Nord e Sud - anno VI - n. 57 - agosto 1959

pubblico « che interessa lo Stato per considerazioni che vanno molto al di là dell'economia )). Questo punto appare indiscutibile, ed è sufficiente a distinguere il caso della RAI da quelli di tutte le altre aziende del gruppo IRI. L'evidenza del fine pubblico è tale << che si può pensare - continua Giacchi - se effettivamente non sarebbe meglio che l'ente a cui sono affidate le radiotrasmissioni e la televisione sia costitt1ito come ente pubblico, senza vestirsi di una forma privatistica che può sembrare fittizia )). Al quesito egli ritiene di dover rispondere negativamente, sulla base di questa considerazione: che << l'attuale monopolio delle trasmissioni radiofoniche e televisive è soltanto di fatto e può essere considerato temporaneo )). Per questo << è bene che la RAI conservi la forma di impresa privata, che la mette sullo stesso piano di eventuali possibili imprese co11correnti, da sottoporre sempre al controllo dello Stato, ma che non apparterrebbero indirettamente ad esso )). Questa opinione poteva sembrare qualche anno fa un po' accademica. Ma i tentativi fatti successivamente da alcuni gruppi economici privati per metter fine al monopolio televisivo della RAI dimostrano che la questione, a qt1esto punto, non è per nulla astratta. Come si ricorderà, alla fine di ottobre 1958 la Procura della Repubblica ha posto sotto sequestro una stazione televisiva privata sorta a Milano, ed ora si attende che il caso venga esaminato e giudicato dal Consiglio di Stato. E' difficile dire se vi siano molte o poche probabilità che gli industriali interessati alla televisione << con1merciale )) vedano accolta prima o poi la loro tesi. Ci sembra però che la questione oggi come oggi sia impostata in modo pericoloso. Se è vero, come è vero, che l'esigenza fondamentale e quella di assicurare alle radioaudizioni e alla televisione, nell'interesse di tutti i cittadini, il massimo di libertà e il miglior livello possibili, è necessario evitare che il problema venga discusso semplicemente in termini di liberismo o non liberismo economico. Giacchè e chiaro che i promotori della televisione commerciale non sono mossi da altro interesse cl1e quello di sfruttare una nuova fonte di profitti. Come è stato git1stamente notato (38), essi non hanno sollevato la questione del monopolio radiofonico, ma solo quella del monopolio televisivo. E la televisione, se ancor oggi ha un volume di pubblicità inferiore a quello della radio, ha tuttavia notevoli (38) Arturo Gismondi, op. cit., pag. 31. [46J Bibliotecaginobianco

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