tanto, s'imponeva un intervento drastico e delle riforme che riconducessero ad una situazione di normalità; occorreva ammettere la necessità di una politica di spese pubbliche per spezzare la spirale della recessione. Ma il Partito Repubblicano, al potere da dieci anni, era ideologicamente e politicamente immaturo: per bocca di Coolidge o di Hoover esso si era fatto un vanto di rappresentare, magari in perfetta buona fede, l'America dei big business e del liberalismo più assoluto e più cieco, ed era troppo convinto dell' eccellenza dei suoi principi o troppo legato al1'ambiente dei « grandi affari » per poter rovesciare un atteggiamento tenuto per tanto tempo. « Adamo Smith - doveva scrivere più tardi Felix Frankfurter - era trattato come se i suoi principii gli fossero stati impartiti sul Monte Sinai ... » : era un'ideologia, l'ideologia del liberismo assoluto e dell'assoluta assenza dello stato nelle vicende della vita economica e sociale, assai più che lo spirito di casta, ciò che accecava il ceto dirigente repubblicano. Basta pensare alle idee dominanti tra i membri della Corte Suprema ( « il Quattordicesimo Emendamento non sanziona la Statica Sociale di Herbert Spencer », fu costretto a dire il giudice Holmes nella memorabile opinione di dissenso nella causa Lochner v. New York del 1905), alla disperata battaglia che questa condusse contro la legislazione del New Deal, colpevole, ai suoi occhi, di violazione dei sacri principii, per rendersi conto di ciò. E fu appunto tale ideologia ad essere definitivamente sconfitta negli anni della crisi:_ mi pare che l'autore abbia perfettamente ragione nell'osservare che, per quanto nei loro discorsi vi sia sempre l'eco della polemica liberistica, gli uomini dell'industria e degli affari hanno, in America, accettata come irreversibile la politica d'intervento e di controlli del governo federale. Giustamente l'Einaudi insiste sul carattere pragmatistico ·e sperimentale della politica di Roosevelt, sul fatto che le varie misure tradotte in / pratica nei famosi « cento giorni » e negli anni tra il '34 ed il '38 non facevano parte di alcun piano prestabilito, mirante ad importare negli Stati Uniti una qualsiasi forma di collettivismo. Roosevelt voleva agire nel quadro dell'ordine esistente (e se qualcuno dei suoi consiglieri pensò che le intenzioni fossero diverse, sì che denunciò poi il tradimento degli ideali originarii o· parlò di 'primo' e di 'secondo' New Deal, questa fu illusione di cui certo non può essere tenuto responsabile il Presidente), badando prima a ridare un· po' di movimento nell'apparato produttivo del paese ed una speranza di miglioramento prossimo ai ceti maggiormente colpiti dalla crisi, e provvedendo poi a mutare e a democratizzare le strutture della vita economica e sociale in modo da correggere il più possibile quelle deviazioni che avevano portato al crollo del '29. Il National Industry Recovery Program, il programma di miglioramenti agricoli, la costituzione di un fondo federale di assistenza, la politica di spesa pubblica federale (questa, però, più limitata di quanto alcuni, e Keynes tra loro, avrebbero voluto), rientravano tra le misure per così dire di congiuntura; il gigantesco progetto della TV A, il Public Utilities Holding Companies Act (con cui si smantellavano le holdings parassitarie e si regolava il settore delle fonti di energi~), il Fair Labor Standards Act e il N ational Labor Relations Act (con cui si [113] · ib ioteca Gino Bianco
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