Nord e Sud - anno VII - n. 5 - giugno 1960

Rivista mensile diretta' da Francesco Compagna AooLFO BATTAGLIA, « Fronte Repubblicano » ATANASIOMozzILLO, Il cafone conteso FRANCESCOCOMPAGNA, Polemiche sulla storia d'Italia SPARTACOANANIA, Pianificazione economica e parto indolore Uco AzzoN1, La « Cassa» in Fiera CESAREMANNucc1, Televisione contro radio? e scritti di RENATOCAPPA, ENZO CARBONE,GIUSEPPE GALASSO, ENZO COLINO, ALBERTOSENSINI,ARNALDOVENDITTI,ANTONIOVITIELLO A N N O V I I • N U O V A S E R I E • G I U G N O 1 9 6 O • N. 5 ( 6 6) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI · Biblioteca Gino Bianco

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• :NORD .·E SUD . . . Rivista mensile diretta da Francesco Compagna " . . - .. . --· :- .. - . . ... -.- . . - - . . .. .. - ... - - - . _Biblioteca Gino Bianco ·

Adolfo Battaglia SOMMARIO Editoriale [ 3] DISCUSSIONI « Fronte Repubblicano » [7] RASSEGNE Atanasio Mozzillo Il caf o·ne conteso [ 18] GIORNALE A Più VOCI N.d.R. Gedda e Pacciardi [61] Alberto_ Sensini L'anno del romanzo? [62] Ugo Azzoni La « Cassa » in Fiera [ 66] Antonio Vitiello Napoli come ideologia [69] Enzo Carbone La Facoltà di ingegneria e il progresso scien- . tifico [71] Cesare Mminucci Televisione contro radio? [75] PROPOSTE E COMMENTI Spartaco Anania Pianificazione ecoriomica e parto indolore [78] Francesco Compagna Relazione al II Congresso storico calabrese [101] LETTERE AL DIRETTORE Antonino Calabretta Turismo di massa e Mezzogiorno [112] Giovanni Enriques Una copia L. 300 - Estero L. 360 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 eemestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 1eme1trale L. 2.200 Effettuare i versamenti 1ul C.C.P. 6.19585 intestato a Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Biblioteca Gino Bianco CRONACA LIBRARIA [115] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: EDIZIONI sçIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. - Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 812.540 - 813.568

• • Editoriale La conferenza al vertice è fallita prima ancora di avere inizio, e Parigi è stata t_eatro di scene drammatiche e grottesche, dalle quali, tuttavia, il principale regista, Krusciov, .è uscito diminuito nella sua . personalità di uomo di stato, e nella fama che s,era acquistato, abbastanza a buon mercato, di campione della pace nel mondo. Non crediamo che possa esservi una sola persona in buona fede che abbia creduto alla sincerità delle declamazioni di Krusciov, il capo di uno stato che possiede il più vasto e perfezionato sistema spionistico del mondo, sull'episodio deliU-2, o che non sia convinto che lo stesso Krusciov non si sia recato a Parigi con l'intenzione precisa di silurare la conferenza al vertice. Soltanto i comunisti, i quali per definizione si riconoscono in ogni gesto di ognuno dei capi dell'Unione Sovietica (e che i gesti siano contraddittori non turba la logica che è loro propria), difendono l'operato russo a Parigi: e ciò, francamente, giova alla chiarezza della situazione. Dobbiamo, in fondo, essere grati alt'on. Togliatti e ai suoi amici che hanno preso una posizione sulla quale non sono leciti i dubbi. Tuttavia non si può non riproporre qui la domanda che si pongono tutti: perchè Krusciov ha così visibilmente ed esplicitamente sabotato quella riunione al vertice che pareva essere la sua creatura prediletta? A nostro giudizio si P'UÒ tentare di rispondére a tale domanda solo mettendo risolutamente da parte la spiegazione che deli avvenimento ha dato il primo ministro dell'Unione Sovietica, o, meglio tentando di intenderla in tutt, altro contesto. Sembra, infatti, che si sia stranamente dimenticato che Krusciov è l'uomo dell'ultimatum su Berlino: il fatto che fultimatum stesso sia poi rientrato, e che al suo posto sia stato di moda per un momento il cosiddetto « spirito di Camp David », non deve far · perdere di vista il nocciolo del problema: che è che il dittatore russo è un politico realista, che non perde mai di vista gli obiettivi che vuol 3 Biblioteca Gino Bianco •

• conseguire. E r obiettivo di fondo di tutta la politica estera sovietica di questi anni è una soluzione conforme agli interessi russi della questione tedesca, una soluzione che elimini l'enclave della Berlino libera e, se possibile, porti alla neutralizzazione della Gerniania occidentale senza cedere di un pollice su quella orientale. A Camp David Krusciov interpretò come una concessione t affermaziorie di Eisenhower che la situazione di Berlino non era naturale, e ritenne di poter contare sulla duttilità inglese, sul nazionalismo di De Gaulle, sul velleitarismo di altri paesi dell'Occidente, per isolare Adenauer, occidentalista ed europeista, ed aver partita vinta su Berlino. "ft,f a a mano a mano clie si posava la polvere di Camp David, Krusciov poteva misurare tutta la grandezza delle sue illusioni: chè l' affermaziorie di Eisenhower era sì dettata dalla esigenza di risolvere un problema difficile, ma di risolverlo senza cedere in nulla nella politica di difesa delle regioni del mondo libero; e tale e'ra anche l'opinione di inglesi o francesi, che potevano bensì essere in disaccordo corJ,americani o tedeschi sulla tattica più conveniente, ma erano fermi, o afferrnavano di essere fermi, sulle questioni di fondo. E non può non sfuggire che a misura che tutto ciò diventava chiaro, r atteggiamento russo si irrigidiva: la violenta polemica che oppose Krusciov e Granchi nel febbraio, il tono durissimo del discorso pronunciato a Bakù dallò stesso Krusciov, erano i primi riritocchi di campana a morto per il vertice, e solo i wishful thinkers di ogni latitudine potevano illudersi che fassero manovre tattiche per riegoziare da una posizione di forza. L'episodio dell'U-2 doveva servire ai sovietici come toccasione d'oro per liberarsi dalla fastidiosa e pericolosa trappola che avevano contribuito a montare, tentando insieme con una grande manovra propagandistica di far cadere tutta la colpa del fallirnento sugli occidentali. Ma questa volta il gioco 'non ~a ingannato nessuno: e la manovra propagandistica, invece di spaccare il fronte occidentale e di provocare una reazione centrifuga del tipo di quella del '55-'56, ha provocato una reazione di vigòrosa e· decisa coesione, per formare un quadrato di difesa. Krusciov, se.nza volerlo, ha agito come Stalin al momento del blocco di Berlino o a quello delf aggressione in Corea. · ~ ·Tutto questo dovrebbe essere attentamenJe meditato da coloro che hanno, per il passato, fatto della distensione una sorta di mito e di tabù insieme·. I nostri lettori sanno bene che su questo punto noi siamo sempre stati riservati e prudenti; e non certo per amore della tensione e della guerra fredda, ma per una considerazione realistica dei problemi. Noi, cioè, non abbiamo mai creduto che la pace del mondo potesse 4 Biblioteca Gino Bianco

