Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

scorsi di questo secolo. Egli ricorda con sospesa amarezza i tempi in cui questa analisi sembrò positivamente innovatrice. « Quelli di noi che giunsero all'arte moderna durante la giovinezza con un entusiasmo quasi da pionieri, spesso la difesero dalle accorate critiche dei tradizionalisti, sostenendo che questa nuova arte - post-impressionismo, cubismo, futurismo, vorticisn10, o che altro si chiamasse - era una "espressione del nostro tempo"; e in questo fatto vedevano la prova della sua validità e della sua importanza. Ma tale giudizio fu formulato sulla base della grande speranza e della grande fiducia promosse dal secolo precedente, il secolo del progresso ... » (pagina 128). La amarezza è nella costatazione che tale rivoluzione non ha conseguito i risultati sperati; e cioè, mentre ci si attendeva, dalla nuova libertà conquistata contro l'accademia - che, si badi, era considerata soprattutto un'accademia morale - l'instaurazione di un novus ordo organizzato su di una più profonda ed immanente razionalità, oggi ci si trova di fronte allo scatenamento dell'irrazionale più sfrenato, di fronte al quale lo stesso antico ribelle si ritrae spaventato. Chi ha letto « Il mondo di ieri > di Zweig comprenderà bene la suggestione potente di una simile sconfitta sull'animo di un appassionato ricercatore della verità e non dovrà meravigliarsi del fatto che egli, oggi, si schieri tra i conservatori, sia pure di un conservatorismo illuminato e con animo sostanzialmente liberale. Cosi si spiega l'esortazjone a che l'arte sappia ritrovare la via per ricostruire l'autentica personalità « integra» dell'uomo di domani, superando la crisi attuale. La polemica del Mumford attinge la sua dignità massima nel momento in cui egli prende decisamente posizione contro alcune espressioni deteriori del mondo contemporaneo, segni significativi di un divario sempre più difficile a colmarsi tra intelligenza, razionalità, ordine e comprensione da una parte, e ignoranza, irrazionalità collettiva, disordine ed odio dall'altra. In queste prese di posizione riconosciamo le migliori prove dell'uomo di cultura. Meno efficaci, a nostro avviso, le terrificanti profezie dell'incombente tragedia che starebbe per abbattersi su questo nostro mondo: una tragedia che ha la sua matrice nell'asservimento dello spirito alla materia, alla scienza traditrice dell'autentica socialità, dell'autentico rapporto tra gli uomini, il rapporto interpersonale. A nostro avviso non si possono estendere a tutto il mondo situazioni sociali e psicologiche proprie e tipiche di una società altamente specializzata quale la americana; paesi molto meno avanzati socialmente hanno problemi strutturali diversi e non meno gravi, dovuti a cause che sfuggono a questo tipo di analisi sociologica, e sono invece ben note allo storico e al politico. D'altra parte crediamo possibile che si possa arrivare a concepire e magari a mettere in pratica il « genocidio totale » che rappresenta l'ultimo stadio di una possibile conflagrazione futura; è probabile ( e i molti appelli di responsabili personalità della cultura e della scienza, soprattutto della scienza atomica, ce ne hanno resi sufficientemente edotti) che le forze morali dell'umanità siano effettivamente tanto deboli da non sapersi opporre alle più spaventose esperienze, ma non crediamo, anche qui, che lo strumento politico sia così inefficace da non poter ritrovare la via per tessere le pazienti fila di una soluzione controllabile ed accettabile. Insomma l'uomo di cultura non può pretender per sè il diritto di giudicare astraendo dalla realtà storica dei rapporti umani che il politico guida e regge con metodi che all'uomo di cultura sembrano empirici ed approssimativi, e quindi inadeguati. È ambizione diffusa che siano necessarie nuove << invenzioni politiche e sociali »; ma non v'è piuttosto bisogno di agire saggiamente per meglio utilizzare gli strumenti già a nostra disposizione? [126] I . . Biblioteca Gino Bianco

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