Nord e Sud - anno VI - n. 60 - novembre 1959

• Stato e degli ufficiali con gli stranieri, al progetto Lebrun del 1910, tendente a rendere ancor più rigorosa di quel che era la tassa di soggiorno. Senza cessare, dunque, il flusso migratorio italiano verso la Francia diminuì sensibilmente in quel periodo e l'emigrazione italiana rispose solo parzialmente alla ingente richiesta cli manodopera avanzata dall'industria francese nel 1913, quando venne privata di buona parte della manodopera nazionale· a seguito del decreto che portava a tre anni la ferma della leva militare. Nel 1916, l'opinione pubblica francese era «matura» per accettare la firma dell'accordo emigratorio De Michelis-Thomas che istituiva per l'italiano emigrato in Francia il pagamento della « indemnité de dépaysement » cli cui si è già parlato, per quanto questa indennità straordinaria equivalesse a una maggiorazione del salario dell'operaio italiano rispetto a quello dell'operaio francese della stessa categoria. Da quanto precede, risulta dunque che l'emigrato italiano non viene assistito·sul piano dei rapporti tra Stato e Stato, in quanto da parte italiana si accettano senza fiatare le situazioni più assurde, come quelle consecutive alle svalutazioni che in due anni hanno colpito il franco francese e, di riflesso, il bilancio di ciascuna famiglia di emigrati. senza contare il bilancio dello Stato. Resterebbe da auspicare che l'emigrato fosse assistito almeno quando si trova in Francia sul posto del lavoro, ma, anche qui, l'insieme della situazione è lungi dall'essere brillante. Vi è innanzitutto una incongruenza in termini nella legislazione francese per quel che riguarda l'immigrazione di manodopera straniera: da un lato, con le leggi civili, fa di tutto per colmare la grande lacuna provocata dalla scarsa densità demografica, favorisce l'introduzione nel circuito nazionale di manodopera straniera, specie italiana, e una volta che questa manodopera è sul posto, ne favorisce entro certi limiti abbastanza ampi l'impiantazione a mezzo della naturalizzazione. D'altra parte, con tutta una rete di disposizioni economiche e sociali, mostra di essere ispirata a concetti strettamente protezionistici, tanto estesi e tanto radicati, da essersi infiltrati persino nell' « internazionalismo » delle organizzazioni operaie. Per giudicare della forza degli intenti protezionistici da cui è animata la classe operaia francese (favorita in questo dalla legislazione vigente), basti ricordare che allorquando in Germania, per esempio, o negli Stati Uniti, il lavoratore straniero non solo è elettore, ma è anche eleggibile nelle organizzazioni sindacali, in Francia è soltanto elettore e a condizione di risiedere in Francia da almeno cinque anni. Uno straniero non è mai eleggibile, ma può diventarlo se si naturalizza in capo a dieci anni dalla naturalizzazione. Oggi non esiste neppur più, per gli italiani, la possibilità che era loro offerta dal Trattato di Lavoro del 30 settembre 1919, il cui articolo 8 stipulava che « gli operai italiani reclutati potranno liberamente designare tra loro un ma11datario che sarà incaricato di esporre le loro domande relative alle condizioni cli lavoro e di vita, sia [67] Bib.ioteca Gino Bianco

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