essere assicurata soltanto e principalmente dalla CQ6id,~tta atmos-fera di distensione: siamo troppo giovani per ricordarlo personalmente, ma abbiamo letto nei libri che nel 1914 l'atmosfera era distesa, tutti viag· giavano senza passaporti e senza controlli, nessuno credeva alla guerra; . e tuttavia la guerra vi fu, perchè v'erano cause di frizione importantissi,me, che non erano state rimosse, che anzi s'erano aggravate nell"ultimo decennio. Ed oggi, purtroppo, la stessa cosa è vera: tra l'occidente ed il blocco russo-cinese vi sono temibilissime cause di frizione; e queste non si rimuovono con le parole amichevoli, gli incontri di parata, i più o rneno sinceri propositi di amicizia eterna, tutte cose utili solo quando servono di introduzione ad una discussione pacata e serena dei problemi veri. Non sembri un paradosso: ma a nostro giudizio servì meglio la causa della pace il modesto « trattato di stato » sull'Austria che la vistosa conferenza alla sommità di Ginevra, del 1955. Senza contare che, come oggi riconoscono anche i più autorevoli giornali inglesi, aveva ragione Poster Dulles a mettere in guardia contro il pericolo che gli incontri al vertice possono lasciare strascichi di tensione, in caso di f allimerito, che non lasciano invece le trattative, in apparenza più modeste, condotte attraverso i tradizionali canali diplomatici. Il risultato più grave delle giornate parigirie di 1naggio (a meno che non intervenga qua}che colpo di testa sovietico) è proprio la frustrazione che ha colto le masse democratiche dell'occidente per il tramonto di una grande e luminosa speranza. Un'altra lezione si dovrebbe trarre da ciò che è accaduto a Parigi: ed è che l'Europa non cade dal cielo (come suona il titolo del recentissimo libro di Altiero Spinelli) e non può essere rinviata all'infinito. Il solo modo che hanno gli europei, e cioè i francesi, i tedeschi, gli italiani, i belgi, gli olandesi, di lavorare per la pace non è già nel tentare mitiche mediazioni, ma di costru·ire la loro casa comune, e di costruirla sul serio, senza aspettare che altri la costruisca per lòro o che da una congiunzione degli astri gli venga una miracolosa soluzione dei loro problemi. Sappiamo benissimo che nell'attuale congiuntura francese o italiana queste affermazioni rischiano di parere uto'{Yistiche: il fatto è, però, che quella europeistica è la sola soluzione valida che vi sia per l'Europa, la sola vera alternativa alla degradazione verso una situazione simile a quella della penisola balcanica degli anni tra il 1890 e il 1914. E vor-- remmo dire che nulla è così lontano dalla soluzione europeistica come la politica declamatoria di certi nostri _governanti, i quali hanno sempre l'Europa in bocca e, poi, al momento giusto, fanno delle scelte che fono 5 .... . . iblioteca Gino Bianco

sostanzialmente anti-europeistiche. Qui è una grande occasione per la sinistra democratica italiana, un'occasione che· non dovrebbe essere perduta, poichè qui è il 1nodo con cui essa può veramente differenziarsi dal falso pacifismo dei comunisti e dal falso europeismo della destra (in questo senso ci sia consentito di trarre qualch,e lieto auspicio del viaggio di esponenti del PSI a Strasburgo). E questa affermazione ci porta all'altra questione, delle conseguenze degli avvenimenti parigini sulla situazione interna italiana: già i giornali bempensanti han, cominciato ad osservare che, a Parigi, Krusciov aveva sepolta la distensione internazionale e il governo di centro-sinistra in . Italia; ora questa è un'altra menzogna interessata. DistenS'ione o non, la politica estera italiana non è mai stata in discussione: pertanto con la stessa risoluzione con cui abbiamo sernpre negato che si potesse compromettere sulla solidarietà atlantica o si,lt europeismo, neghiamo oggi che abbia senso comune il voler condizionare l'evoluzione della situazione politica italiana all'involuzione della situazione internazionale. Ove mai i socialisti cadessero in un errore così grossolano, essi non solo farebbero al PCI il più gran dono che 1nai gli abbiano fatto dai giorni del fronte popolare del 1948, ma anche compremetterebbero forse definitivamente le possibilità di sviluppo democratico del nostro paese. Ma ciò che vale pei socialisti, vale anche per tutte le forze politiche e principalmente per la Democrazia cristiana. La politica estera italiana resta, deve restare, quella di Sforza e di De Gasperi: e come la politica di centrismo dinamico che ebbe in De Gasperi il suo leader e in soc,ialdemocratici e repubblicani i suoi sostenitori era la sola politica che a un certo momento della nostra storia garantiva la stabilità delle istituzioni e il progresso del paese, così oggi la sola politica che garantisca le stesse cose è quella che consente l'allargamento a sinistra delle maggioranze governative, risolvendo il problema storico del socialismo italiano. 6 Biblioteca Gino Bianco

DISCUSSIONI « Fronte Repubblicano» di Adolfo Battaglia La funzione dei « 'liberali » è insostituibile; ma è dubbio che per loro esista ancora un posto nello schieramento politico: sono queste, in definitiva, le contraddittorie conclusioni contenute in ambedue gli articoli con i quali si è iniziato in quest~ rivista il dibattito sulla crisi della sinistra democratica italiana. Nella contradittorietà delle due proposizioni è il dramma di questa forza politica, che tutti stimano ma nessuno vota, che tutti dichiarano necessaria ma nessuno rafforza, che tutti amano ma per cui nessuno si sacrifica. « Non un uomo, non un soldo, non un voto », diceva Salvemini circa quarant'anni fa, facendo il bilanciò di analoghe melanconiche vicende. Le cose non sono cambiate di n1olto, come si vede. Grandi speranze, grandi ambizioni, grandi intuizioni; e quindici anni di déba:cles. Il nostro bilancio, a voler essere onesti, non è diverso da questo. Se poi andiamo a riguardarlo con un minimo d'attenzione, potremo scorgere non solo quanto sia istruttivo ma anche quanto sia grave. Quindici anni or sono, in effetti, le forze « liberali » occupavano un'area· piuttosto vasta dello scl1ieramento politico, e le loro posizioni di potere erano anche più rilevanti. Il Partito Liberale, il Partito Repubblicano, il Partito d'Azione, la Democrazia del Lavoro, per quanto variegati, variamente ispirati, politicamente spesso contra:stanti, racchiudevano uomini che esprimevano, al fondo, un identico interesse di costruzione democratica, uno stesso spirito, uno stesso richiamo alla migliore tradizione politica del paese. Che queste forze fossero state divise nel corso della lotta di liberazione e si trovassero discordi a:lla ripresa immediata della battaglia politica, era più che natt1rale; ma neppure le opposte responsabilità che esse assunsero nella crisi che segnò nel 1945 il punto di svolta della politica ita·liana, la crisi del Gabinetto Parri, 7 . · Biblioteca Gino Bianco

