Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

a rinviare a quel che già ho scritto in proposito nel mio « Risorgimento e capitalismo», pp. 24-39 (dove è chiaramente sottolineata, fra l'altro, la superiorità del capitalismo agrario come strumento di accumulazione, che adesso il Sereni viene a sbandierare come un'altra delle sue «scoperte»). Val tuttavia la pena di rilevare che il Sereni esclude, dalla prospettiva della « rivoluzione contadina» quelle zone padane dove già si era realizzata una travolgente « rivoluzione agronomica» (che del resto, bisogna aggiungere, non è che l'aspetto tecnico del più vasto rivolgimento sociale operatosi in quelle zone tra il sei e settecento con la espropriazione dei produttori contadini o con le profonde modificazioni compiutesi nei rapporti mezzadrili); con una rilevante divergenza dalla impostazione gramsciana che ha conseguenze assai maggiori di quanto egli non sospetti. In realtà, Gramsci pone esplicitamente l'ipotesi di una rivoluzione contadina estesa anche alle zone padane. Si rilegga il passo (« Il Risorgimento», p. 82) dove egli accenna all'atteggiamento del Ferrari (fondato, com'è noto, sul « riparto della terra » a seguito della « legge agraria») verso « il bracciantato agricolo, cioè i contadini senza terra e viventi alla giornata » : « In generale - osserva il Gramsci - occorre tener presenti questi criteri: i braccianti sono ancor oggi, nella maggior parte ed erano quindi tanto più nel periodo del Risorgimento, dei semplici contadini senza terra, non degli operai di una industria agricola sviluppata con capitale concentrato e con la divisione del lavoro; nel periodo del Risorgimento era più diffuso in modo rilevante, il tipo dell'obbligato in confronto a quello dell'avventizio. La loro psicologia perciò è, con le dovute eccezioni, la stessa del colono e del piccolo proprietario». E aggiunge: « La quistione si poneva in forma acuta non tanto nel Mezzogiorno dove il carattere artigianesco del lavoro agricolo era troppo evidente, ma nella valle padana dove esso è più elevato», e dove la gravità del problema del bracciantato è dovuta in parte a cause extraeconomiche. E in nota accenna alle discussioni sulla formula « la terra ai contadini » del primo dopoguerra, quando le condizioni erano assai diverse, ed esisteva invece una vera industria agricola nella valle padana. Già da questo passo _(ma anche da molti altri · luoghi) risultano con chiarezza due conclusioni: I) che Gramsci poneva il problema della liquidazione dei residui feudali essenzialmente come problema di ripartizione della grande proprietà (che era poi la base di tutti i « residui e della coltivazione del fondo rimase generalmente inalterato». Che è per altro una affermazione troppo recisa: per una più attenta e sfumata esposizione dello stesso fatto, ma col riconoscimento che un certo miglioramento vi fu sotto vari rispetti, cfr. G. Ll:FEBVRE, « Les paysans du Nord pendant la Révolution française », Bari, 1959, pp. 747 sgg., 901 segg. Naturalmente, ciò non significa affatto sottovalutare la enorme importanza della abolizione dei rapporti giuridici feudali e della rivoluzione contadina nella storia di Francia e d'Europa. [75] iblioteca Gino Bianco

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