valorizzato da Gianfranco Contini quale esponente di un fenomeno di gusto « piccolo europeo » che si definisce come la « scapigliatura piemontese» (Racconti della Scapigliatura piemontese, a cura di G. Contini, Bompiani, Milano, 1953). Nel volumetto della Roma Borghese, domina il tema dei piemontesi a Roma, nel momento dell'insediamento della fidata e solida burocrazia e piccola borghesia del piccolo regno subalpino nella nuova capitale. L'aria che vi soffia è quella ancora fresca del Risorgimento di un entusiasmo del far l'Italia che ancora non ha subìto contrae- ' colpi di scetticismo sulla difficoltà di costruire un paese moderno con t1n materiale così saturo di grandezza e di vizi secolari. Sia i piemontesi giunti nella capitale, sia la Roma papalina che si offre ai loro occhi - un piccolo classico è il capitolo sull'Arcadia - sono colti al momento di un incontro ricco di possibilità e di curiosità le quali poi cederanno il posto a un sistema di difese e di cristallizzati pregiudizi. Nello scorrere la pagina del . Faldella, densa di gustosissime battute e bozzetti, ma faticosa com'è sempre faticosa la pagina dell'umorista, ed un particolare del sempre un po' sforzato umorista italiano, ci si domanda tuttavia perchè non si sia data la precedenza a un altro assai più caratteristico libretto dello scrittore piemontese: il Viaggio a Roma senza vedere il Papa (Casanova, Torino, 1880). Il Viaggio, (ci domandiamo se il fatto che siamo in tempi di maggioranza democristiana abbia portato esitazioni a questa ristampa!) o, Reisebilder, alla contadina di U. Geronimo, sindaco di Monticella, che era stato parecchie volte in Svizzera, Savoia e Tedescheria>>, ma calava per la prima volta a Roma, nel 1874, « per sollecitare al Ministero l'approvazione di un regolamento pei macelli pubblici », fu scritto per il più brillante giornale letterario dell'epoca, il Fanfulla. Assai meno elaborato che in Roma Borghese, il discorso è più spiegato, e va dritto al centro del problema, con una ingenuità che non guasta. Citiamo l'episodio centrale, lo incontro di un ciociaro e di una ciociara. << Il giovane ciociaro aveva una faccia di quelle che escono dalla porta degli ospedali e delle prigioni: teneva in testa un cappello puntuto, a pane di zucchero, flaccido e leggiero. E pure chi sa quale fatica, quanto rompitnento di ozio e di ossa doveva costare a quel giovane levare il suo cappello! Egli posava le braccia con i gomiti allungati sul desco e le mani strette contro il petto sotto le pieghe del mantello che gli avvoltolava il collo e il busto. [86] Bibliotecaginobianco
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