Nord e Sud - anno VI - n. 61 - dicembre 1959

nale alla potestà statutaria dei partiti : chi vorrà ammettere, poniamo, che alla testa di una grande partito nazionale possano trovarsi degli stranieri, o dei cittadini privati dei diritti politici, com'è accad11to,o che costoro possano esercitare un'aperta influenza sulle determinaz1oni di tale partito? E nessuno vuole, soprattutto, che la « democrazia interna >> sia posta sotto la salvaguardia del governo piuttosto che della magistratura: e prima ancora che della magistratura, di speciali organi interni di controllo, inseriti negli statuti in forza di legge. L'esperienza storica insegna, ad esempio, che il moderno ampio diritto delle società per azioni ha il suo punto di partenza precisamente nell'abbandono, da parte dello Stato, della precedente ingerenza esercitata a tutela dell'interesse pubblico in via an1ministrativa: ma anche nel deciso rifiuto della tesi di coloro che, con1e il Fréméry, ritenevano largamente sufficienti le regole ro1nanistiche sul contratto di società e, per tutto il resto, la << libertà >>. Quale genere di « libertà >> finiscano col proteggere queste forme di diffidenza verso lo Stato e la legge, indicano esemplarmente le vicende della legge Vigorelli sulla validità.« erga omnes » dei contratti collettivi di lavoro: dove, per disapplicare la Costituzione cedendo a burocrazie sindacali timorose della pressione democratica dei lavoratori (accusati poi di « inerzia >> sindacale I), non si è esitato ad attribuire al governo il potere assai più grave, e del tutto incostituzionale, di dar vigore con propri decreti a quei contratti collettivi cl1eesso ritenga intervenuti tra le associazioni « maggiormente rappresentative >>. Nè ci si deve dissimulare il duro colpo che per questa via si è indirettamente irrferto anche alla tesi della disciplina giuridica dei partiti politici. Quest'ultima viene poi impugnata sulla base di una diagnosi storica della Costituente italiana, e della realtà costituzionale presente. E' una diagnosi che, per le suggestioni delle quali è carica, e per l'esatta individuazione del terreno su cui muovere, merita indubbiamente più lungo discorso. Quella del 1948 sarebbe stata, dunque, la Carta di uno Stato « pluralista >>; vale a dire un compromesso tra ordinamenti giuridici ben vivi e vigenti, ciascuno dei quali si riservò, serrandola dietro cancelli costituzionali, una propria sfera intangibile dall'azione dei poteri pubblici. E il Rescigno, il quale, sulle orme di Dossetti, lamenta che tra qt1este « immunità >> figuri quella dell'ordinamento proprietario borghese, canta tuttavia i « piccoli mondi dove lo Stato - il funzionario il giudice la legge il regolamento - non [28] Biblioteca Gin Bian.co

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