Nord e Sud - anno VI - n. 55 - giugno 1959

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO VI * NUMERO 55 * GIUGNO 1959 Bibliotecaginobianco

Avete provato a scrivere sulla Lettera 22? Uno strumento energico e veloce scatta ad allineare Le parole,· e le imprime con la nitidezza che si richiede ad . un pensiero preciso. Avete provato a sollevare la Lettera 22? Un dito la trasporta, ogni angolo del tavolo e della casa può diventare il suo, si sposta con facilità da una stanza all'altra, viaggia con voi. modello LL lire 42.000 + Lo.e. Nel negozi Olivetti ed In quem di macchine per ufficio, elettro• domestici e cartolerie. Olivetti Lettera 22 Bibliotecaginobianco

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Renato Giordano Ginevra 1955-1959 [7] Vittorio De Caprariis Problemi istituzionali della democrazia moderna [ 15] N.d.R. Giovanni Terranova Vittorio De Caprariis GIORNALEA PIÙ VOCI Napoli e la consorteria [ 32] L'economia italiana tra governo e MEC [34] Risorgimento e Resistenza [ 42] DOCUMENTI Lettere di Adolfo Omodeo [ 46] RASSEGNE Carla Perotti La casa in Europa (II) [90] MIGRAZIONIE INSEDIAMENTI NELL'ITALIAMERIDIONALE Corrado Beguinot Movimenti di popolazione e problemi urbanistici (I) [ 105] Una copia L. 300 • Estero L. 360 A.hhonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 eemeatrale L. 1.700 Estero annuale L. ,.ooo semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti su I C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Moodadori Editore • Milano Bibliotecaginobianco CRONACALIBRARIA [120] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista ,< Nord e Sud» Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

Editoriale Più di una volta, sulle pagine di questa rivista, si è dovuto rilevare la sostanziale artificiosità di una polemica condotta con accan imento da taluni ambienti e da taluni giornali contro ciò che essi amano defi nire il « pericolo del dilagante statalismo», o la incombente minaccia dello << Stato im,prenditore » che, novello Leviatano, mortificherebbe lo slancio, l'ene rgia, la passione liberale e lo spirito «sociale» delle categorie im, prenditoriali private. E recentemente (cfr. il numero di aprile di Nord e Sud), ci è parso che, nella polemica, fosse stato oltrepassato ogni limite; che nè il buon senso, nè la necessità di schierarsi a difesa di determinati interess i, autorizzassero il tono aspro e spavaldo assunto dai fautori del << massimalismo liberista>>; che, infine, lo slancio, l'energia, la passione liberale, e lo sp irito d'iniziativa delle categorie imprenditoriali private fosse mortificato p roprio dal fatto che esse potessero essere sospettate di alimentare polemiche del genere. Ma, evidentemente, non c'è alcun limite al grottesco. Si po ssono difendere e sostenere, in regime democratico, gli interessi deg li imprenditori grandi e piccoli, schierarsi a sostegno dei punti di vista del la Confindustria e illustrare le benemerenze dell'iniziativa privata. E non s aremo certo noi a scandalizzarci per questo, a negare la funzione che hann o avuto e continueranno ad avere le energie più responsabili e più vive del capitalismo italiano. Ma non si può, senza arrischiare il ridicolo, reinter,p retare la recente storia italiana, come ha fatto Mario Missiroli sul Corriere della Sera, in termini di contrapposizione tra le Forze del Bene (l'iniziativ a -privata) e le Forze del Maligno (lo statalismo socialista e cattolico). Tan to più che certe omissioni, certe volute dimenticanze, certi errori di fatto , non possono essere consentiti nemmeno a chi da cinquant'anni si diletta nel ruolo di soBibliotecaginobianco

