Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

tutta una serie di testi anteriori, identificabili grosso modo, dal Boccaccio in poi, col filone classico della nostra prosa, per sboccare addirittura agli storiografi del Sette-Ottocento. Rea cioè, non deviato, per sua fortuna, da un corso regolare di studi, s'era comportato come tutti gli autodidatti d'ingegno, che s'accostano solo a ciò che li interessa da vicino, e s'interessano solo a ciò che può nutrire in concreto le. loro esigenze: incapaci del distacco del medio uomo di cultura, che risale alle cose del passato· per una mera esigenza di cultura e restando sempr~ coscie11te che si tratta di cose del passato, e portati invece ad aderirvi come a fatti di vita e a trasformarle direttamente in succo e sangue della loro personalità. Così, per l'appunto, il futuro autore di « Spaccanapoli » dovette leggere, poniamo, Boccaccio o Sacchetti o Basile e perfino il Bartoli e il Segneri, senza chiedersi fino a qual punto modi e linguaggio di quei testi potessero costituire il punto di partenza d'una narrativa moderna, ma sforzandosi d'imparare da essi e di cogliere, da narratore in fieri, il segreto della loro arte. Giungerei addirittura a pensare che il Rea degli esordi venisse fuori quale autore di racconti soprattutto perchè la tradizione narrativa da .cui nasceva era una tradizione di racconti. Il grande incontro della giovinezza di Rea dovette però essere Benvenuto Cellini: lo stile, i tempi del narrato, le luci illuminanti, le sprezzature strutturali, la stessa asintatticità delle prime prove (asintatticità che altrimenti non si spiegherebbe, tenendo conto della contemporaneità d'un racconto tutto « scritto bene», quale è La figlia di Casimiro Clarus), dovettero trarre Qrigine da una vera passione per il Cellini, e da una passione cosciente, che fece certo intuire all'autore di « Spaccar1apoli » la fecondità dell'impasto· dell'autore della «Vita», anche lui un autodidatta, e dei più singolari, anche lui portato a violare le regole in vista di certi suoi specialissimi e voluti effetti. Nè staremo· qui a dare credito ai teorici della presunta incoscienza del Cellini, che dopo aver scritto: « Al quale io dissi: non per insensato, ma per giovine; et vi protesto et giuro che di lei io non ho un pensiero al mondo, ma di voi mi dorrebbe bene che per lei voi rompessi il collo», così correggeva di proprio pugno sul codice L,àurenziano: « Al quale io dissi: non per in- .sensato, ma per giovine; et per dio gli giurai che di lei io non ho un pensiero al mondo, ma di voi mi dorrebbe bene che per lei voi rompessi il collo». Nè, allo stesso modo, daremo credito ai teorici del puro istinto di Rea, il quale, ne L'interregno, a un periodo di questa fatt<:1,dall'indipanabile groviglio « celliniano » : cc Codesta spensieratezza, perchè quella è una gente che guarda le cose in faccia; e, adunque, se scorge un marocchino in turbante col mitra e l,occhio belluino puntati, gli corre incontro, chiamandolo coi più dolci nomi. Li volete al comando d'una salmeria? fanno miracoli. Ma in prima linea la loro schifiltosità a uccidere è siffattamente connaturata, che preferiscono andar prigioni del sultano>>. Poteva far seguire brani di sapore addirittura boccaccesco, dove il connubio di mo.derno e d'antico raggiungeva [64] Biblioteca Gino Bianco

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