L'itinerario svolto in questo libro s'inizia dal confine orientale della città, procedendo lungo la strada delle Calabrie ed inoltrandosi, ath·averso i casali contermini di Barra (dove la lava non arrivò mai e perciò sussistono resti più antichi, risalenti perfino ai tempi delle cacce aragonesi) e di San Giorgio a Cremano. Attraversato poi il lunghissimo corridoio di San Giovanni a Teduccio, le abitazioni, se non più rade, oggi, si fanno eleganti e spesso sontuose. E siamo infine al vertice, non estetico ma gerarchico, della Reggia, che domina la strada stessa con i suoi corpi di collegamento. Più s{ procede verso Oriente, fino a Torre Annunziata, e più le ville diventano estrose, galantemente rustiche, campestri, nè più si aprono di rimpetto alle facciate di esse (che s'intravvedono ormai in fondo ai viali), quegli emicicli in cui trovavano ricetto i domestici e i cocchieri, le scuderie, le stalle, e a volte vi si incastrava al centro una chiesa, in modo da assicurare ai padroni così la protezione del cielo, come la diretta e immediata prestazione di servizi. Oltre Vanvitelli e Fuga, i protagonisti di queste eleganze architettoniche sono l'abate Sanfelice e Domenico Antonio Vaccaro, ai quali Pane acutamente attribuisce tutto quel che• ad essi spetta, vagliando stilisticamente . , ciascun opera. Naturalmente resta un drappello di minori e d'indipendenti artefici che potranno venire in seguito individuati, e che oggi rappresentano, tutt'insieme, l'espressione del gusto di un'epoca. Pane ha maliziose parole per il gusto di questi antichi signori che generalmente preferirono all'intimità d'un soggiorno arretrato dalla strada, l'immediato affacciarsi su questa, di dove pur dovevano arrivare rumori e voci; ed altre, nobilmente patetiche, a ricordo e a onore dell'ultima generazione dell'Ottocento, quella che fu ·stroncata dalla prima guerra mondiale, e con la quale si conclude la fortuna di queste ville settecentesche. [C. B.] Una « cronaca » di Debenedetti cc Fino a poche settimane prima, ogni venerdì sera, all'accendersi della prima stella, si spalancavano tutte le grandi porte della Sinagoga, quelle verso la Piazza del Tempio. Perché le grandi porte ... ? Perché invece degli sparuti candelabri, questo sfavillare di tutte quante le luci ... ? Perché ogni venerdì, all'accendersi della prima stella) si celebrava il ritorno del Sabbato ». È l'inizio venato di malinconia tuttavia sintomatico, pacato e sereno di una cronaca fra le più drammaticamente vissute e sofferte che la nostra storia recente annoveri, una cronaca allucinante nella sua fredda, obbiettiva essenzialità della deportazione dal Ghetto romano di oltre 1000 ebrei, ultimo atto di un'assurda vicenda e lugubre preludio alle Fosse Ardeatine, e che trovò in Giacomo Debenedetti non soltanto il cronista, ma lo storico attento e fedele, il critico e narratore scarno, sobrio, severo. Questa « Cronaca ,, fu pubblicata dalla rivista « Mercurio » in- un fascicolo dedicato alla Resistenza (dicembre 1944), e comparve poi in un volume nella collana •Confidenze-» 124 BibliotecaGino Bianco r
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