Il diritto dei partiti di Paolo Ungari I. Malgrado certe apparenze, l'invito rivolto su queste pagine, da Vittorio de Caprariis (1), per una nuova riflessione e ricerca intorno ad alcuni problemi istituzionali delle democrazie - sulla strada cl1e conduce a colmare un vuoto aperto della nostra critica politica - non cade fuor di stagione. Si sperdono lenti gli echi del dibattito sugli « apparati ))' la più appariscente almeno delle sue occasioni prossime: ma senza che si veda raccolto quel frutto di ragionate conclusioni di merito, che era pur giusto sperare da un tema che concentra per così dire in un fuoco molte e inquiete domande sulla vitalità concreta del nuovo Stato italiano. Era asceso, quel tema, sull'orizzonte dell'attualità tra il '56 e il '57, quando 1 'ombra della ~clerosi bttrocratica sembrò stendersi quasi contemporaneamente sui maggiori partiti, e avvolgerli in un silenzio inerte di morte: il PCI in faccia alla rivolta ungherese, il PSI dopo l'ambiguo congresso di Venezia, la DC sotto la « lunga segreteria >> fanfaniana, nella crisi del centrismo e dell'Europa ponevano tutti ai propri militanti dure e perentorie alternative di coscienza. Ma tra questi partjti e i gruppi che sotto la pressione degli avvenimenti cercavano di aprire processi di revisione, di elaborare risposte politiche nuove, di additare iniziative risolutrici venivano in cruda luce alte barriere organizzative: nè era via aperta a tutti la (1) Cfr. Problemi istituzionali della de"!ocrazia moderna, « Nord e Sud ))' giugno 1959, pp. 15-31, nonchè Il problema degli appqrati, ivi, agosto 1957, pp. 23-24, e Ancora sul problema degli apparati, ivi, agosto 1958, pp. 77-82. [15] . Bibliote.,aGino Bianco
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