Nord e Sud - anno VI - n. 58 - settembre 1959

non certo voÌuto. Si tratta di aiutarli a iiberarsi da questi maÌi milìenari, senza chiedersi se essi siano causa od effetto del comportamento delle classi dirigenti, senza incolpare la psicologia individuale o collettiva dei meridionali. Non è detto che debba agirsi per pietà, umanità o spirito religioso. Solo l'interesse collettivo deve guidare le nostre decisioni e le azioni conseguenti. Se lo sforzo che si sta compiendo si palesa insufficiente - con1e in realtà è, sia per l'inadeguatezza degli stanziamenti iniziali sia per la loro successiva contrazione - ci si renda conto che sarà del tutto vano se non lo si porterà al livello necessario. Ma per conseguire l'intento bisogna che il governo dia l'esempio, che i gruppi finanziari e industriali non badino più solo al loro «particolare», che i grandi enti pubblici non considerino il Mezzogiorno come un campo riservato ad esercitazioni dilettantistiche o peggio all'affermazione di propri egoistici ed elettoralistici interessi. Ai meridionali infine si deve chiedere di lavorare sodo e di ispirare fiducia} di non scoraggiare con l'indifferenza o con l'incomprensione gli esperimenti che gli altri vorranno tentare, e soprattutto di non coltivare le facili illusioni di risultati mirabolanti: i quali, nel caso degli interventi finora esperiti, non potevano esserci, data la modestia stessa degli interventi, spesso non coordinati e circoscritti a particolarissime situazioni. La modestia dei risultati è il portato inevitabile di errori concomitanti, e non può essere attribuito• solo a colpa dell'ambiente del Sud. ' ALDO DURANTE Cinema senza radici Assistiamo da qualche anno, in campo cinematografico, ad uno strano fenomeno d'involuzione. Uscito dalla lunga e dorata cattività dei « telefoni bianchi » (un periodo nel quale pure si può rintracciare fra tanta paccottiglia dopolavoristica un filone realista: da J 860 a Quattro passi fra le nuvole,, da Gelosia a Sissignora,, da Fari nella nebbia a Ossessione), il nostro cinema finalmente affrontava, col dopoguerra, se non l'interpretazione l'osservazione e la documentazione d'una realtà nostra, italiana, facilme11te rintracciabile, usciti dal buio delle sale di proiezione, soltanto a guardarci attorno. Quella realtà, allora, era costituita dal mercato• nero• e dalle « segnorine >>, dalle città semidistrutte e dal cibo scarso, dai liberatori e dai partigiani; e il nostro cinema trovò, nel ripresentarcela, una sua asciutta maniera, un suo sguardo impietoso, uno stile essenziale e teso meno ai lenocini formalistici che all'urgenza rappresentativa, da inaugurare, addirittura, una scuola. Cinema e letteratura, in quegli anni, ebbero un nome (ci stava scappando il termine: un'etichetta): neorealismo. E diciamo subito, francaBibliotecaginobianco [46]

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