neppure le differenti od opposte posizioni che ebbero a prendere su quello che fu aliora il problema dei problemi, la questione istituzionale, può far dimenticare la presenza in ciascuno di quei quattro partiti, e nelle loro organizzazioni collatera·li, e nei più vasti ambienti che le esprimevano, di notevoli forze « liberali », che avevano soltanto l' obbligo della lungimiranza, il dovere di riconoscersi, di intendersi e di • • un1rs1. A coprire l'area delle posizioni « liberali », oggi, è rimasta la metà di un Partito Repubblicano che elettora·lmente è meno della metà di quello che era nel '46; e ùn Partito Radicale, che non solo è altrettanto debole, ma che per di più sembra già disposto a veleggiare, un po' per stanchezza, un po' per coerenza politica, un po' per tornaconto, verso un acçordo col Partito Socialista che sarebbe in realtà il suo amichevole ed accettato fagocitamento. . Dalla partenza all'arrivo abbiamo avuto il fallimento del Partito cl' Azione dimostrato dalla· scissione del '46; il fallimento del P.L.I. come forz<;t « liberale » dimostrato dalle emorragie del '45-46 e dalla scissione del '47; il fallimento elettorale della « Democrazia repubblicana » di Parri e La Malfa· nel 1946; la dissoluzione della· Democrazia del La- , voro dal '46 al '48; il fallimento della « piccola intesa » tra azionisti, socialdemocratici, repubblicani e demolaburisti tentata alla Costituente nel 1947; il fa·llimento del cc blocco democratico » proposto da Giovanni Conti nel 1948; il fallimento della formula di « terza forza » dal '48 al 50; il f~llimento del tentativo di « Costituente programmatica laica » nel 1951; il fallimento del tentativo di intesa a tre P.S.D.I. - P.R.I. - P.L.I. riproposto da La· Malfa nel '53-'54; il fallimento dell'esperimento « laburista » nel '54-'55; il fallimento della politica di unificazione liberale dimostrato dalla scissjone del P.L.I. nel '55; il fallimento delle mezze intese amministrative tra repubblicani, radicali, Unità popolare e Comunità nel '56; il fallimento elettorale dell'intesa radical-repubblicana nel '58; e, infine il fallimento dell'intesa politica tra gli stessi radicali e repubblicani dal '58 al '60. . Vogliamo aggiungere a questi dati « esterni » quelli che più direttamente ci condizionano, psicologicamente e politicamente? La ricchezz~ di filoni che alimentava quindici anni or sono le posizioni « liberali » si è pressocchè isterilita (salvo, ·com'è giusto riconoscere, nella sua componente meridionalistica). La capacità di organizzazione della cultura che esse avevano si è perduta per stra~~- Le posizioni di potere sono state tutte perdute. Il fascino delle posizioni mino8 Biblioteca Gino Bianco

• . . ritarie d'avanguardia è sparito. Movimenti affini hanno dirottato verso altri porti. Il logoramento degli uomini è arrivato, nel migliore dei casi, alle punte acutamente analizzate da Giovanni Ferrara nel suo articolo A questo punto si comprende perchè circoli per r aria la domanda se, dal punto di vista· dell'organizzazione politica, ci sia ancora per i « liberali.» qualche cosa da fare; e perchè questa domanda non sia semplicemepte l'espressione di uno stato d'animo pessimistico, ma piuttosto il risultato di un esame obiettivo delle rovine che ci circondano. Una maledizione divina particolarmente effìca·ce, d'altra parte, sembra colpire la minoranza laica, cioè quei gruppi - per dirla brevemente sul terreno dei rapporti tra le forze politiche, l'unico, del resto a contare - che non si riconoscono nel socialismo pur cercando la sua colla:borazione nella costruzione dello Stato democratico; che osteggiano ra:- zione politica del partito di maggioranza, pur tenendo ferma la necessità di un nuovo incontro di sviluppo tra laici e cattolici e ritenendo possi- . bile che i cattolici democratici prevalgono nella D.C. sui clerico-conservatori; che combattono decisamente, come diretta avversaria, la concezione ideologica comunista, pur avversando l'anticomunismo di polizia e la discriminazione maccartista tra i cittadini nell'ambito della vita dello Stato. È una maledizione che non si esercita su altre forma·- zioni di minoranza. Partito Liberale, Partito Socialdemocratico, Movimento Sociale sono, infatti, partiti tipicamente di minoranza, perchè la loro funzione, nel nostro sistema politico pluripartitico, è quella precipua di costituire maggioranza, integrando la forza di altri partiti e spostando con ciò stesso l'asse politico del paese, senza alcuna possibilità di diventare maggioranza. Ebbene, se si nota, PLI, PSDI e MSI,· a differenza dei « liberali » nel corso di tre Legislature hanno mante11uto sostanzialmente intatta la loro forza politica, sia pure tra le alterne vicende •che tutti conosciamo. Da· che cosa dipende? Dalle particolari capacità dei loro dirigenti? Dalla particolare lungimiranza della loro azione politica? O non dipende piuttosto dal fatto che queste formazioni corrispondono a schieramenti fisiologici dell'elettorato, nel senso che parti di esso, sia pure piccole, non hanno difficoltà a riconoscersi con naturalezza in un partito conservatore, in un partito social-rifor.: ~ista, e in un partito filo-fascista? · Può ben essere. E indurrebbe a dare risposta positiva anche la vicenda dei partiti monarchici, che dà otto anni sono in continuo calo 9 . . · Biblioteca Gino Bianco •

