Nord e Sud - anno VII - n. 4 - maggio 1960

Può accadere altresì che Alvaro indulga talvolta a una facile amarezza, a un banale pessimismo, crucciandosi di non aver seguito l'antico precetto « imparare a poter essere non buoni » - anche se non risale così in alto per il consiglio -; ma basta allora la felicità e verità poetica di una semplice proposizione perchè, di colpo, si sollevi e si nobiliti il tono: « Ma io sono irrimediabilmente cristiano. E perciò io stesso mi stimo meno » (p. 153). In verità spesso la sua arte ha bisogno di supporti allotri per nascere, per vivere. È stata notata da tutti i recensori dell'Ultimo diario la bellezza di questo frammento: « Ti dirò che e triste piangere dietro gli occhiali di vecchio 1t (p. 41). Ricordiamo anche cosa c'è accanto: << Cerco di capire che colore abbia questo dopoguerra leggendo i giornali più scandalistici. .. » (p, cit.). Non c'è iato, ma rapporto dialettico. È il tratto distintivo di quest'arte: una poeticità che vive in mezzo alle lotte politiche, alle passioni, ai vizi degli uomini, che appare quasi frutto di una colpa, o certo di un dolore, perchè nasce in un mondo disgregato, feroce. « Un uomo abituato all'antica, vede cedere improvvisamente e incredibilmente una ragazza, tanto da essere preso dal panico» (p. 101). Alvaro cerca di sconfiggerlo razionalmente questo panico, se ne addossa la colpa. In realtà esso è la voce della sua Calabria, la matrice della sua poesia. « Per molti anni ho dovuto accompagnare certi cari vecchi per le vie di una grande città moderna. Erano i cari vecchi del villaggio dove si crede che i capelli buttati diventino serpenti. .. » (p. 173). Ed è davvero un simbolo questa antica Calabria che si aggira per le vie di Roma; la città che è un po il polo dialettico del mondo di Alvaro, con la sua ansia di mutare, di vincere la corsa del « moderno » : « Non c'è paese al mondo dove il popolo cerchi, come da noi di disfarsi con tanta furia di tutto il senso della vecchia vita e delle testimonianze della vecchia vita. Disfarsi degli usi, dei costumi, dei modi, come se una intolleranza giovanile si fosse fatta strada nell'animo di uno dei più antichi paesi del mondo » (p. 174). Ancora « Roma vestita di nuovo », insomma, anche se cc i romani sono sempre quelli del Colosseo » (p. 41); e questa volta è Roma come specchio dell'Italia, con le sue virtù e i suoi vizi, visti in vitro, spaventosamente grandi, sofferti più che analizzati. Pure la forza di Roma è qui: Roma come il nostro modo di essere Europa. E Alvaro lucidamente se ne rende conto, e non esita ad attribuirle addirittura una funzione catartica: « Il rancore che ogni capitale ispira, è l'operazione liberatoria dei malumori senza destinazione di ogni cittadino. Le capitali sono fatte anche per questo, perchè i cittadini della nazione intera le addossino le loro colpe, che qualunque altra città o paese respingerebbero con ordini del giorno di protesta e dimostrazioni. Non si dirà mai tanto male di Roma da scalfire la sua pelle di bronzo » (p. 176). È una riconciliazione, non una dichiarazione d'impotenza. È una scoperta di umanità: « Mentre pioveva a diluvio, una giornalaia mi por~e il giornale piegandolo bene perchè io potessi riporlo asciutto in tasca. Fu come una buona parola detta al momento giusto, a un uomo con le mani intirizzite, stretto nel suo cappotto, l'ombrello grondante, i piedi nella melma. Quest'uomo si accorse dell'altra creatura chiusa nel suo scialletto: l'ultima giovinezza le scherzava nei capelli e sulla fronte, tra gli occhi. Là per là, quest'uomo fu pieno di amore pel mon111 Bibiiotecaginobianco

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