mité des Houillères de France» richiesto un contingente di minatori italiani, il governo di Roma otteneva da quello francese l'impegno di consegnare sei tonnellate di carbone per ogni operaio presente in miniera per 25 giorni al mese. Nel successivo novembre, qua11do l'agricoltura italiana ebbe biso·gno di fosfati, si firmò con il governo francese un accordo· che garantiva la cessione di quei concimi contro l'invio di un certo numero di minatori italiani alla « Compagnie des mines de Gafsa », in Tunisia. Come si vede, si aveva a quell'epoca una visione delle cose il cui realismo può far paura, ma che era (e sarebbe tuttora) ampiamente giustificata dalla situazione, tanto più in quanto, lo ripetiamo, le autorità consolari di allora avevano pienamente il diritto di controllare che le co·ndizioni di lavoro·, di salario e di alloggio· degli emigrati, così ceduti in contropartita, fossero pienamente irreprensibili. Oggi, invece, non solo la sensibilità sociale è scomparsa dall'animo· di chi si occupa della nostra emigrazione, ma anche su un piano più generale, che è quello dei rapporti tra Stato e Stato, si è tornati a una concezione romantica dell'emigrazione; tanto che il fatto economico contingente, rappresentato dalla perdita per il tesoro italiano di cinque dei trentatrè miliardi (conseguente alla svalutazione Pinay del dicembre 1958) di lire che ogni anno gli emigrati in Francia inviano in Italia sotto forma di rimesse salariali o di assegni familiari, sembra essere completamente sfuggito a chi di dovere. Se è vero, in una certa misura, che do·bbiamo essere grati alla Francia che « ospita » i nostri lavoratori, non dovremmo perdere di vista che la Francia li « ospita » solo nella misura in cui li « chiede n, e che li chiede solo nella misura in cui ne ha bisogno per far funzionare le sue industrie. Così, se si dà un'occhiata alla tabella statistica dell'emigrazione italiana negli anni tra il 1910 e il 1914, tenendo presente che la Germania non ha mai attirato molto i nostri aspiranti all'emigrazione, si constata che in quei cinque anni si sono recati in Germania tanti italiani quanti se ne sono recati in Francia. La cosa, strana in sè, è stata spiegata agli industriali francesi allarmati dal e< Recueil de Statistiques municipales de la Ville de Paris )), che ha riprodotto i risultati di un'inchiesta svolta dall'inglese Board of Trade, dalla quale risultava che i salari francesi stavano a quelli inglesi come 75 sta a 100 e a quelli tedeschi come 83 sta a 100. Se però si considerava che le ore di lavoro settimanali (base inglese I00) erano 11 7 per la Francia e 111 per la Germania, il tasso salariale medio orario era (sempre sulla base inglese 100) di 64 per la Francia e di 75 per la Germania. Si aggiunga a questo· che in quel periodo la Germania militarista si mostrava rigorosamente equa nei confronti degli stranieri, mentre la Francia democratica tartassava gli emigrati con tasse di so·ggiorno esose, balzelli diversi e disposizioni d'ogni tipo, contrarie agli stranieri in genere e tali da creare una vera e propria discriminazione giuridica: dal progetto Michelin del 1897 sul ripristino delle .clausole più rigoristiche del codice Napoleone, fìnanco sui matrimoni dei funzionari dello [66] Biblioteca Gino Bianco
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