per la semplice ragione che il problema istituzionale, oltre che largamente superato, si sovrappone, senza alterarle, alle scelte politiche delrelettorato, essendo ben possibile sentirsi tendenzionalmente monarchici e votare poi per la DC, il PLI, il MSI e fors'anco il PSDI. Ma se a:lla domanda si dà risposta positiva ognuno vede facilmente quali conseguenze occorrerebbe trame. E prima, conviene forse fa1·e altre considerazioni. Ci si può domandare, cioè, se i « liberali » non scontino sul terreno dell'insuccesso politico il successo della loro opera para-politica, o pre-politica, o meta-politica. È in fondo, se ben intendo, il pensiero di Mario Paggi, quando, ribadendo 1~ funzione e il valore dell'opera clei « liberali », ricordava nel suo articolo di febbraio che « tutti i motivi odierrii della tematica governativa ( e, si potrebbe aggiungere della tematica politica, se l'aggiunt~ non diminuisse il senso di concretezza e di presenza che v'è nell'osservazione di Paggi) dalla scuola alle frodi alimentar-i, dalla· lotta contro i monopoli alla riforma del regime carcerario, sono imposti più da questi ambienti che non da spontanee elaborazioni ministeriali ». In altri termini, l'elabora•zione programmatica, democraticamente concreta e calzante, non basta a definire un raggruppamento politico, se le sue istanze, come istanze mature al progresso civile della collettività, sono poi completamente condivise e fatte proprie da altre forze politiche: nel momento in cui il programma di u11 esiguo raggruppamento « liberale » diventa programma di governo, o un possibile programma di governo, il valore politico autonomo di quel raggruppame11to si perde, ed elettoralmente esso è condannato. È, ad esempio, quel che è successo al Partito Repubblicano, che ha elaborato e contribuito a realizzare alcuni egregi punti programmatici, quali il Ministero delle partecipazioni statali, o la politica di liberalizzazione degli scambi, ma che non h~ tratto da essi - nè poteva trarre - alcuna concreta qualificazione politica. E il « trasformismo » dell'ultimo quarto del secolo scorso non nacque in fondo da un fenomeno di identificazione politico-programmatica tra forze già divise sulle prospettive di fondo? Ma qui il discorso, come si vede, giunge a riproporre la domanda ormai abusata: se, cioè, il successo « storico » dei cc liberali », che è consistito nell'aver plasmato una civiltà politica basata sullo Stato di dìritto e, in Italia, nell'aver costretto entro questo Stato le forze di ma·ssa cattoliche e socialiste; se questo successo sul terreno della civiltà e del costume, se l'assorbimento di istanze e di motivi liberali da forze un tempo estranee al liberalismo, se tutto ciò non esautori storicamente un organi- ' 10 Biblioteca Gino Bianco

smo politico che pretenda di basarsi proprio su istanze e metodi che non gli sono più peculiari. Il « senso dello Stato » di De Gasperi, da questo punto di vista, è la maggiore vittoria e, insieme, la inevitabile sconfitta politica dei cc liberali »; e non per nulla il « trasformismo » degasperiano, che ha assimilato politicamente alla Den1ocrazia Cristiana forze da essa distanti, ha aperto, come il trasformismo del s ecolo scorso, una travagliata fase politica nuova: quella attuale, in cui, con l'ingresso di forze nuove nel quadro costituzionale liberal-democra tico, si vengono profilando con maggiore chiarezza i nuovi schierame nti fondamentali che si contendono l'avvenire del paese. E allora, in conclusione, se è così, se tutto questo non è sbagliato da cima' a fondo, il processo di dissanguamento delle posizioni « liberali » non solo appare perfettamente comprensibile, ma è anche, diciamolo tranquillamente, irreversibile. E non so110pochi infatti a ritenere, per questi e per molti altri buoni motivi, che sul pia no della tendenzialità storica il destino dei raggruppamenti « liberali » è seg11ato. Ma nella fase politica attuale? In questo paese che non è tanto diviso ttra confessionali e classisti, come mi pare dica un po' troppo rapidamente Mario Paggi, quanto è invece alla ricerca di un accomodamento provvisorio, l'accomodamento di centro-sinistra, atto a superare le resistenze al suo progresso civile? In questa situaz ione politica che come prospettiva immediata l1a, appunto, il centro-sini stra e, di contro, il regime clerico-conservatore o clerico-fascista? È in queste condizioni superato ed inutile un raggruppamento politico, sia pure esiguo, « liberale »? Si pongono a questo punto i problemi di carattere più immediatamente politico. Stabilito che esiste una estrema diffi coltà per l'elettorato a ritrovarsi fisiologicamente su una posizione pol itico-programmatica largamente derubat~ da altre forze; stabilito che l'irradiazione degli ideali liberali sta determinando un processo franos o dei raggruppamenti « liberali » che può esser giudicato storicamente irreversibile; deve dirsi tuttavia che ciò non elimina minimamente il dovere di ciascuno di noi di non credersi la stori~, e l'altro corre lativo dovere di operare politicamente per modificare una situazione c he non riteniamo nè buona nè utile. E, infatti sarebbe tutt'altro che politicamente inutile che forze di _sinistra laica, oggi, avessero una posizione parlament are di forza, sia pur relativa, e una responsabilità politica diretta e no n delegata. Vale a questo proposito la constatazione· fatta dagli osser vatori al recente 11 · Biblioteca Gino Bianco

congresso repubblicano di Bologna,. ove tutti hanno inteso che l'esito del congresso era, strumentalmente, decisivo al fine di sbloccare la situazione politica, nel senso ~he la vittoria di La Malfa. avrebbe aperto la· via al tentativo di centro-sinistra, e quella di Pacciardi l'avrebbe cl1iusa in modo definitivo; e ove tutti l1anno visto, dunque, che la pre- . senza di una forza di sinistra laica', sia pure spaccata e riss_osa come il Partito Repubblicano, sarebbe stata non solo utile ma determinante nella fase di sviluppo politico che viviamo. Vale, egualmente, l'affermazione (o I~ speranza) che forze di élite, culturale, operaia, tecnica, burocratica, di ceto medio professionistico e para-professionistico, piccoli gruppi di cittadini che non hanno interessi precostituiti da difendere e non hanno posizioni economiche da tutelare attraverso l'azione politica, possono ancora intendere, ·malgrado tutto, la opportunità di rafforzare politicamente ed elettoralmente la sinistra democratica laica . . . Perchè ciò possa in qualche modo avverarsi~ c'è da risolvere, anzitutto, il problema· dei rapporti con la socialdemocrazia, poichè il PSDI, distinto dal PSI, copre elettoralmente buona parte dello spazio idealmente riservato ad una formazione di sinistra democratica, più piccola, dotata di minori mezzi, di nessu11 aggancio internazionale, di scarsissime tradizioni popolari. E in secondo luogo, la considerazione fondamentale da fare è che nella situazione istituzionalmente subordinata e storicamente critica in cui i « liberali » si trovano, niente può essere lasciato al caso o agli altri, .e tutto dipende strettamente dalla capa·cità politica, dalla sagacia delle intuizioni, dalla giustezza delrazione concreta di cui essi saranno capaci: da quelle doti, cioè, ciìe si richiedono alle altre formazioni per avere successo, per vincere, non per sopravvivere. Se alle condizioni obietive cl1e le pongono in difficoltà si aggiungono ancora i loro errori soggettivi, non credo ci possa essere alcun dubbio che il processo di decomposizione delle forze cc liberali », in corso ormai da quindici anni, arriverà rapidissimamente alla fine: scadenza, per essere chiari, le prossime elezioni politiche. · Ora, sia per l'uno che per l'a·ltro rispetto, i « liberali » hanno finora gravementé peccato. Dove sta, dove è stato, il loro partito? Quale azione politica ha svolto? Basta domandarselo per avere la sensazione degli enormi errori compiuti in passato e delle stra·de che occorre battere in futuro, se si crede che si possa salvare il salvabile e accrescere poi il salvato·. In effetti, il solo elenco dei fallimenti che si è fatto all'inizio 12 Biblioteca Gino Bianco