fista e di giocoliere. Sono in gioco, quando si parla da un'autorevole tribuna qual'è quella del quotidiano lo1nbardo, non solo la serietà dell'articolista, ma anche la tradizio11e di un giornale che si è mantenuto sempre ad un certo livello di dignità europea, che non ha mai confuso la sua voce con quella servile e provinciale di un Giornale d'Italia, o di un Globo, che ha cercato per lo più di tenere relativamente conto del rispetto che si deve alla intelligenza dei lettori. Il direttore del Corriere è giu11to perfirio a presentarci l'attività della Federazione bonomiana come una « lezione di liberalismo», in contrapposizione col nefasto << statalismo >> degli Enti di Riforma agraria. E' incredibile clie si debbano leggere affermazioni del genere sul nostro massimo quotidiano nazionale, dopo averle lette per anni sugli organi provinciali della destra agraria come il Giornale d'Italia. Oggi - e il recente dibattito al Senato sul bilancio del Ministero delle Partecipazioni Statali l'ha ampiamente dimostrato - non si tratta di discutere in astratto sulla superiorità tlell'industria privata o dell'industria di Stato. Si tratta di stabilire in co1icreto, nelle leggi e nei regolamenti, nei programmi e negli indirizzi di governo, qual'è il ruolo che spetta ai due settori dell'economia italiana, quali sono i limiti dell'intervento pubblico e soprattutto quale funzione ciascuno dei due settori può avere in una politica di sviluppo che voglia affrontare il problema della disoccupazione e quello delle aree depresse del Mezzogiorno e delle Isole. A ciascuno il suo mestiere, scrive Missiroli. Infatti, che vale domandarsi: << come si dimostra che lo Stato possa far meglio dei privati nei settori definiti propulsivi?>>. Oggi tra i compiti di un governo e dello Stato c'è anche quello di sopperire alle deficienze dell'iniziativa privata, e di agire là dove questa è fallita, o non trova la convenie11za ad impegnarsi. Forse che l'IRI è nato da una precisa e chiara volontà statalistica? La domanda è oziosa per chi è appena inf armato delle cose d'Italia degli ultimi cinquant'anni. Ma non è inutile quando il direttore del Corriere sembra dimenticarsi delle vicende che costrinsero lo Stato a diventare imprenditore. La verità è che, polemica sui principz a parte, la campagna della destra economica contro lo « Stato imprenditore» ha raggiunto nelle ultime settimane toni di una violenza inusitata. Non staremo qui a ripetere qttanto essa sia speciosa e quali i1isidie 1ia·sconda;nè ricorderemo che mai nessun governo in Italia, di fro1ite alle pressioni della destra economica, è stato [4] Bibliotecaginobianco ..

così disarmato e impotente come l'attuale Ministero Segni. Ci domandiamo solta1ito se veramente tutto il padrotiato italiano sia schierato su posizioni di questo genere. Non è possibile, infatti, che non ci siano in Italia imprenditori moder11i, uomini meno miopi di coloro che da Piazza Venezia tirano i fili di questa assurda caccia alle streghe in cui ci sembra ormai consistere la eccitata pressione politica messa in scena dal << massimalismo liberista >>. Vi sarà pure qualcuno, tra gli imprenditori, disposto a far valere veramente il jJrincipio della libera ·concorrenza. Perchè - come ha scritto giusta1nente Eugenio Scalfari su L'Espresso del 17 maggio - il vero obiettivo da aggredire, per quelli che noi abbiamo chiamati « massimalisti liberisti», non è Mattei, o l'industria di Stato in quanto tale: è l'industria pubblica che opera in funzione calmieratrice rispetto ai monopoli privati ed assicura un minimo di concorrenza. Non bisogna dimenticare infatti - ricorda ancora Scalfari - che già l'IRI, qualche anno fa, fu oggetto delle stesse accuse e di atialoga aggressione: quando il presidente della Finsider, l'ing. Oscar Sinigaglia, lanciò il suo piano per rif armare dalle fonda menta la siderurgia italiana, anche allora « i giornali indipendenti ed i partiti di destra attaccarono l'IRI; il Presidente della Finsider fu accusato di megalomania, d'incompetenza, di sperpero di denaro pubblico, di concorrenza sleale all'i11dustria privata e, naturalmente, di filocomunismo ... si domandò una inchiesta sull'IRI, si contestò la veridicità dei bilanci. Nel frattempo nascevano gli altiforni ed i laminatoi di Cornigliano. Se oggi l'acciaio italiano regge il prezzo internazionale, pur avendo ri11unciato al dazio di protezione che lo ha coperto fin,o al 1953, ciò si deve a Sinigaglia ed alla battaglia che allora fu combattuta intorno al suo nome ed al suo programma>>. Come ieri per l'acciaio di Sinigaglia, oggi per i concimi di Mattei, che hanno costretto la Montecatini a ridurre i prezzi, giovando non poco alla iniziativa privata di piccoli, medi e grandi imprenditori agricoli. E c'è, infine, da domandarsi che senso possono avere le sfide lanciate dall'on. Malagodi all'on. Saragat, quando esse cadono nel clima artificiosamente creato dalla stampa confindustriale, e quando lo sfidante non si è n~anche preoccupato di sconfessare la campagna che - anche e soprattutto in suo nome, e comunque nel nome di un assai male inteso liberalismo - vanno conducendo gli editorialisti del Corriere della Sera e di quegli altri organi della stampa italiana la cui degradazione professionale e politica .[5] Bibliotecaginobianco

