Nord e Sud - anno VII - n. 3 - aprile 1960

. •• . allora era intento un docente di filosofia del diritto, per l'accertamento di" un codice consuetudinario che vjgeva, e vige ancora, in seno alla comunità pastorale barbaricina. Tale codice ha trovato la- sua sistemazione jn una pubblicazione dell'istituto di Filosofia del diritto dell'Università di Roma, intitolato La vendetta barbaricina co1ne ordina1nento giu:ridico (Giuffrè, Milano 1959). L'autore, Antonio Pigliaru, si è avvantaggiato, nella sua inchiesta, di interviste individuali e collettive, di incontri « alla macchia », della conoscenza diretta dei vernacoli parlati dai pastori e persino dal loro gergo. H.a inoltre esteso l'indagine ai proverbi, ai detti, alle testimonianze poetiche popolari, dove ancora al presente è condensata la concezione della vita del pastore barbaricino: una concezione - come dimostra l'autore - « ancora rigorosamente naturalistica » al punto che « ...in effetti, distinguendo i piani culturali, tutto il XVIII capitolo del Principe, quello che tratta della virtù come capacità di farsi• valere anche entrando nel male, se si sia a ciò necessitati, è un capitolo che potrebbe esser riscritto in dialetto barbaricino e riferito in prima persona come un pensiero non segreto del pastore barbaricino» (p. 194). Frutto di questa rigorosa indagine è l'accertamento dei casi, elencati uno per uno all'art. 14 del Codice, in cui la comunità pretende dai suoi men1bri, come prova di virjlità e di fedeltà sociale, pena la ,, scomunica», la vendetta. Chi si astenga dal compierla decade immediatamente nell'estimazione generale al rango di re1nitanu (=accattone, miserabile, ignavo, smidollato) in contrapposto a quello che deteneva, alla prova immeritatamente, di balente, abile, hòmine (=valente, ardito, energico, « homs ». e « vir » insieme, «virtuoso»): donde balentìa, hominìa (=impresa esemplare, di uomo che si fa valere). Mentre l'art. 13 ci rende conto che il mero danno patrimoniale non riguarda la vendetta in quanto il derubato può compiere un atto di riappropriazione, altra cosa è, in in questo codice, difendere il proprio onore, difendere quel particolarissimo e specialissimo patrimonio che è l' onore. « Tuttavia resta che alcune cose che sono danno patrimoniale offendono, e finiscono con il riguardare questo codice, con l'interessare la vendetta ». Così il furto o sgarrettamento di una vacca destinata in dono al neonato, alla sposa, all'orfano è passibile di vendetta; mentre non è possibile di vendetta la razzia di un armento; grida vendetta il furto di una capra da latte destinata ali' alimentazione del complesso familiare, non la grida la razzia di un branco di capre ... Gli articoli del Codice sono ventitré: di cui dieci riguardano i principi generali, sette le offese, sei la misura della vendetta. L'esame particolareg- , giato degli articoli esorbiterebbe dai limiti di una nota che volesse essere qualcosa di più di un invito a ricorrere al testo in tutte le sue parti, che pongono problemi generali e particolari di dottrina e vi rispondono esaurientemente e ci sembra in maniera convincente. Ci limiteremo a segnalare che, attraverso tre proverbi (spetta a Dio, uccidere - il sangue non è acqua - la morte per uccisione non si dimentica mai, nemmeno in cento anni) viene a essere dimostrato che « l'offesa del sangue appare la più grave ma non l'unica capace di legittimare la vendetta e nel ritmo che misura l'intensità della pena, non è l'unica a legittimare il ricorso al peggio ». Notevole la dimostrazione del come la comunità si presenti quale comu117 Bibli tèca Gino Bianco

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