La sosta, anziché dar luogo, come taluno temeva, unicamente ad uno spreco di tempo, appariva utile: il rendimento, infatti, risultav.a accresciuto e la nuova misura incontrava l'approvazione degli operai. Resta inteso che ogni tipo di lavoro ha bisogno di pause assai diverse in rapporto al ritmo e alla estensione: il riposo, pertanto, di cinque minuti, che si conviene ad un determinato genere di attività, appare, invece, del tutto disdicevole per un altro. In tale evenienza spettava a Léon Walther di dare la dimostrazione che ogni caso fa storia a sé: si trattava, questa volta, di un gruppo di nove operaie, addette ad un'attività di tipo manual~, le quali producevano circa seimila pezzi al giorno. L'introduzione .. in un primo momento di pause di cinque minuti ogni ora, poi ogni mezz'ora, aveva lasciato le cose allo stesso punto di prima; fin quando, provando e riprovando, si era scoperta l'utilità di soste, durante il lavoro, della durata di circa due o tre minuti ogni quarto d'ora: la produzione, in conseguenza, aumentava da 6000 a 8000 pezzi al giorno. La concezione, insomma, di una fatica intensa, compatta, prolungata nel tempo, appariva ormai del tutto arcaica ed antieconomica; e, in suo luogo, si rivelavano maggiormente valide altre impostazioni, che insistevano sulla necessità di un lavoro vario, articolato, costellato di frequenti pause, condotto secondo certi ritmi frequentemente alternati di faticariposo, che ben si accordano, del resto, con i ritmi vitali proprii degli organismi umani, presso i quali ad ogni sforzo muscolare tiene dietro un conseguente rilasciamento. Tuttavia, gli studi fin qui condotti sulla « fatica professionale >> hanno il torto, a nostro parere, di considerare la fatica unilateralmente, soltanto da un punto di vista oggettivo, fisiologico. Ora la fatica fisiologica ·- cioè a dire, l'intossicazione dei tessuti dopo uno sforzo prolungato, con la conseguente necessità di riposo per eliminare le tossine accumulatesi e restaurare un equilibrio compromesso - costituisce soltanto un aspetto del problema. In realtà, la fatica è bifronte, ha un volto anche soggettivo; è fisiologica e, insieme, psicologica; e da tale punto di vista occor~erà non limitarsi a procedere, come fino ad oggi è stato fatto in questo genere di ricerche, dal lavoro verso il lavoratore, ma bisognerà percorrere anche il cammino inverso, prendere le mosse, insomma, dal lavoratore. . Ove si converrà, una buona volta, sulla necèssità ·di considerare la . questione anche sotto l'aspetto psicologico, ci si convincerà che, se oggetti- [39] Biblioteca Gino Bianco
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