Nord e Sud - anno VII - n. 3 - aprile 1960

. .. .. .. . produzioni, di mappe (quella famosa del duca di Noja), di disegni, di incisioni, di piante, di sezioni. Quanto alle n1irabili fotografie degli edifici, che qui si vedono riprodotti per la prima volta, esse valgono già come prima interpretazione critica, così per la scelta e l'inquadratura dei particolari (quali vere e proprie citazioni dei testi monumentali) come per la compiuta illustrazione generale. Così che i vari episodi d'un edificio e d'un ambiente già vengono qualificati dall'obbiettivo prima ancora che la revisione storicocritica (che tien conto anche, nelle note, delle vicissitt,dini esterne e dello apparato bibliografico) si puntualizzi precisando il significato e il valore estetico di ciascuna cosh·uzione. Chè qui documentazione ed esame filologico si concludono sempre in un giudizio critico che definisce ogni singolo monumento, legandolo ad una personalità creatrice (mediante convincenti attribuzioni) e, infine, ad un particolare ambiente di cultura e di gusto, concretamente storicizzato. Nel saggio introduttivo Pane traccia a grandi linee la storia del Rococò napoletano (così diverso da quello estetizzante e galantemente grottesco di Sicilia), che cerca sempre l'integrazione nella circostante natura, mettendo a profitto le visuali del mare e del vulcano, cui tende l'orientamento stesso degli edifici, attraverso la mediazione di terrazze, scalee, chioschi, padiglioni; questi ultimi in istato, la più parte, di totale abbandono, mentre che i parchi e giardini, tra i quali sorgevano, son ridotti ad orti e concimaie. La speculazione privata, man mano che agli antichi signori succedevano proprietari sempre più rozzi, fino ai « pescicani » della penultima guerra mondiale e agli « intrallazzisti » di questa attuale (con la buona pace di benemerite eccezioni), continua indisturbata la sua opera di manomissione, che è, tante volte, di vera e propria distruzione, con occlusione di aperture, tamponamenti di scale, sbriciolamento d'archi e colonne, con una vera furia vandalica per cui, anche ad un solo anno di distanza, appare visibile l'opera di ulteriore sfigurazione d'un atrio, d·un cortile, d'una facciata; ed alti alberi sono stati atterrati, la capricciosa decorazione degli stucchi più gravemente scrostata, e intaccato perfino il paramento della pietra lavica. Innanzi tutto, dunque, l'esosità dei nuovi padroni, la cui sete di lucro è la forma aggressiva della loro insensibilità artistica e culturale; una forma di micidiale analfabetismo. Poi i delitti della guerra, che, se risparmiò una ancora riparabile rovina (Villa Campolieto di' Vanvitelli con lo scalone, l'atrio circolare a colonne), sfregiò inesorabilmente quel prezioso scrigno rococò, di una grazia da ebanisteria di lusso, a profili arrotondati, a cornicione inflesso, a smerlettature nelle mostre dei balconi, a ombreggiature del bugnato nel sontuoso portale che regge il grande balcone d'onore: la villa dominata dallo stemma policromo dei principi Pignatelli di Montecalvo attribuita all'abate Sanfelice. Nè basta; dopo la fine della guerra lo scempio è continuato, indipendentemente dal fatale decadimento. È sopravvenuta l'alluvione di cemento dell'Ina-Casa che è penetrata ovunque, colmando parchi e giardini, asserragliando le antiche ville a siti di delizie tra bastioni di muratura, distruggendo siti pittoreschi e ambienti caratteristici, ·e sconvolgendo finanche la rete ·stradale. 123 BibliotecaGino Bianco

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