è sufficiente a dire che i « liberali » so110vissuti, fin'ora, come giusta1nente Ferrara nel suo articolo sosteneva: che nessuna forza politica può vivere: in giornali, in riviste, in convegni di studio, in mezzi partiti, in· correnti o in uomini con un piede in casa altrui; , mai in una formazione sola, organizzata, sufficientemente unita e politicamente qualificata. Qua-le azione politica avrebbe potuto esplicare questo non-partito? Nessuna, ovviamente. E infatti, a ben vedere, i « liberali » si sono retti in questi anni in virtù di intuizioni, non di azioni, di una visione abbastanza lucida degli sviluppi della vita pubblica, non di contributi concreti alla determinazione di essa. Il nullismo dell'azione politica del PRI fino al febbraio 1957 balza evide11te appena appena si riconsideri il corso della seconda Legislatura. E l'impossibilità degli attuali radicali a fare una concreta politica « liberale » è scaturita fino al '56 dalla loro stessa erronea collocazione entro il PLI, che ne a·ssorbì per cinque anni le energie in una vana lotta interna terminata infine a loro sfavore (come era logico, se è lecito aggiungere). A distanza di pochi mesi dalle elezioni queste forze si unirono, sebbene con· poco , slancio e parecchie riserve e diffidenze, e andarono alla battaglia elettorale, con l'illusione di poter finalmente occupare la: « sedia vuota ,, di cui Leopoldo Piccardi aveva così bene, nel 1956, chiarito l'importanza. Era un'illusione, infatti, come i risultati elettorali ampiamente provarono. E subito dopo, con coerenza degna di miglior causa, repubblicani e radicali si divisero e cominciarono ad ignorarsi reciprocamente. ~ stata in complesso una politica, a voler essere veritieri, folle; e se si vogliono distruggere totalmente le poche forze che restano, e con esse anche la semplice possibilità di tenere viva una posizione autonoma « libera·le », i dirigenti dei due partiti non hanno altro da fare che continuare a battere questa strada (come del resto sembrano bene intenzionati a fare). Ma va detto con chiarezza a questo punto che se c'è un'iniziativa da prendere, un discorso da cominciare, un tentativo da fare, questo spetta senz'a:ltro ai repubblicani. L'inizio di una ricomposizione delle forze « liberali » passa attraverso la ùnione, o la federazione, o comunque la strettissima intesa tra· repubblicani ·e radicali: ma· sui repubblicani grava oggi 1~ responsabilità di compiere il passo· che solo può ancora permetterla. · ·· · Essi non possono ignorare che il loro partito· rappresenta attualmente un equivoco- di proporzionj certamente inferiori, ma di consistenza forse non minore di quello della stessa DC. Ormai si è chiarito 13 · B"blioteca Gino Bianco

che la sp~ccatura tra l'ala destra e l'ala sinistra del PRI nasce, ai vertici, da impostazioni e visioni politiche non solo opposte ma inconciliabili, per la semplice ragione che l'una è profondamente democratica e l'altra, in sostanza, non Io è più. Quando vediamo un uomo come Pacciardi colloquiare politicamente con Gedda abbiamo non soltanto la prova di questa affermazione, ma anche la dimostrazione inconfutabile che il Partito Repubblicano unito ·non può più stare, come unito non può stare un organismo politico diviso tra l'alleanza con Pannunzio e Pietro Nenni e l'alleanza con Malagodi e Luigi Gedda, tra il voto favorevole di Reale_e La Malf a al governo di centro sinistra e il voto contrario di Pacciardi e De Vita. Questo è l'equivoco che ha non poco contribuito a1l'insuccesso elettorale del '58, (anche se allora era meno evidente che oggi), e che è stato uno dei motivi determinanti della rottura successiva tra radicali e repubblicani; ed è tuttora l'equivoco fondamentale che paralizza e batte anticipatamente le forze « liberali », sia dislocando forzosamente il Partito Radicale sul Partito Socialista, si~ impedendo al PRI di presentarsi all'opinione pubblica con un volto appena 11nitario, come un partito cioè che possa ispirare qualche fiducia a cittadini disposti magari a dare il loro voto a La Malia, ma assolutamente restii a vederlo utilizzato da Pacciardi per le sue operazioni di regime (e viceversa, anche). D' a·ltra parte, la scissione del PRI non solo è necessaria, ma è inevitabile, come sta a dimostrare tutta la recente azione politica di Pacciardi. E si tratta soltanto, allora, di subirla nel momento più sfavorevole o di provocarla nel momento più adatto, di trarne motivo per una ripresa di slancio e d'iniziativa politica o di esserne semi-travolti senza possibilità di inserire politicamente su essa alcunché di costrut- ~ivo. Che i dirigenti del PRI vogliano essere così sadici da scegliere proprio l'alternativa peggior~? Disgra:ziatamente, qui non si tratta soltanto delle loro persone, ma di qualcosa di più importante. Trascinare in lungo la questione per non giungere al taglio salutare? Ma le malattie non curate si aggravano col passare del tempo, sopratutto quelle virulente: e possono non solo giungere a corrompere gran parte del1' organismo, ma determinare anche l'isolamento del paziente nel lazzaretto, ove morirà solo e infelice. Facciamo in modo di arrivare alle prossime ·cc amministrative», già fissate per ottobre, nello stato attuale delle cose: e vedremo che l'unità del PRI determinerà la definitiva scissione tra il PRI e i radicali, esattamente come, al contrario, la scissione del PRI determinerebbe l'unione 14 Biblioteca Gino Bianco

