Ì film comici (ora il diaÌetto romanesco dilaga e ha messo in ombra quello parteno·peo) rivelano quasi tutti un'impostazione unica, dove la comicità nasce dal lazzo, il riso, dalla battuta greve e volgare, il racconto dalla situazione ambigua o dichiaratamente equivoca: il figlio di Mike Todd pare stia tentando in America il film con profumo; noi li abbiamo già, ma francamente bisogna andare a vederli muniti di Air-fresch. Per quanto riguarda il film storico, sembrerebbe che il nostro passato si arresti al Rinascimento, oltre L.ucrezia Borgia o Beatrice Cenci non si va, con rade puntate al seicento dei moschettieri: se si tocca l'ottocento, è solo per esercitazioni formalistiche o per il gusto caricaturale e longanesiano d'un mondo passato (sono poche le eccezioni). Altrimenti, la nostra storia si chiama Spartaco, Cartagine in fiamme, Afrodite, Annibale. E così vita popolare e storia, che pure sono due componenti fondamentali e illuminanti per la conoscenza d'un paese, vengono dal nostro cinema regolarmente falsate attraverso una rappresentazione in cui il cattivo gusto si mescola all'arbitrio. Chi volesse farsi di casa nostra un'idea attraverso le nostre pellicole, ne caverebbe l'immagine d'un paese senza problemi. A questo punto qualcuno potrà dire: ma esiste, in Italia, una società? In ogni caso, si dirà, la nostra è una società in crisi. A parte il fatto che non vediamo perché non si possa rappresentare una società in crisi, l'accusa ci sembra a dir poco gratuita. L'abbiamo sentita ripetere, e la ripetono convinti, anche quando, in narrativa, vogliono farci credere all'impossibilità di fare, oggi, il romanzo, perché una società italiana non esiste. Ma se sfogliamo i giornali di questi ultimi anni, quanti grossi fatti di cronaca e scandali e processi hanno travalicato la storia della cronaca per entrare in quella del costume, a lampante dimostrazione che esiste una società, sia pure torbidamente fermentante (ma: « les coeurs dans la main n'ont point d'histoire )), direbbe Mauriac), della qt1ale il nostro cinema non ci aveva se 110n rarissimamente fatto intravvedere qualche spiraglio. Né tanto, meno condividiamo le ragioni di chi vorrebbe adossare alla censura la responsabilità della povertà dei temi del nostro attuale cinematografo. Ci sono film coraggiosi, in quell'esiguo gruppo di pellicole che non rientrano in questo discorso, i quali dimostrano come si possa produrre un'opera di denuncia o semplicemente vera, con agganci veri a una realtà vera, senza che la censura abbia dato noie. Vogliamo tuttavia concedere che la censura costituisca un tabù per determinati argomenti: ci sembra però che prima d'arrivare a quegli argomenti vi sia tutto un vasto margine di rappresentabilità che il nostro cinema non si sogna neppure di toccare o sfiorare. In questo senso, la nostra narrativa (non si parla di risultati né tanto meno si tentano parallelismi) ha una sua tematica più coraggiosa, almeno cerca l'esplorazione di ambienti inediti ma non per questo veri, rintracciando, e ricomponendo, in somma, quel volto dell'Italia che il cinema neoreaBibliotecaginobianco [48]
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