggi agrari: sia nel senso di cui parla Meynier, di un loro « deterioramento »; sia anche nel senso della redistribuzione degli insediamenti umani; sia infine nel senso dei nuovi rapporti fra città e campagna di cui così spesso abbiamo parlato nelle nostre inchieste). Non sappiamo se è per diretta consapevolezza di questo valore pratico che si sono visti ora affiorare presso i nostri studiosi di geografia gli « inizi » di un certo interessamento per gli studi sui paesaggi agrari; forse, più che a dirette consapevolezze, questi « inizi » sono dovuti al fatto che le affermazioni di cui si diceva sono nell'aria, come suol dirsi; forse si tratta già dei risultati dell'opera di qualche pioniere volenteroso, come il Gambi che abbiamo citato, sempre assai attento a segnalare in Italia ciò che di buono viene dalla Francia, si tratti di Villes et campagnes a cura di Friedmann (Parigi, Colin, 1956) o di Structures agraires et paysages ruraux a cura di Juillard, Meynier, De Planhol, Sautter {Nancy, 1957). Comunque sia, è significativo che recentemente, a Perugia, nell'ottobre 1959, Henri Desplanques, incaricato di geografia nella Università Cattolica di Lilla, è stato invitato a parlare del paesaggio rurale, cc con speciale riguardo all'Un1bria », a un convegno dell'Associazione italiana degli insegnanti di geografia (cfr. « La geografia nelle scuO'le », a. V, n. 1, novembre-dicembre 1959). E dello stesso Desplauques era stato pubblicato, nel marzo 1959, un interessante saggio - Il paesaggio rura/,e della cultura promiscua in Italia - nell'autorevole « Rivista geografica italiana » (a. LXVI, fase. 1), che si trovava così ad affermare, davanti alla platea degli studiosi italiani di geografia, che « si apre dunque un campo di ricerche per la geografa, ma così vasto e complesso che soltanto un lavoro collettivo potrà venirne a capo ». 117 .Biblioteca Gino Bianco
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