di restituire a universalità la nostra narrativa meridionale (o, se si preferisce, meriodionalista) attraverso una tematica di natura anzitutto morale. E' questa, a nostro avviso, la lezione più importante, e storicamente im- . . portante, che ci viene da Rea. Non che lo studio delle anime, i modi interiorizzanti e, in una parola, i fatt 1 i coscienziali fossero temi e procedimenti ignoti ai nostri scrittori nati nel Sud; e si potrebbe anzi citare tutta una serie di nomi, dal Capuana di Gelosia a De Roberto•, alla Deledda, da Prisco al Tornasi, dove essi sono dominati. Sembrava tuttavia che finora essi fossero riservati all'esame di uno specifico settore sociale - la borghesia, la nobiltà, - laddove, tutte le volte che i nostri scrittori meridionali si volgevano a rappresentare il mondo delle classi umili - il sottoproletariato meridionale, la classe contadina, l'infima borghesia, - sembrava non sapessero sottrarsi alla tentazione del semplificato e dell'elementare, come se il dramma di coscienza o la sofferenza e la crisi morali non fossero temi adatti o proporzionati a un mondo che appariva si pieno di sofferenza, ma d'una sofferenza come da primitivi, in certo senso quasi solo fisica. Pirandello stesso, allorquando rivolgeva la sua attenzione alla Sicilia, applicava le finezze della sua psicologia a un ambiente ben circoscritto. Non c'è dubbio: il_mondo meridionale, quello più tipido· e autoctono, lo si continuava a guardare dall'esterno, come se non fosse fatto anche d'anime e di coscienze, come se il dramma sociale negasse di per sè il dramma morale, come se il fatto etico-religioso, o metareligioso che dir si voglia, non si atta-- gliassero alle proporzioni delle plebi del Sud. Si pensi per esempio a quanto poco posto il tema della morte, o, più precisamente, ciò che in esso c'è di sacro e di sgomento, abbia nella nostra narrativa di più stretta osservanza meridionalista. E, per ritrovarlo in tono spiegato, bisogna risalire al Verga, al gran finale del « Mastro-don Gesualdo », dove tuttavia non si present~va nudo e, per dir cosi, nella sua pura carica esistenziale (senza che con ciò, beninteso, s'intenda togliere qualcosa alla poesia di quelle pagine). · Verga stesso, del resto, aveva operato una netta rinunzia ai modi della ricerca interiore: ma se ciò ne « I malavoglia>> l'aveva portato ai risultati che sappiamo, già nel « Mastro-don Gesualdo » egli sembrava avvertire l'insufficienza dei suoi propri metodi e cercare misure che lo svincolassero dalla stretta osservanza della poetica dell'impersonalità. E se un torto c'era stato nei suoi discepoli lontani o recenti, era consistito nel riprendere il discorso non dai punti d'arrivo del << Mastro-don Gesualdo», ma dai punti di partenza de « I Malavoglia» e di calare, a quanti non è successo?, dall'impersonalità al documento, di trasformare addirittura il pudore dell'impersonalità verghiana nei tempi esteriori dell'inchiesta. Il fatto è che i nostri personaggi meridionali hanno avuto di rado dimensione di anime, che in troppi casi, dalla ric;erca dell'uomo, che· è principio, mezzo e fine dell'opera narrativa, ci si era dispersi in un mero sociologismo ambientale. [67] Biblioteca Gino Bianco
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