è stata fermamente e giustamente denunciata dal Mondo, dall'Espresso e dalla Voce Repubblicana. Ma lasciamo l'on. Malagodi alle sue fatiche di liquidatore del liberalisnio del Partito liberale. Quel che a noi interessa è soprattutto questo: quale atteggiamento terrà la DC di fronte alle pressioni del << massimalismo liberista», e soprattutto di fronte a problemi che vengono a scadenza, e che non possono certo essere affrontati in un clima intimidatorio e di polemica astiosa e inconcludente? C'è in generale il problem,a della i12dustrializza-- zione del Sud, per la soluzione del quale non si può prescindere dall'impe.. gno diretto dello Stato, come l'esperienza inglese ed americana di intervento in zone depresse e sottosviluppate hanno largamente provato. E c'è in particolare la questione dell'energia nucleare, a proposito della quale La Voce Repubblicana giustamente si augura che la nuova legge - la quale sta per esserepresentata dal ministro Colombo al Consiglio dei Ministri e alle Camere, - « assegni al nuovo orgariismo, destinato a raccogliere l'eredità del CNRN, le funzioni di coordinamento anche nel settore della produzione di energia elettronucleare almeno per le iniziative statali» (e su questo punto anche noi attendiamo alla prova l'on. Colombo); e si augura che si gettino << sin d'ora le fondamenta per un pool elettronucleare, atto a trasfarmarsi in Ente nazionale per l'energia nucleare, quando il Parlamento si renderà conto che non è possibileaffidarsi ad iniziative singole in un settore, che comporta ancora oneri e rischi assai sensibili per le imposte singole, mentre le riduce al minimo per un complesso di iniziative coordinate>>. Questi ed altri problemi del genere sono quelli che possono dare luogo a una nuova maggioranza di centro-sinistra:alla cui formazione potrebbero concorrerein modo determinante tutte le forze meridionaliste e antimonopoliste della DC; e anche forze meridionaliste clie ancora coabitano con Malagodi nel PLI o che ancora tollerano nella Confindustria l'indirizzo politicamente inaccettabile che i De Miche/i e i Faina hanno· imposto al padronato italiano; per non parlare infine di quelle forze che potrebbero, con un atto di responsabilità politica, rendersi finalmente disponibili per rovesciarel'attuale trend della politica italiana: << disponiblii per le riforme di struttura» e per fare del nostro paese un paese più moderno. C'è però un monito che vale per tutte queste forze: domani, e non dopodomani. [6] . ·' Bibliotecaginobianco

