L'atteggiamentodi alcune sfere dirigenti - Ma si è trattato solo di superifìcialìtà ? In verità non sono mancati, nei ceti dirigenti, coloro che hanno nutrito una vera e propria diffidenza per la diffusione della scuola e della cultura e che si sono adoperati per ostacolare questa diffusione. In un opuscolo pubblicato a Bologna nel 1920, FranceSco Nicolai, studioso dei problemi della scuola, scrive tra l'altro: « Nel 1894, mentre neppure la legge marziale e le più spietate condanne bastavano a spegnere in Sicilia il movimento sociale dei Fasci, il fiore del patriziato e dell'alta borghesia dell'isola, raccolto in Palermo nella sala Ragona, indicava come supremo rimedio dei mali del momento l'abolizio-ne della scuola popolare, colpevole a un tempo di dissestare le finanze dei comuni e di accendere nelle coscienze dei cittadini una prima idea dei loro diritti. Ben lungi dal riconoscere la nobiltà di una scuola diretta a promuovere la cultura, ad assicurare il benessere, ad innalzare il livello di vita di tutti i cittadini ed inevitabilmente destinata a risvegliare nella coscienza dei lavoratori il sentimento di nuovi bisogni e l'idea di profonde riforme sociali, gli amministratori ed i ricchi _proprietari della Sicilia non negavano del tutto l'opportunità di istruire le moltitudini, ma, identificando gli interessi generali col loro interesse di classe, giungevano soltanto ad ammettere una educazione che instillasse nel cuore della povera gente le modeste virtù della rassegnazione, dell'umiltà e dell'obbedienza, sognavano insomma una scuola del popolo al servizio dei signori. Questo atteggiamento delle classi dirigenti verso la scuola popolare, se assumeva in Sicilia la rr1anifestazione più scandalosa, si manifestava peraltro con ogni evidenza in tutte le regioni della penisola. Le relazioni ufficiali pubblicate in quel tempo doloroso intorno alle condizioni dei locali scolastici non rivelavano solta11to le miserie e le colpe delle amministrazioni meridionali, ma documentavano anche l'incredibile incuria di parecchi ~omuni dell'Italia centrale e del Nord. Le grandi città gareggiav~no coi villaggi nel deprimere l'istruzione popolare. Nel 1898, mentre il sindacò di San Marco in Lamis, più non sapendo come resistere alla legge e all'auto-rità tutoria, inviava una supplica al re perchè esonerasse il suo comune dall'obbligo di aprire le scuole, il sindaco di Roma tentava con un atto di arbitrio di dimezzare d'un colpo lo stipendio legale delle maestre». Nel 1881 Milano contava più analfabeti di dieci anni prima: erano i frutti della politica scolastica del ~empo.. E si capisce come doveva essere difficile qualsiasi azione intesa a promuovere l'istruzione popolare. Nel . 1897 i comuni di San Remo e _di Pavia incominciarono ad elargire la · . I [69] iblioteca Gino Bianco
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