tr~ repubblicani e radicali. Ma voler mantenere unite, a tutti i costi, forze che non hanno niente a che fare tra loro, come l'ala destra e l'ala sinistra del PRI e i radicali, non è soltanto irragionevole: otterrà pure il bellissimo risultato, dopo quello di aver fatto morire i radicali in braccio ai socialisti, di far morire rapidamente a11che i repubblicani privati dei radicali: di farli morire soli, detestati e impotenti. D'altronde, proprio requivocità della loro situazione interna ha portato i repubblicani a non approfondire la strategia politica della sinistr~ democratica. In altri termini, il PRI non si è ancora posto in maniera sufficientemente esplicita e matura il problema dell'alleanza di fronte repubblicano, cioè dell'alleanza con i socialdemocratici. e socialisti, oltre che naturalmente con i radicali. Abbiamo, sì, ancora nelle orecchie il grido che all'indomani dei risultati del 25 maggio uscì dalla bocca di quasi tutti coloro che nel PRI avevano partecipato alla battaglia elettorale: « mai più elezioni da soli ». Ma, appunto, è rimasto un grido, un'impressione, più che un convincimento ragionato; cui corrisponde soltanto il mediocre calcolo elettoralistico di chi si preoccupa del raggiungi- . mento del « quorum » per l'utilizzazione nazionale dei ·resti. Che il fronte repubblicano non sia soltanto una formula elettorale ma tino schieramento vitale per la' democrazia italiana sembra sfuggire a molti. Che esso rappresenti l'unica co11creta e coerente indicazione politica, l'unica essenziale qualificazione, l'unica via di sviluppo delle forze « liberali » non sembra argome11to tra i più accetti alla' maggioranza dei repubblicani. E la verità è che pesano in questo atteggiamento non soltanto vecchie e rispettabili prevenzioni, quanto preoccupazioni tattiche interne dovute alla presenza di un'ala che si proclama mazziniana e pura mentre è sempre più moderata e conservatrice. ) · In realtà, una politica di fronte repubblicano, articolat~ su una posizione « liberale » radical-repubblica-na e su una posizione « socialista » PSI-PSDI, è oggi lo strumento ·per risolvere i maggiori problemi della nostra vita politica:: per superare il dissidio tra socialdemocratici e socialisti, per. eliminare· il dramma· della presenz3:_s.ullo stesio campo dei socialisti riformisti e della sinistra -~democratica, per consolidare il PSI sull'attuale posizione di costruzione democratica, per aggredire le .. posizioni comuniste su un piano di forza elettorale di concretezza politica e di mobilitazione popolare e intellettuale, per portare alle sue ultime e Ioiiche conseguenze la politica di centro-sinistra; per consen15 Biblioteca Gino Bianco

.tire,. cioè,_:su una base· -di equilibrio l'incontro tra_ laici e.·c~ttolici indispensab_ile allo sviluppo del regime democratico. Sia che~$i giµnga a un· governo di centro-sinistra, sia che ·non vi si giunga, l'alleanza tra <e liberali » e « socialisti » è richiesta' storicamente dalla situazione italiana: tanto richiesta che, se non si realizza -sul piano dei partiti, si realizzerà completamente, di fatto, come si è già andata in parte realizzando, sul piano dei voti e degli uomini. Fuori della politica di fronte repubblicano non si vede del resto che cosa possa esservi: se non la rissa politica ed elettorale tra socialdemocratici" e socialisti, e quella tra repubblicani e radicali, gli uni_fermi su pos-izioni superate, gli altri troppo velocemente avanzati su posizioni che non sono le loro. Di fronte al paese questa sarebbe una nuova prova di debolezza: e l'alternativa democratica e socialista di potere - che nol?-•è,come è stato largamente chiarito nella discussione dell'anno scorso tra il « Mondo », la « Voce » e « Nord e Sud », un'alternativa al partito cattolico, ma· l'alternativa alla deleteria politica: seguita in questi anni dalla DC - non avrebbe alcuna possibilità di affermarsi nel corpo elettorale, perchè, in realtà, la dispersione delle forze la· renderebbe una formula priva di senso. Fine dell'equivoco repubblicano, dunque, intesa strettissima tra PRI e radicalt comune iniziativa per la costituzione di un,alleanza di fronte repubblicano. Questi sono i pa·ssi obbligati che la residua classe dirigente «liberale» è chiamata a compiere se vuole sopravvivere e poi vivere. Non si tratta, certamente, di cose troppo facili a realizzare. Ma forse non è sbagliata l'impressione che ci si ponga di fronte a·d esse 11ello·stato .d'animo di chi le ritiene impossibili, e, insieme, pensa che, se non si realizzeranno, tutto andrà, più o meno, egualmente bene, o egualmente male.· No, la realtà è diversa. Stiamo assistendo nel nostro paese, che ce ne a:ccorgiamo ·o no, al processo di vanificazione delle forze· « liberali » · che la cre·scita· democratica dei socialisti é dei cattolici ha cominciato a determinare· sessant'anni fa; da quindici anni- ·i « libérali »· non· fanno, con i loro errori, le loro di,,isioni, lé loro settarie incomprensioni, che affr:ettare vertiginosamente questo processo, che. in-- veste, ormai, non più ·le forze· «liberali» nel paese, ma le strutture politiche stesse .dei « liberali ». ·Sono disposti La Malfa, Reale, _Visentini, M~rélli,_ · Piccardi,- Olivetti, ·Libonati, .Pannunzio, ·Carandini; e gli altri, a porre ·fine a questa vanificazione organizzativa, per salvare una struttura, un'organizzazione politicar « liberale » che tutti riconoscono utile e valida1 ? ~uovi ritardi, 11uovedebolezze, nuove impuntature ed incom16 Biblioteca Gino Bian-co

11rensioni, nuove meschi11e preoccupazioni settoriali, a questo punto sarebbero fatali. Le prossime elezioni politiche ci direbbero con estrema chiarezza non esser più tempo ormai (per aggiornare, come i mesti tempi richiedono, la vecchia formula dell' cc Osservatore Romano ») di cc cleputati liberali », ma soltanto, purtroppo, di « liberali deputati ». Pocl1i ancl1e in questo caso, per di più. 17 BibliòtecaGino Bianco

RASSEGNE Il cafone conteso di Atanasio Mozzillo Già cinque anni sono trascorsi dalla polemica sui Contadini di Scotellaro, quindici, ormai, dalla pubblicazione del Cristo di Levi, ma ancora saggi,. rievocazioni, speculazioni politiche e adesioni sentimentali, ricerche sociologiche e scritti di etnologia continuano ad accrescere il già voluminoso dossier della cc civiltàcontadi11a » 1 . Un opuscolo di Gaetano Santomauro 2 e una monografia di Michele Lacalamita 3 sono le testimonia11ze più recenti di un interesse 1 Oltre la bibliografia cit. in MusArn, La Via del Sud (2a ed., 1958, pag. 71 nt. 1), vedi le rassegne a cura di V1rrORE FIORE, in Cultura Moderna, Laterza, Bari. 2 Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale. Università di Padova. 1 Istituto di pedagogia (1959). 3 La civiltà contadina, Edizioni dell'Ateneo (Roma, 1959). La polemica sulla paternità dell'opera, l'azione intentata dal professore Fé d'Ostiani e il suo esito positivo sono motivi di cronaca estranei al nostro discorso. A prescindere dalla personalità dell'autore, che del resto da questo volume non esce affatto arricchita, a noi il libro interessa come documento di certe posizioni, note - in origine - soltanto nell'ambito esiguo di taluni gruppi cattolici cc dissidenti », e ora, invece, accettate persino in ambienti accademici. Lo sdegno di Fé d'Ostiani per il plagio del La.calamita, dimostra, co1nunque, interesse ad un'opera, la quale, priva com'è di rigore critico e di coerenza logica, non giustifica affatto tanta accorata concitazione (a meno che non la si voglia attribuire al Premio Viareggio, assegnato al libro nello scorso settembre e che adesso il Lacalamita è stato costretto a rassegnare). Più preoccupante, se vera, l'intenzione dell'U .N.E.S.C.O. di tradurre il libro in inglese e in non sappiamo quante altre lingue. Lo « scanqalo » recente e le prime incertezze sull' ath·ibuzione di questo mediocre pamphlet, se non altro hanno avuto il merito di impedire un vero e proprio attentato alla dignità degli studi nonchè all'emancipazione del mondo contadino. Naturalmente, ad ogni buon conto, e per non urtare la suscettibilità del Professore, il lettore, paziente, vorrà sostituire, ogni 18 Biblioteca Gino Bianco

