cui carattere informativo non è esclusivo; che è evidentemente nata nel corso delle ricerche compiute dall'Autore in vista di la ori più ampi e di carattere siste1natico; e che sollecita -quindi, nella maniera più viva, ad un djscorso approfondito sulla natw·a ed i confini della sociologia industriale. Qui noi vorremmo, tuttavia, riferirci unicamente al lato informativo del lavoro del Ferrarotti, che, senza essere esclusivo, è pur sempre di gran lunga prevalente. Una osservazione ci sembra innanzitutto scaturù·e dalla pagine del Ferrarotti: la sociologia industriale - nonostante precedenti anche illustri in Gran Bretagna, Francia e Germania .- ' soprattutto uno sforzo di approfondimento della realtà industriale che è nato e si è fatto le ossa negH Stati Uniti; durante H terzo decennio di questo secolo, un po' in vista di finalità di ordine pratico e un po' come naturale svHuppo di lavori precedenti. Dalla sua pab·ia an1ericana la sociologia industriale si è venuta poi diffondendo - dopo l'ultimo conflitto mondiale - nei paesi europei con sviluppi particolarmente interessanti in Francia ed in Germania, e conservando, ed anzi accentuando il suo carattere pratico in Gran Bretagna. Ciò conferma ancora una volta la particolare e complessa genesi della sociologia contemporanea in Europa dopo la fine del positivismo; e costituisce uno dei punti meglio, anche se non esplicitamente, chiariti dal Ferrarotti. Accanto a questa, altre due considerazioni ci sembrano particolarmente interessanti: I) il rapporto strettissimo tra sviluppo economico, situazione politica e studi sociologici; II) lo stato ancora largamente fluido che la sociologia industriale conserva un po' in tutti i paesi, sia per quanto riguarda i suoi metodi che la sua stessa definizione. Quanto al primo punto, ciò che il Ferrarotti dimostra per la sociologia indush·iale non fa che convalidare quanto già si sapeva ed era ben noto per tutto l'ambito della ricerca sociologica. Il pericolo che il sociologo degradi, magari inconsapevolmente, a mero organo tecnico ed esecutivo del potere politico ed econo1nico o addirittura a strumento di propaganda e di' dominio culturale o politico, è un pericolo sempre assai vivo, nelle democrazie non meno che nelle dittature, e che purtroppo non si risolve soltanto sul piano della « pulizia » nelle fonti di finanziamento delle ricerche, ma anche e soprattutto su un piano più sostanziale di indipendenza scientifica e culturale. Quanto al second punto, il Fe1Tarotti mostra nitidamente lo sviluppo della sociologia industriale dallo studio isolato dell'unità di produzione a quello della civiltà industriale in tutte le sue istanze e articolazioni. Senonchè, proprio in ragione di questo allargamento del campo di indagine la sociologia industriale pare aver perduto il suo centro di gravitazione n1etodologico e dottrinale, ondeggiando incerta tra il lavoro volto a raccoglier dati di fatto che, non dominati da '-1na salda impostazione di metodo, finiscono col perdere ogni rilevanza scientifica e, d'altro canto, una metafisica dell'industrialismo, che è ancor più aliena dalla vocazione e dal destino della sociologia contemporanea. Vorremmo ora fare un rilievo sulle pagine dal Fen4 arotti dedicate all'Italia, che sono peraltro esatte e bene informate quanto quelle dedicate ad altri paesi. « Come mai », egli si chiede, « le varie correnti sociologiche italiane, per quanto numerose e abbastanza vivaci, anche se non sen1pre chiaramenJ-0 orientate rispetto all'indagine sociale vera e prooria, non seppero op113 Bibliotecaginobianco
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