Nord e Sud - anno VI - n. 61 - dicembre 1959

conclusione è che l'operaio esce dalla fabbrica nella medesima posizione in cui vi è entrato. Affermare il contrario vuol dire negare i fatti, per cullarsi nella retorica. Del resto, tale realtà è riconosciuta dagli operai stessi: Ely Chinoy, i11 un breve, ma succoso "articolo di qualche anno fa (3), giunse alla stupefacente scoperta che il 12% della massa umana riteneva d'avere delle possibilità di successo al di fuori della compagnia; 1'8% di divenire capi-operai; il 5% di qualificarsi; mentre ben il 75% non vedeva davanti a sè che la stessa vita sino alla fine con dei piccoli passi in avanti che non si sa bene se fossero voluti per distrazione ironica o per sostituzione 1nentale. Sembra che nelle grandi società industrialj, nonostante il continuo miglioramento economico generale, la delusione sia tanto intensa da non esitare ad adoperare la fede nel progresso per maschera anestetica. Tuttavia, sarebbe profondamente errato e 1nalsano guardare indietro. La situazione 110n è disperata, solo che si 1netta110 da parte i pregiudizì. Innanzitutto, convjenc sottolineare la distinzione tra la vita dell'operaio come operaio e come cittadino. Se le opportunità d'avanzamento si sono attenuate fino a· scomparire nella prima, se n'è assistito, invece, a una fioritura prima mai vista nella econda, che non si esauri ce affatto nel lavoro. Qui si presenta t1n'alternativa: o s'insiste a voler dare un significato anche a quell'altro aspetto della vita, o ùemplicen1ente lo si considera una mera .. necessità, dalla quale non ci si può aspettare alcuna soddisfazione. E non c'è dubbio che la maggioranza, come ha dimostrato il Mciver in Occupational Choice) abbia scelto que ta via, anche se vi fossero aperte loro delle possibilità d'avanzamento nel lavoro. Dopotutto, essa consente una vita più tranquilla e aliena da sacrifici, che vanno ineviLabilmente congiunti al perseguimento d'ogni piano dettato dall'ambizione. Ciò spiega anche perchè, in linea di 1nassima, gli operai non siano scontenti del lavoro per mancanza d'opportunità o per incapacità di farne uso. È chiaro che il malcontento e relativo all'aspettativa; ora, se questa non e iste, il malcontento non può nascere. S'intende: malcontento circa l'avanzamento. Esso trova (ma troverebbe in ogni caso, seppure con meno intensità) altri sbocchi: salari, pensioni, meno ore di lavoro, per esempio. In conclusione, la maggior parte della gente attende poco o nulla dal proprio lavoro, a parte un confortevole standard di vita e una certa sicurezza psicologica. In fondo, prevale la vecchia idea che il lavoro sia una maledizione, niente affatto connesso con lo sviluppo della personalità e da considerarsi egoisticamente in vista dei propri fini. Inoltre, si suole aggiungere, a sostegno di tale attitudine, che il sindacato, conse11tendo all'individuo d'incontrarsi con coloro che dividono il s11Odestino, e (3) The t1·adition of oppartunity and the aspirations of automobile workers, in The American Journal of Sociology, Marzo 1952, pp. 453-9. [108] Biblioteca Gino Bi.anca . .

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