possibile scadimento del livello scientifico e critico degli atenei è molto forte, e solo pochi docenti si sono mostrati .disposti a considerare se non altro il problema. Nel 11umero dell'agosto 1959 de « La cultura popolare» - pubblicazione bimestrale dell'Unione italiana della cultura popolare - il professor Edoardo Volterra, richiesto di un giudizio sull'opportunità di un impegno universitario nel campo dell'educazione degli adulti, ha risposto affermativamente, ma ha osservato che nelle nostre Università da secoli è applicato, anche se non codificato. il pri11cipio che tutte le lezioni, le conferenze, i corsi fondamentaH e complementari, t1fficiali o non ufficiali, debbano essere pubblici. Chiunque, insomma, pt1Ò entrare liberamente negli Atenei, ed ascoltare, come studenti regolarmente iscritti, le lezioni impartite dai professori. È lln inerito notevole delle Università, n1a quanti realme11te possono usufruire di questa facoltà? L'esperienza, a11che quella delJe Università delle grandi città, freque11tate da decine di migliaia di studenti dimostra cl1e i freque11tatori volo11tari dei corsi sono rarissimi: è già molto se nei corsi dei docentj più famosi e autorevoli ve ne sono tanti da poterli contare sulle dita di una mano. Il principio è indubbiamente valido, e da mantenere, ma le Università potrebbero fare ben altro sforzo. Nella stesso 11umero della rivista dell'UICP, Guido Calogero si è dichiarato favorevole, senza riserve, all'introduzione 11elle nostre Università di quegli « extra-mural studies », o cc university exte11sion », che l1anno consentito al mondo accademico inglese di calarsi nel paese reale, senza perdere serietà o mordente sul piano della ricerca scientifica. Anzi, questo ormai lungo contatto con i problemi dell'educazione degli adulti ha avuto pt1re i11Huenze di rinnovamento fecondo sugli studi t1niversitari, persi110 in Università tradizionaliste e aristocratiche come quella di Oxford. È tutto 11nproblema da stt1diare, ma è sintomatico che al rece11te ,Convegno del cc Mulino » su cc Una politica per l'Università » non si sia potuto far cenno a questa im1Jortante prospettiva: la nostra U11iversità è ancora impigliata in elementari problemi di efficienza, e di distribuzio11e territoriale e 11011ha forza per occt1parsi d'altro. La radiotelevisione è u11altro potenziale strumento di educazione d gli adt1lti che ·11otrebbe svolgere u11a ft1nzione essenziale, nel senso di fornire alla generalità dei cittadini 1nezzi e stimoli di autoeducazione, dai più semplici ai più raffinati. Ma in complesso la RAI, nonostante qualche buona intenzione, si è dimostrata im1)ari al compito. Si prescinda dal Terzo Programma seguìto e seguibile, nella migliore delle ipotesi, da centomila persone: è 11n 1Jrogra1nma per iniziati, che non si po11e alcun problema di educazione degli adt1lti. Negli altri programmi radiofonici, e alla televisione, la ct1ltura appare troppo spesso nelle sembianze della Suocera e del Padre talvolta dello Zio Prete. Alla televisione ci sono alct1ni personaggj cJ1e potrebbero assurgere a simbolo delle idee che i dirigenti della RAI si sono fatti della cultura. C'è l' cc intellettuale televisivo », Emilio Garroni, ]a cui espressione e il cui tono hanno sempre, anche quando legge cose intese a divertire, 62 Bibliotecaginobianco
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