Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

rurgici, e che non è interamente dovuto neppure ad un riavvicinamento spirituale in atto fra i popoli di Europa. Da un lato infatti la stessa strategia militare, rivoluzionatasi in questi ultimi anni in seguito agli sviluppi della t~cnica balistica, è oggi irrimediabilmente fuori mi~ura per guerre fra piccoli stati e su piccole distanze. D'altro lato il predominio in Europa non appare più una posta per cui valga la pena di una guerra, dal momento che esso più non coincide col predominio mondiale; infine, consolidatasi la spartizione del mo11do industrializzato in due blocchi ideologici, la Germania non è vista più co•me aspirante alla dominazione militare sull'Europa, ma piuttosto come il più valido possibile difensore di essa. Di fronte a questa mutata situazione di fatto, che del resto si era cominciata a profilare già poco tempo dopo la fine della guerra, la funzione antibellicista della CECA ha perduto tutto il suo significato. E già il naufragato progetto della CED rifletteva questo mutamento di co,ncezioni nei riguardi della Germania. È vero che esso s'ispirava ancora al desiderio di « legare il gigante finchè dormiva », ma nella CED la Germania otteneva il riscatto con - . l'impegnarsi a difendere l'Europa, anzichè con l'impegnarsi a non offenderla. Si trattava comunque di concezioni che avrebbero perso sempre più di mordente, man mano che i ricordi della guerra si allontanavano nel tempo. Ma, col loro venir meno, il fondamento delle istituzioni europee rimaneva privato di quel crisma ideale che lo aveva animato: l'Europa che davanti alla Storia andava a Canossa, l'Europa che nel cattolicesimo ritrovava la sua ragione e riacquistaya la sua dignità; gli Stati che riconsegnavano all'antica ordinatio ad unum .le loro nazioni; il significato, insomma, che nei grandi anni dell'europeismo aveva assunto il movimento d'integrazione, tutto ciò non sembrava più così convi11cente e indifferibile. F,sso appariva anzi legato ad una orgogliosa e non abbastanza realistica prospettiva, che era ancora centrata sul ·valore assoluto dell'Europa come fulcro del mondo, e non si accorgeva della posizione sempre più periferica in cui era ridotto il continente. Qualche anno fa sorse dunque il problema di trovare un nuovo significato per il processo integrativo, e per quelle istituzioni e organismi in cui esso si era già concretato o stava per concretarsi. Alla carenza di idee-forza si è cercato di rimediare innanzi tutto spostando l'accento sul valore economico della integrazione, è cioè sventolando il vessillo del « grande mercato ». Quello che per l'europeismo della prima maniera di questo dopoguerra era solo una conseguenza, anche se ambitissima, e capace di portare le più benefiche ripercussioni, divenne la ragione stessa dell'unificazione. E poichè, com'~ facile comprendere, a favore del mitico supermercato gli stati non hanno voluto sacrificare nemmeno una parte della loro sovranità, le istituzioni cui il « rilancio » europeo ha dato corpo man- [98] Biblioteca Gino Bianco

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