La posizione sociale, giuridica ed economica. dei nostri emigrati in Francia è oggi sostanzialmente la stessa che negli anni seguenti il trattato italo-francese di lavoro del 15 aprile 1904, successivamente modificato da Accordi e Convenzioni stipulati nel 1906 e nel 1910, ed è quindi peggiore di quella stabilitasi nel 1913, quando le autorità consolari italiane in Francia avevano il diritto, per esempio, di recarsi a co,ntrollare personalmente tanto le condizioni di lavoro che quelle di alloggio degli emigrati. Oggi si è lungi dal pròtestare, come si fece nel 1919, perchè quel diritto era stato non già tolto, ma limitato alle autorità consolari a causa della guerra, tanto lungi che non se ne parla neppur più e che quando un·importante fabbrica di automobili sbatte la porta in faccia a un nostro rappresentante diplomatico questi non solo non protesta perchè non se ne sente il coraggio, ma fa attribuire un nuovo contingente di emigrati a quella fabbrica per sostituire quelli che se ne sono andati a causa dei cattivi trattamenti subiti. Siamo anche lungi dal concetto che ispirava Umberto Caraccio quando, in un saggio sull'emigrazione italiana in Francia, scriveva: « L' emigTazione dev'essere libera, in linea di principio, ma lo Stato e le associazioni hanno il dovere di vegliare e di proteggere sempre e dovunque gli emigrati; di persuaderli a recarsi là dove le condizioni economiche e sociali sono migliori, di chiedere alle ·Nazioni che chiedono manodopera italiana tutte le garanzie necessarie». Sono parole, queste, che per essere state scritte all'inizio del secolo, non sono meno attuali oggi e l'esempio più evidente della loro attualità è dato dall'improvviso flusso migratorio verso la Francia che si è registrato nel 1957 a seguito della svalutazione disposta il 10 agosto dall'allora ministro delle finanze, Félix Gaillard. Pur sapendo che le migliaia di connazionali venuti in Francia per offrirsi al posto degli altri che, già meno disagiati di loro, non volevano sopportare le conseguenze della svalutazione, correvano incontro a due gravi pericoli, quello di essere ingiustamente retribuiti da datori di lavoro con pochi scrupoli, e quello di essere immediatamente espulsi dalle autorità locali non appena la situazione del 1nercato del lavoro si fosse nuovamente stabilizzata, il Ministero non fece nulla per frenare quel flusso, confermando così la sgradevole impressione che si ricava dall'osservazione del nostro panorama mi~atorio che non tanto importi alle autorità centrali la protezione dell'emigrato, quanto piuttosto il fatto che si realizzino le massime « punte» emigratorie. Si direbbe che nessuno pensa più, oggi, ad alcune elementari nozioni sociali che erano invece il filo conduttore degli accordi emigratori all'inizio del secolo, quando le lotte sindacali non erano ancora riuscite a farle accettare da tutti... Così, per esempio, si poteva leggere in « Corrispondenza settimanale» della Società Umanitaria del 28 marzo 1917 che l'emigrante doveva esigere il pagamento di una « indennité de dépaysement n, tale da compensare le privazioni e le noie cui si esponeva lasciando il proprio paese: « La Biblioteca Gino Bianco [64]'
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