Nord e Sud - anno VI - n. 60 - novembre 1959

obbedisce ad un rÌtmo, quelio .delia catena, che gli~ stato imposto dall'estetno e secondo il quale regola, ormai, l'intiera sua esjstenza. Un mito moderno, dunque, tradotto in linguaggio cinematografico, inteso a dimostrare, secondo le intenzioni dei suoi autori, i danni provocati alla persona umana dall'avvento della macchina e dell'éra del macchinismo. Le cose, però, stanno in maniera abbastanza .diversa da quanto accade nel film. Gli studiosi di tali fenomeni, cioè, sono d'accordo nel ritenere che le macchine, contrariamente ad ogni falsa e superficiale interpretazione, sono destinate, in definitiva, ad inaugurare un nuovo umanesimo, a restituire un senso ed una dignità all'uomo, a ridargli la sua libertà e la più ampia disponibilità di se stesso. Per rer1dersi conto del problema, occorre, anzitutto, sgombrare il campo dalle innumeri lamentele e querimonie ad opera dei vari laudatores temporis acti! volte ad invocare addirittura assurdi ritorni ad epoche ormai trascorse. I tempi, però, in cui il lavoro era affidato esclusivamente alle mani dell'uomo, fanno parte di un passato che nessuno è in grado di risuscitare. Anche se l'età delle diligenze appare a taluno oltremodo suggestiva, questa nostra <<stagione» moderna si svolge all'insegna degli aereoplani; e la possibilità di coprire la distanza che separa Roma da Mosca o da New Yorl< nello spazio di poche ore, rappresenta una conquista cui nessuno intende e ' . . puo r1nunc1are. Anzitutto, le macchine hanno liberato gli uomini da molti lavori degradanti ed avvilenti, che richiedevano unicamente un dispendio di energia fisica: qualsiasi massaia può fornire valide testimonianze circa i vantaggi conseguiti, nel disbrigo delle faccende domestiche, dalla introduzione, per esempio, nelle loro case dei vari aspirapolvere e lavatrici elettriche. ~ Il problema, però, della macchina e dei suoi rapporti con l'uomo sorge segnatamente nei confronti del lavoro « parcellato )), che si svolge nella fabbrica moderna. La faccenda è davvero complessa e va esaminata senza idee preconcette. Secondo alcuni studiosi la « tristezza operaia >>, cioè a dire il sentimento di vuoto e di tedio da cui invariabilmente i lavoratori contemporanei sono assaliti al termine della loro giornata, avrebbe origine dal fatto che, essendo stato l'atto produttivo sud1iviso e scomposto nelle sue varie parti (lavoro a catena), l'operaio, che partecipa ad un solo momento della fabbricazione, non ha più la visione d'assieme ed ha perso, pertanto, ogni gusto e gioia per la sua fatica. Con il lavoro artigianale il panorama, invece, [52] Biblioteca Gino Bianco ' .

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