Nord e Sud - anno VII - n. 4 - maggio 1960

una ottima iliustraz1one, raggiunge buoni risultati nella rappresentazione del trauma della folla - motivo imperante della vita americana - rifacendosi nel contempo al satirico settecentesco inglese William Hogarth e allo stesso Baudelaire. Anche Jack Levine vi si riporta; e nel quadro « Studio per un processo » di notevole padronanza espressiva, rende presente con una tassellatura a macchie una atmosfera ambigua, fredda, mortuaria, resa più evidente dalle malformazioni ai visi e alle cose, raggiunte con un sistema analogo a quello degli specchi deformanti. Levine, dimostra in questa opera che, pur fuori della più originale tradizio11e d'arte moderna, un avvici11amento alla realtà è possibile, con criticismo e con verità, più di quanto facciano un Hopper o uno Scheeler: è la disumanità, la << macchina » del processo, che si evidenzia -nel suo ambiguo cromatismo, i cui contrasti luministici sono vicini a certa arte del Seicento. L'interesse per la realtà ha portato gli artisti fin qui citati a un eccesso di contenutismo, sorte comune - il parallelo non è privo di senso - a molta arte d'oltre cortina. Solo 11ella ricerca di valori assoluti che no•n si limitino a trasportare il reale sulla tela, ma che dall' apparenza risalgano all'essenza, rarte a1nericana riuscirà a offrirci i suoi migliori risultati. · Un primo •esempio l'abbiamo nell'arte di Ben Shahn, il pittore forse più tipicamente americano, ma nel contempo di maggiore statura i11ternazionale nell'ambito della figurazione moderna. Tutti e tre i quadri sono ottimi e ben rappresentativi. Nella « Primavera » (le. cui prospettive sono volutamente esagerate e dilatate verso il vertice al fine di alludere a un senso dell'infinito la cui conclusione è il vuoto dello spirito) si rinnovella, con tocchi vibrati di colore, la favola dell'amore nella periferia cittadina. È un quadro d'una gentilezza triste, chiusa e raccolta come la finezza antica con la quale è dipinto il fiore degli a1nanti, simbolo ormai pallido d'una poesia ormai perduta. Così, nel quadro intitolato « Epoca », attraverso la cadenza quasi isterica del circo, due ciclisti dal vuoto e spento volto scimmiesco, che sorreggono un piccolo uomo capovolto, ritmano nel cc si » e nel « no », nell'alternanza emotiva del rosso e dell'azzurro, nella caduta al grigio morente o al nero drammatico, la parabola ,della nostra civiltà. Una civiltà che comporta, al di là dell'affermazione o della negazione, una medesima realtà: il destino della tristezza e dell'estraneità, una vita in un mondo assurdamente costruito, quasi un circo, nella pregnante metafora che Shahn suggerisce. È chiaro quindi il passaggio all'ultimo quadro del pittore: cc Terza allegoria della Bibbia », una stupenda fantasia cromatica orientalizzante, che, nei simboli arcaici della « bestia» e del cc richiamo della fanfara », è un lirico quanto drammatico avvertimento al risveglio della • coscienza. Se Shahn si ricollega, nei suoi capolavori, alla migliore tradizione contemporanea che riguarda principalmente la situazione dell'uomo di oggi, Marin, esprime, nei suoi termini essenziali, visioni che si ricolle44 Bibiiotecaginobianco

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