I Ginevra 1955-1959 di Renato Giordano In un articolo scritto su « Foreign Affairs >> del gennaio di quest'anno ( 1 ), George F. Kennan ha spiegato l'evoluzione del suo pensiero, dai tempi in cui formulava la dottrina del containment, all'attuale fase, in cui appoggia il disengagement. L'ex Ambasciatore a Mosca sostiene che fra le sue due posizioni non v'è contraddizione, ma solo evoluzione, cioè adattamento alle nuove esigenze della scena politica internazionale. In polemica esplicita con Acheson, Kennan afferma che la sua politica del containment fu concepita per arrestare le mire espansive russe in Europa, cioè come politica negativa e funzionale, senza la pretesa di essere una risposta definitiva ai problemi lasciati irrisolti dalla guerra mondiale. Oggi - così continua la tesi dell'ex Capo del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato - le esigenze della scena internazionale sono mutate. La minaccia russa all'Europa non si manifesta più nella forma di · dieci anni fa; ed i paesi europei non sono più prostrati come alla fine della guerra. Quindi il problema di fondo della politica mondiale non è più il contenimento, ma il disengagement. Non c'è contraddizione fra fase-contenimento e fase-disimpegno: c'è invece un fenomeno di sclerotizzazione mentale nella concezione di coloro che, ciechi di fronte agli sviluppi della situazione, continuano a voler applicare alla realtà di oggi lo schema del contenimento, valido solo per la realtà di ieri. Nel ripensamento di Kennan -c'è, a me sem·bra, il succo delle posizioni di coloro che premono per u.t;iatteggiamento nuovo, o come è di ( 1 ) Cfr, Di$~ngagement revisited, gennaio 1959. , [7] Bibliotecaginobianco

moda dire di questi tempi, per una diplomazia più flessibile verso la Russia sovietica. Il problema di fondo consiste, dunque, nel vedere che cosa sia cambiato nell'atteggiamento russo da giustificare un nuovo corso della politica occidentale; se da Mosca vengono segni di debolezza o prove di forza; se la diplomazia conciliante delle P.otenze occidentale sia il risultato di saggezza o invece di wishful thinking o, addirittura, di volontà di appeasement. La politica del containment fu la reazione occidentale alla spinta espansiva del blocco sovietico nel dopoguerra, che ebbe come punte estre- ( me il colpo di Stato in Cecoslovacchia, il blocco di Berlino e la guerra di Corea. Il containment assunse due forme particolari: la difesa militare dell'Occidente e la· ricostruzione politico-economica dell'Europa. Al riparo dello scudo NATO i paesi europ'ei si mettevano sulla strada verso l'unità, che avrebbe creato una diga permanente di fronte alla minaccia .orientale. Si avvertiva insomma che la « diga militare» aveva la funzione di permettere il crearsi di una struttura politica stabile, grazie alla quale i paesi europei evitassero il rischio della disgregazione sotto la pressione sovietica. La risposta russa non si fece attendere. Mentre la guerra in Corea volgeva verso la conclusione, il Cremlino iniziò uno sforzo diretto ad ostacolare l'organizzazione militare e politica della coalizione occidentale. Fino a che punto la morte di Stalin abbia favorito il mutamento di tono sovietico è difficile dire. E' difficile dire, perchè non solo la politica . russa era cambiata in Europa già dagli inizi del '49, quando - dopo il fallimento del blocco di Berlino - la spinta da Oriente si era arrestata; non solo perchè è tutt'altro che sicuro che la responsabilità effettiva dell'offensiva in Corea risalga ai russi (e non ai cinesi o ai nord-coreani); ,~ma anche perchè la nota sovietica, che iniziò lo scambio diplomatico sul , problema tedesco venne inviata il lQ__ marzo :J.2.:i2, e si tratta di una nota che viene considerata in ·certi ambienti part1colarmente aperta ad una franca discussione della questione. Inoltre è al XIX Congress.o del Partito comunista dell'ottobre '52 che Stalin annunciò la sua teoria, secondo cui i paesi capitalistici sarebbero in conflitto tra di loro, teorema questo che gli consentiva di annunciare forme di lotta abbastanza moderate. L. Questi dati indicano, insomma, che la «svolta>> della politica russa Bibliotecaginobianco [8]

