Poste queste premesse, il De Martino viene ad illuminare i rapporti tra la magia lucana e la forma religiosa egemonica, cioè a dire il cattolicesimo meridionale. Chi come noi, per dirla con l'A., è « prigioniero di una polemica confessionale)), non riesce ad intendere che cosa abbiano a fare il Sacrificio della Messa e i Sacramenti con i relitti 1nagici della terra di Basilicata; che questi riti, mediatori di altissimi valori, possano ricadere « in angustissimi orizzonti>> per chi non vi assiste con la necessaria disposizione d'animo, o per chi « ignora le distinzioni della teologia cattolica)), è molto probabile; ma ciò autorizza tutto al più a riconoscere che accadano « manifestazioni di sincretismo e di riadattamento)), dovute alla persistenza di certe condizioni ambientali e culturali e all'ignoranza dei significati e dei valori religiosi. Che queste manifestazioni possano imputarsi, poi, all'influenza del clero, così genericamente inteso, è cosa che, almeno nel volun1e del De Martino manca di chiare prove. . Indubbiarnente, però, il De Martino ha ragione quando si pone il problema di come questi aspetti così scopertamente negativi possano sussistere proprio in queste terre, dove « balenarono con i Bruno e i Campanella temi di pensiero che notevolmente concorsero a rompere la tradizione della magia cerimoniale e demonologica del Medioevo >>(p. 128); di come un'alta cultura possa qui coesistere, senza influenzarle, con << arcaiche formazioni mentali popolari>>. Si tratta, in definitiva, di discutere, anzi di misurare, per dirla con l'A., « la partecipazione del pensiero meridionale alla grande alternativa magia-razi9nalità, così importante ... per la nascita della .civiltà moderna>>. Il problema esiste, nè sembra discutibile, anche se forse un po' troppo angusto può essere considerato l'angolo visuale scelto per inquadrarlo. Si propone, infatti, il De Martino di analizzare quel che egli chiama « un processo minore in seno al tardo illuminismo napoletano)> e cioè « la trasformazione della fascinazione tradizionale in quel prodotto ideologico e di costume che verso la fine del '700 ebbe origine a Napoli e che da Napoli si diffuse nel resto d'Italia sotto il nome di jettatura >>. La cultura napoletana, infatti, che aveva largamente partecipato nel Rinascimento alla risoluzione umanistica dell'alternativa medioevale tra magia e razionalità, resta stranamente assente, una volta assimilato l'illuminismo anglo-francese alla fine del '600, alla più decisa risoluzione della magia naturale nella serenità dei lumi della ragione. Questo ulteriore passo la cultura, che aveva consegnato all'Europa Giannone e Genovesi, Filangieri e Vico, non riesce a compierlo; si adagia, invece, in una sorta di « compromesso psicologico, caratteristico rispetto all'ambito del diversamente orientato costume illu.ministico europeo>> (p. 148). Nasce la jettatura, una nuova formazione ideologica e di costume, che pervade le classi colte e crea una moda letteraria. I visitatori stranieri del secolo successivo, da Meyer a Dumas, ne sono colpiti e sorridono; ma in realtà non la comprendono nel suo significato autentico. I romantici, come Gauthier, lasciano che lo jettatore trascolori negli stampi dell'eroe satanico alla Byron, un personaggio tutto diverso. La polemica protestante infine scambia la jettatura con una sc~enza. Vero è che la jettatura è fenomeno di grande interesse sul piano della costumanza locale e « resta sostanzialmente refrattaria ad ogni riplasmazione romantica>> (p. 171). Questo compromesso tra il serio e il faceto, questa « irrilevante filosofia>> è, in realtà, un interessante prodotto culturale della storia del Regno di Napoli. Qui le condizioni vietavano « quella opzione a favore del razionale che già Bacone e Cartesio avevano, ciascuno a suo modo, sperimentato>> (p. 176); qui la storia era una non-storia, per stare alla felice formulazione crociana, e la presenza del negativo, quotidianamente sperimentata, induceva la cultura a non impè- [122] BibliotecaGino Bianco
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