poteva definire una delle primarie regioni del Mezzogiorno, la Sicilia, una otiosa · procuratiuncola, e se nella nostra epoca il grande meridionalista Giustino Fortunato, con una delle sue frasi incisive, immedesimava la storia del Mezzogiorno con la storia della malaria? L'essere preda continua di tutti i conquistatori, dai Bizantini ai Normanni, dagli Svevi agli Ara bi, dai Francesi agli Spagnoli, l'essere vittime perpetue durante le guerre dei pretendenti, durante le stragi e le devastazioni e il non aver mai potuto elevarsi alla dignità di un viver civile, doveva naturalmente sviluppare nella gente meridionale i difetti delle popolazioni misere e indifese: la servilità, la falsità, la millanteria, la violenza unita alla viltà. Vi era un proverbio del '500 che diceva: « Regnum neopolitanum Paradisus est, sed a diabolis habitatus ». Il regno di Napoli è un paradiso abitato da diavoli. A decine e decine potrebbero citarsi i giudizi ben poco lusinghieri che ambasciatori, cronisti, poeti, artisti, notai, viaggiatori e uomini d'arme ci hanno lasciato in ogni secolo su queste infelici popolazioni, la cui esistenza è sempre stata una impotente .sopportazione, illuminata talora da :fiammate di selvagge crudeli rivolte. Il primo incontro a conclusione delle guerre risorgimentali tra il Nord e il Centro d'Italia con il Mezzogiorno, incontro oleograficamente rappresentato dalla stretta di mano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi press~ Teano, fu un cozzo tra due mondi socialmente e moralmente assai differenti. Di questo cozzo di cui il conte di Cavour riceveva l'eco dai suoi fiduciari nelle varie regioni del Sud, il documento più noto è il lungo rapporto di Costantino Nigra sulla Luogotenenza di Napoli inviato al grande Ministro un mese circa prima che egli morisse. Le frasi che di esso rapporto, bastano a giustificare quanto scriveva Cavour alla vigilia della riunione del primo Parlamento italiano, che cioè mettere in armonia il Nord con il Sud offriva altrettante difficoltà che una guerra con l'Austria e la lotta con Roma : « Ben si può dire con tutta verità come ogni ramo di pubblica amministrazione fosse sotto i Borboni infetto dalla più schifosa corruzione. La giustizia criminale serva alle vendette del Principe; la civile, meno corrotta, ma incagliata anch'essa dall'arbitrio governativo. Li bertà nessuna, nè ai privati nè ai municipi. Piene le carceri e le galere dei più onesti cittadini commisti a' rei de' più infami delitti. Innumerevoli gli esiliati. Gl'impiegati in numero dieci volte maggiore del bisogno. Gli alti impieghi largamente pagati, insufficientissimi gli stipendi degli altri. Quindi corruzione e peculato ampiamente e impune102 BibliotecaGino Bianco
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