che va ora estendendosi a quei settori della sociologia specialmente interessati alle forme cc universali » di vita rurale 4 • In realtà noi crediamo - e lo diciamo subito - che tutte queste voci, di diversa estrazione ma di eguale tendenza, risentano di errate impostazioni metodologiche, e traggano la loro monotona tematica da ..._ volta che lo inconhi in queste pagine, il nome di Lacalamita con il nome di Fé d'Ostiani, legittimo autore dell'opera in questione. 4 Per un orientamento generale cfr. la corrispondenza (pubblicata da « Comunità », n. 39, aprile 1956) tra Tullio Tentori, Robert Redfìeld, F. G. Friedmann e Gil Blas Tejeira. « È possibile parlare di società contadine in generale? Se la cultura, come gli individui - si domanda Tentori - è unica nei suoi intimi sentimenti qual' è l'origine degli atteggiamenti analoghi verso la vita? Sono questi forse il risultato di una identica struttura economica? Non tutte le rassomiglianze nello stile di vita del contadino si possono spiegare tramite le analogie esistenti nei loro rispettivi sistemi economici ». In realtà, tanto nelle lettere di Tentori, quanto e soprattutto in un articolo di Redfìeld è possibile scorgere la tendenza a proporre un criterio, o meglio uno schema tale da sussumere in una definizione universalmente valida le tante e diverse « realtà », le molteplici situazioni del contadino, viva questi in Italia o in Cina, in Colombia o nel più desolato villaggio del Thibet. Dire èhe « fra i contadini si dà grande importanza all'attività produttiva n, che cc nella vita rurale ha valore la sopportazione e non la violenza », che « il lavoro per H contadino non è solo un'attività secolare, come Io è per il moderno cittadino », che « il contadino dà valore· al decoro e alla modestia », che « i contadini in condizioni normali e tranquille non hanno senso critico », può avere un qualche valore soltanto se queste affermazioni si riferiscono ad una realtà storicamente e geograficamente determinata. Del resto, la discussione, imperniata sulle concrete esperienze dei partecipanti, più che le analogie, ha posto in luce soprattutto le differenze almeno riguardo a tre aspetti delle società contadine: lavoro sesso violenza. Così, come osserva Donald Pitkin, la dignità del lavoro, che qualcuno (il Redfìeld, tra gli altri) è portato a considerare una dote peculiare del contadino in quanto tale, è presente soltanto quando « le condizioni sono tali che il lavoro può essere dignitoso e non è solo una specie di disperata lotta per l'esistenza »; il che equivale a negare la generalità del criterio per richiamarsi alle singole situazioni, ai loro precedenti, alle cause immediate e remote. Ove si prescinda da questa elementare esigenza metodologica si cade nell'equivoco di enucleare dal vivo contesto della realtà e dell'esperienza storica una serie di schemi astratti, un « mondo » rurale di sempre, con la sua placida remota e immutabile Weltanschauung. Procedimento che poi non è molto lontano da quello così caro ai nostri teorici della « civiltà contadina n meridionale. Se il Tentori si proponeva di « evitare il pericolo di una concezione sia romantica ed idealistica sia falsamente realistica della vita rurale », è caduto - e con lui Redfìeld - in altro e non mend grave errore, col proporre e con l' accettare una serie di criteri meccanicistici, creando così i presupposti teorici e le cc strutture » sulle quali chiunque potrà poggiare la sua brava costruzione romantica, idealistica o falsamente realistica. 19 .. Biblioteca ·Gino Bianco

11n equivoco letterario, da schemi ideologici di natura spiccatamente romantica e, in definitiva, pericolosamente reazionari. Sia pur brevemente, mette conto richiamare i termini di t1na polemica, che sorta in occasione del Premio Viareggio attribuito alla memoria di Rocco Scotellaro (1954), ha avt1to momenti di singolare vivacità, suscitando interessi che trascendevano l'opera del giovane poeta lucano, per toccare la più ampia sfera dei prest1pposti ideologici dell'intervento meridionalistico, e dei rapporti tra civiltà urbana e mondo contadino. Oggi questa polemica pl1Òdirsi ridotta alle forme di un ostinato monologo, che tuttavia ancora si trascina, nonostante il dissenso e l'opposizione più volte manifestata da quei settori della cultura meric1io11alisticalegati ad una visione storicistica e ad t1n metodo di lavoro alieno da ogni concessione estetizzante o vagamente sentimentale 5 • « Il rinnovamento d'Italia co1nincia dai contadini del Sud )): così Gianni Baget 6 , sin dal titolo del suo saggio, affermava anni or sono una decisa, ·dichiarata posizione romantica, palese esasperazione dei pres11pposti politico-culturali che caratterizzarono il gruppo di « Terza generazione ». L' cc assimilazione » del Sud al Nord, l'adeguamento dei contadini meridionali alle forme, alle cor1cezioni e ai modi di vita della civiltà moderna, 11rbana e ind11striale; questa tesi « esplicitamente formulata dall'illuminismo, e cl1e lo storicismo ha semplicemente incluso nella propria visione dello sviluppo storico: cioè che la civiltà moderna sia la civiltà t1mana t1niversale, cl1e i suoi istitt1ti siano espressione di una superiore razio11alità e cl1e quindi l'umanità no11 moderna sia 11ecessariamente ordinata a riceyerli e ad in1itarli » 7 , questa tesi - si domandava il Baget - sino a che punto p11ò reggere alla critica, dimostrarsi valida e, soprattt1tto, vera? Conoscendo la tendenza della rivista, la sua ricerca di· una « vocazione nazionale », la risposta poteva considerarsi scontata. D'altra parte, prima ancora che il caso Scotellaro richiamasse, e in maniera· clamorosa, l'attenzione della cultura italiana, non tanto stilla questione contadina, quanto sulle interpretazioni che se ne continuavano a proporre nonostante la conft1tazione, stil piano politico, delle 5 Cfr. l'E<litoriale di « Nord e Sud », anno I, n. 1. Vedi anche di V. DE CAPRARI.1s, Orgosolo tra marxismo e mitologia, in «Nord e Sud», anno I, n. 3, pp. 11 ss. 6 In cc Terza Generazione », n. 10, luglio 1954. Per un'attenta confutazione di questa tesi da parte marxista, vedi ALICATA, Il meridionalismo -non si è fermato ad Eboli, in « Cronache Meridionali », n. 9, sett. 1954. 7 BAGET,art. cit. 20 BibliotecaGino Bianco

