così disarmato e impotente come l'attuale Ministero Segni. Ci domandiamo solta1ito se veramente tutto il padrotiato italiano sia schierato su posizioni di questo genere. Non è possibile, infatti, che non ci siano in Italia imprenditori moder11i, uomini meno miopi di coloro che da Piazza Venezia tirano i fili di questa assurda caccia alle streghe in cui ci sembra ormai consistere la eccitata pressione politica messa in scena dal << massimalismo liberista >>. Vi sarà pure qualcuno, tra gli imprenditori, disposto a far valere veramente il jJrincipio della libera ·concorrenza. Perchè - come ha scritto giusta1nente Eugenio Scalfari su L'Espresso del 17 maggio - il vero obiettivo da aggredire, per quelli che noi abbiamo chiamati « massimalisti liberisti», non è Mattei, o l'industria di Stato in quanto tale: è l'industria pubblica che opera in funzione calmieratrice rispetto ai monopoli privati ed assicura un minimo di concorrenza. Non bisogna dimenticare infatti - ricorda ancora Scalfari - che già l'IRI, qualche anno fa, fu oggetto delle stesse accuse e di atialoga aggressione: quando il presidente della Finsider, l'ing. Oscar Sinigaglia, lanciò il suo piano per rif armare dalle fonda menta la siderurgia italiana, anche allora « i giornali indipendenti ed i partiti di destra attaccarono l'IRI; il Presidente della Finsider fu accusato di megalomania, d'incompetenza, di sperpero di denaro pubblico, di concorrenza sleale all'i11dustria privata e, naturalmente, di filocomunismo ... si domandò una inchiesta sull'IRI, si contestò la veridicità dei bilanci. Nel frattempo nascevano gli altiforni ed i laminatoi di Cornigliano. Se oggi l'acciaio italiano regge il prezzo internazionale, pur avendo ri11unciato al dazio di protezione che lo ha coperto fin,o al 1953, ciò si deve a Sinigaglia ed alla battaglia che allora fu combattuta intorno al suo nome ed al suo programma>>. Come ieri per l'acciaio di Sinigaglia, oggi per i concimi di Mattei, che hanno costretto la Montecatini a ridurre i prezzi, giovando non poco alla iniziativa privata di piccoli, medi e grandi imprenditori agricoli. E c'è, infine, da domandarsi che senso possono avere le sfide lanciate dall'on. Malagodi all'on. Saragat, quando esse cadono nel clima artificiosamente creato dalla stampa confindustriale, e quando lo sfidante non si è n~anche preoccupato di sconfessare la campagna che - anche e soprattutto in suo nome, e comunque nel nome di un assai male inteso liberalismo - vanno conducendo gli editorialisti del Corriere della Sera e di quegli altri organi della stampa italiana la cui degradazione professionale e politica .[5] Bibliotecaginobianco
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