scolastico resta quello da un lato di chiedere l'intervento dello Stato a favore delle Scuole private e dall'altro di combattere aspramente ogni forma di « statalismo» quando questo ~ignifichi un'anche blanda forma di controllo delle Scuole private, che poi (e qui ovviamente si spiega lo sviscerato amore democristiano per « la sct1ola libera))) sono in grandissima maggioranza gestite da religiosi. Ma - si dirà - non v'è un preciso disposto della Costituzione che parla della libertà di aprire scuole private ma « senza oneri per lo Stato », un comma che costò a Benedetto Croce (e all'allora laico Corbino) una memorabile battaglia alla Costituente? Ebbene: negli ultimi mesi un ex presidente del Consiglio ha tranquillamente sostenuto in Senato che la limitazione non esclude che lo Stato « volontariamente » possa accollarsi tali oneri. Ora è evidente che finchè il partito di maggioranza non 1nostrerà di accettare (non diciamo di aver compreso) il principio del carattere pubblico di_ogni insegnamento che direttamente o indirettamente si ricolleghi all'attività umana nella vita associata e soprattutto finchè esso co11sidererà lo Stato italiano come stato di diritto solo nei limiti in cui questo 110n contrasti con le norme del diritto canonico, ogni progetto di riforma della Scuola in Italia è destinato a cadere nel nulla anche se con un qualsiasi colpo di maggioranza possa venire approvato in parlamento. Finchè si riterrà, innocentemente o meno, che la libertà della scuola consiste unicamente nel « rispetto delle opinioni della larga maggioranza del Paese» e cioè nell'obbedienza ai dettami della Chìesa cattolica (come ha detto chiaramente l'on. l\1aria Badaloni leggendo la sua relazione di maggioranza I sullo stato di previsione delle spese del 1\1.linisterodella P.I. alla Camera nella seduta d~l 27 gennaio 1959, Atti parlamentari, p. 8), allora è chiaro che la libertà d'insegnamento, lungi dall'essere garantita da un organo superiore di diritto, diventa un grosso equivoco o un sofisma della peggiore specie. A qualcuno questo 11ostro ri11vio ai principii potrebbe sembrare monotono e soprattutto poco « allineato » con la tendenza « concretistica » oggi dominante in questioni riguarda11ti la scuola, per cui si dibattono temi particolari, come sarebbero quelli dell' « obbligo », della scuola media unica o pluralistica, dell'aumento delle cattedre universitarie etc. Eppure il rinvio ai principii significa una sola cosa: dare un, senso ai provvedimenti e alle riforme, cercare e trovare u11accordo tra le forze politiche che, piaccia o no, costituiscono la continuità della storia d'Italia, giacchè solo, se questo, accordo verrà raggiunto in sede universale, sarà possibile attuare provvedimenti particolari che siano accettabili da tutti, come leggi dello Stato. Ora non pare che questa specie di show-down sia stato nemmeno abbozzato. La scuola italiana funziona ma1e nel suo complesso proprio perchè i docenti non sanno per quale Stato essi lavorano. La crisi più grave della democrazia italiana dopo la caduta del fascismo, l'incapacità o l'impossibilità in cui i. partiti si sono messi, di trovare u11a misura universale, un alveo sentito come comune in cui lasciar scorrere e urtarsi le contrastanti opinioni e passioni, una [62] Biblioteca Gino Bianco
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