tesi leviane; prima ancora che i termini di « civiltà contadina» eccitassero la revanche sentimentale di giovani poeti e di architetti altrettanto giovani; quindi anche prima che la rivista di Ciccardini e di Baget manifestasse la sua singolare visione del problema meridionale, Nicola Matteucci e Federico MancÌni 8 , analizzando i motivi culturali e politici di « Terza generazione », formulavano un giudizio che poi ricev~va piena conferma dalla posizione assunta dal gn1ppo. « Avvertiti come siamo della cultura cattolica e '' contadina ' da cui provengono i redattori di '' Terza generazione" - scrivevano gli AA. - noi scorgiamo tutti i rischi cui essi possono andare incontro, anche laddove non siano consci delle implicazioni interne del loro discorso. Tra tali implicazioni ... v'è la retorica della Italia misteriosa e imprevedibile, solare e mediterranea, l'Italia dei due soldi di speranza; 1na allora - essi aggiungevano - retorica per retorica, noi dichiariamo di preferire un'Italia monotona, con molta nebbia, con molte case eguali e t1na civiltà che non si fondi sugli atteggiamenti irripetibili, bensì su di una tradizione istituzionale, europea ». E infatti, quasi a voler confermare questa previsione, il Baget si lanciava a capofitto nella polemica « contadina », assumendovi subito una posizione dominante. La sua vocazione, se poteva definirsi retorica nel senso di Matteucci e Mancini, andava però situata in una più ampia visuale, e cioè nella prospettiva di 11na coscienza ostinatamente restia a tutto quanto partecipi della civiltà moderna: pensiero, conquiste tee, nicl1e e istituzioni politiche. Non è qui il caso di vedere sino a che punto questa dispettosa rinuncia fosse mossa da ragioni sentimentali, poetiche, letterarie insomma; o si mostrasse invece legata a un conservatorismo, che a11che se travestito e coperto dalle sofistifìcazioni della nuova Arcadia, resta pur sempre espressione di una mentalità inguaribilmente reazionaria, chiusa alle sollecitazioni di un qualsiasi effettivo rinnovamento della società italiana. Purtroppo, le posizioni assunte oggi da Baget sembra110 confermare questa seconda ipotesi; purtroppo, perchè certi atteggiamenti - del resto scontati, e non soltanto per i letterati italiani 9 -, certi vagheggiamenti georgici, il mito del cc buon 8 Terza Generazione tra Gioberti e Gramsci, « Il Mulino », n. 29 (marzo 1954). Vedi anche l'intervento redazionale di « Nord e Sud », anno I, n. 1. 9 Cfr. ad esempio Calabre (Parigi, A.rtaud), di MARIE BRANDON-ALBINI, e la nostra recensione ne « Il Mulino » n. 79: « ... pour nous autres ... le Midi incarne ce qu'incame pour les autres Européens la _péninsule dans son ensemble: l'opposé 21 BibliotecaGino Bianco

selvaggio », la leggenda della felicità contadina tutto questo noioso e ingombrante bagaglio che taluni vanno trascinando da anni, puntualmente presente sotto spoglie diverse, ma sempre vecchio ed eguale nella storia delle nostre lettere 10 ; questa « amorosa menzogna » insomma, può anche perdonarsi per la sua fondamentale innocuità e per la sua capacità, in casi a·ssai rari, di riscattarsi in opere di vera de notre milieu habituel, l' évasion, la découverte et l' exaltante magie du solei! >>, o, ancora, e con più aperto richiamo alla tematica leviana: « .•• en verité le Midi est un pays dans notre pays, une civilisation originale à l'interieur de la civilisation nationale ». 10 La « scoperta » dell'animo contadino, almeno nella nostra letteratura, ha precedenti lontani e, relativamente ai bardi di oggi, assai illustri. In una pagina che sembra avere ispirato direttamente certa saggistica o certa narrativa del dopoguerra, il Nievo, parlando della sensibilità rurale affermava: « ..• succede a lei quello che avvenne alle piante b·opicali sorprese nelle terre polari dal raffreddamento terrestre; chè la vegetazione fu sospesa, e rimasero nè morte nè vive, esseri d'altro tempo, d'altro clima, estranei affatto alla vicenda de' mondiali avvenimenti. E di tali anime molte s' ascondono sotto la ruvida . corza de' nostri coloni, ne' quali sembra trapassare per eredità e viver continuo lo spirito di qualche remoto bisnonno; e noi tacciamo quei poveretti di morale obesità, mentre è memoria intima d'un passato volto a diverso avvenire, e sfiducia rassegnata nelle sociali sconcordanze. Si grida ovunque 'educateli!'. Ma pur bisogna apprendere prima di educare; ed io griderei: 'studiateli, amateli, imparate da essi ' : poi apprendete loro quelle poche nozioni utili delle quali vi siete avvantaggiati voi, o macchine moderne civili, con tanta jattura di felicità e di giustizia. Ma soprattutto non mandate loro missionari parolaj che insegnino la lettera, ma apostoli che trasfondano in essi lo spirito e professino la scienza della Vita e la Religjone della morale, non la dottrina dell'inutile e la filosofia del tornaconto I Verità e pratica, non sofisma e teoria! I Ecco se la volete l'educazione • delle anime primitive che vivono più di tutto nel cuore ». Oppure, con maggiore efficacia, e con linguaggio certamente più accessibile del dettato bagettiano: « Non bisogna al postutto P!endere ad immegliare le condizioni de' contadini come se si trattasse di una razza di cavalli; l'uomo prima di ogni altra cosa ama la libertà, onde converrà eh~ l'insegnamento ... si contemperi, momentaneamente, con l'abitudine; se l'insegnamento è buono ed utile, lasciatelo fare che naturalmente prenderà il disopra ... Insegnare il buono; capite? Non trasfondere noi i~ essi, il che sarebbe farli cadere dalla padella nella brage ». Se una posizione del genere, un secolo fa, poteva considerarsi addirittura rivoluzionaria, comunque profondamente illuminata, oggi, dopo quasi un secolo di studi e di esperienze, di essa non resta che l'invito alla « verità » e alla pratica. Del resto, a parte la vocazione tardo-romantica per la « rusticale famiglia » e l'odio alle « sconciature cittadinesche » non si dimentichi che i contadini di cui scrive ed ai quali pensa Nievo, erano e sono in una ben diversa condizione ciivle che non i nostri qui al Sud. Ma per un' e5atta interpretazione della polemica nieviana e dei suoi limiti, cfr. l'introduzione di E. BARTOLINI all'edizione delle Novelle Campagnuole (Mondadori, 1956). 22 BibliotecaGino Bianco

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