Nord e Sud - anno VI - n. 57 - agosto 1959

a caccia - come fanno alcuni dei più raffinati cercatori d'alloggio - di un settecento che non esiste, o pretendere che, volte le spalle alle meraviglie acquatiche delle fontane di Bernini, si debba trovare l'intimità di un interno olandese; le splendidezze scenografiche dei Papi non erano precisamente il frutto di una puritana industria mercantile. Se tuttavia esiste, nei confronti di Roma, una polemica che si simboleggia nella difficoltà del trovarvi casa in modo soddisfacente alle esigenze di una vita nel vero senso privata, questa polemica è solo in apparenza disfattistica. Roma, che passa per una delle più belle, ma meno accoglienti città del mondo, è una città da cui nessuno vuole mai andarsene, il che sarebbe assurdo se essa non offrisse che l'alternativa ufficiale: l'inferno delle anticamere dei ministeri o dei corridoi del traffico politico, o l'eden delle cupole dorate nel tramonto, viste da un tavolo di caffè o di trattoria. Se essa non avesse una sua propria civiltà, e con essa intimità di città moderna; una civiltà ed un'intimità segretamente viva ma stranamente inespressa, la quale vuol trovare una sua espressione ma si urta, costantemente, alla prepotenza dei clichés letterari, che da due secoli ormai perpetuano ed impongono a questa città un'immagine romantica ed escapistica che è anche intimamente disfattistica e decadente. Quella che si può chiamare la « sfortuna >> letteraria di Roma ha le sue origini in quel genere letterario che è il « viaggio in Italia» (il quale, quand'anche si spingeva, come quello di Seume, a Siracusa, aveva sempre come capitolo centrale Roma), nella sua settecentesca epoca aurea. E basterebbe, a misurare questa sfortuna, il paragone con Napoli, su cui - nella massa delle cartoline postali pittoriche e letterarie - si trovava tanta ricchezza di belle penetranti e affettuose pagine di viaggiatori e amatori strar1ieri. Sulla quale Napoli - non occorrerebbero altre testimonianze - dopo un soggiorno romano la cui faticosa programmaticità stinge anche nelle «Elegie>>, Goethe scrisse il più ispirato capitolo del suo viaggio in Italia! Ma a Napoli, città più antica di Roma e modernamente altrettanto barbara (secondo la nota equivalenza del malgoverno borbonico con quello pontificio, i peggiori d'Italia), non si veniva, ca.me a Roma, per misurarsi col mondo classico e colla storia dell'umanità, col conseguente senso di freddo e di delusione che simili esercizi hanno dato a tutti gli stranieri, compresi quelli italiani. A Napoli, città dove la natura esercita la massima umanità dei suoi diritti e dove d'altra parte Goethe stesso avvertiva la pre- [84] Bibliotecaginobianco

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