quali sono intesi dai geografi, non si direbbe mai che in Italia ci sia s.tata la cosiddetta dittatura crociana sulla cultura; mentre si riconosce st1bito la influenza che sui geografi francesi hanno avuto Bloch e Febvre, Vidal de la Blache e Siegfried: anche in questo senso lo studio di Meynier, molto problematico e non meramente descrittivo, è illuminante. E del resto è signifi- · cativo che, come ha rilevato Lucio Gambi in una recensione apparsa recentemente (settembre 1959) sulla cc Rivista geografica italiana », si deve riconoscere il fatto che oramai « la bibliografia sull'argomento è molto vasta (vedere l'ottimo sommario bibliografico in fondo al volume, pp. 192-193), ma presenta il difetto di essere eccezionalmente abbondante per certi paesi (centro e nord Europa) e discretamente sviluppata per i paesi extra-europei e ora culturalmente influenzati dalle nazioni del centro e nord Europa; e di essere invece scarsissima per le regioni del Mediterraneo e p·er le parti del mondo culturalmente legate ai popoli mediterranei ». Ma vediamo come si articola lo studio che qui ci interessa segnalare. La prima parte è dedicata ai cc grandi tipi » dei paesaggi agrari nel mondo. La seconda prende in considerazione fattori che concorrono alla formazione di tali pae~aggi per approdare alla conclusione che non si possono cc stabilire semplici rapporti di causa ad effetto tra fattori fisici, antropologici, economici o sociali, politici o storici, da una parte, paesaggi agrari, da un'altra parte » e non si possono sempre « isolare sufficientemente le singole incidenze dei diversi fattori » ( e più specificamente, a proposito dei fattori fisici: « noi non conosciamo affatto delle forme agrarie che accompagnino obbligatoriamente un certo carattere fisico e ancora meno dei tratti fisici che impongano certi assetti agrari »; onde, a chi domanda se la geografia influisce direttamente sull'assetto agrario, non si può dare che una risposta « nuancée », negando comunque che vi sia un « filo conduttore unico nella classificazione dei fatti agrari »). Quanto alla terza parte dello studio di Meynier, vi si discute dei rapporti tra paesaggi a campi aperti e paesaggi a campi chiusi; dell'origine di questi paesaggi e della loro evoluzione (Meynier insiste sull'importanza della nozione di evoluzione dei paesaggi agrari); dei limiti di ogni classificazione per « grandi tipi » di civiltà agraria; della necessità che ogni paesaggio venga studiato in sè, salva l'utilità pratica di certe classificazioni e tipizzazioni. Come si vede, nella sua concisione lo studio del Meynier è molto esauriente; e nella sua articolazione va molto al di là della mera descrizione. Si può aggiungere che alla fine i risul.tati corrispo·ndono alle intenzioni proclamate nella prima pagina: « nella considerazione dei paesaggi agrari, noi cerchiamo di descrivere e spiegare fatti attual,i 1). C'è dunque un'esigenza pratica anche che spinge verso determinate ricerche di geografia umana; e quando noi studiamo l'evoluzione dei paesaggi agrari non possiamo fermarci al « descrivere », dobbiamo « spiegare », e pertanto dobbiamo andare molto al di là del « quadro », delle « fattezze che colpiscono soprattutto la vista », per affrontare problemi che appartengono a un « complesso » - dice Gambi - « di realtà special1nente storiche, di mobilità umane che continuamente creano e modificano ogni esterna configurazione, di fattori non percepibili ai sensi come la -socialità, le istituzioni giuridiche, le credenze religiose e l'indefinito gioco della libera scelta umana che si rifiuta a ogni classifica116 Biblioteca Gino Bianco
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