è precedente alla morte di Stalin e che essa non fu dovuta alla nuova direzione del Partito Comunista Sovietico ma alla fermezza della reazione occidentale ai tentativi di espansione i=ussa del dopoguerra. Nella situazione fluida, determinatasi dopo il '45, Stalin cercò di conseguire il massimo dei risultati possibili, senza però mettere mai in pericolo le conquiste realizzate durante la guerra. Ebbe successo in Cecoslovacchia, ma fallì a Berlino. In Corea, abbia preso lui stesso l'iniziativa o abbia subito l'azione dei suoi alleati, è certo che fece macchina indietro (o convinse i suoi alleati a fare macchina indietro) quando non fu più possibile nutrire dubbi sull'entità dell'intervento americano. È importante, dunque, sottolineare che i succesori di Stalin, iniziando la << diplomazia del sorriso>>, si inserivano nel solco già scavato dal loro predecessore; essi perfezionavano ed approfondivano una politica; ma è difficile dire che l'abbiano veramente trasformata. Rimane tuttavia acquisito che a partire da un'epoca, che possiamo con approssimazione cercare di individuare e che risale al 1952, il Cremlino ha perseguito in Europa un'azione politico-diplomatica complessa di-- retta da una parte a continuare nello sforzo di consolidare il dominio sulla propria sfera di influenza e dall'altra parte ad impedire il consolidamento della coalizione occidentale, protestando una ferma volontà di raggiungere un accordo a tutti i costi, ed alternando continuamente sorrisi a minacce per indicare le due scelte possib.ili, che la sua politica offriva. I paesi occidentali che con il Piano Marshall, la NATO, la CECA e la CED avevano preso una serie di iniziative, hanno subito sempre più l'azione sovietica senza riuscire ad evitare gravi rovesci ed il pericolo di improvvisi cedimenti sul fronte diplomatico. Se si tenta un bilancio degli anni successivi alla morte di Stalin, si constata che l'Unione Sovietica ha fatto all'Occidente una sola concessione (il Trattato austriaco), ma è riuscita da una parte a sconvolgere le posizioni tradizionali che l'Occidente aveva nel Medio Oriente (sia fomentando forze nazionalistiche, sia puntando direttamente su gruppi comunisti) e dall'altra parte a rallentare il ritmo di preparazione militare e lo sforzo di integrazione politica delle democrazie. Nel 1952 l'Unione Sovietica era nettamente superata dagli Stati Uniti nel campo degli armamenti nucleari; oggi è in condizione di vantare la sua superiorità nel settore dei missili intercontinentali. ' [9] Bibliotecaginobianco

Nel 1952 veniva ratificata la CECA e si preparava la ratifica della CED, mentre era in vista la creazione di una Comunità Politica Europea; oggi le istituzioni europee lottano in condizione di grande debolezza contro la ripresa degli Stati nazionali. Nel 1952 la coesione dei paesi occidentali appariva salda ed indiscutibile; oggi, dopo la crisi di P.orto Said, dopo la polemica sulla Zona di Libero Scambio, dopo il viaggio << esplorativo >> di Mac Millan a Mosc~, l'unità occidentale è solo un ricordo o un'aspirazione. Nel 1952 Hochimin era soltanto un ribelle nazionalista indocinese; oggi è la punta avanzata del sistema comunista in Asia Sud-Orientale. Nel 1952 la Russia era bloccata dal Caucaso e dai Dardanelli; oggi le sue avanguardie battono il Golfo Persico. Nel 1952 si poteva pensare che l'Unione Sovietica si basasse su una struttura econom-ica sostanzialmente precaria; che il paese, prov-ato dal conflitto mondiale, fosse lontano· dal poter competere con le grandi potenze occidentali; oggi Krusciov lancia la sua sfida competitiva e, per grande che sia il divario che ancora separa la Russia dagli Stati Uniti, è chiaro che non si può più mettere in du·bbio la potenza del sistema industriale sovietico. Ecco, dunque, in sintesi la modifica dell'equilibrio delle forze, che si è verificato a vantaggio dei Sovieti negli ultimi anni, all'ombra della diplomazia del sorriso. Ma il quadro non è ancora completo. Il mutamento fondamentale si è verificato sul problema tedesco. Nel 1952- ed in realtà negli anni successivi fino al 1955- Mosca non aveva · dicl1iarato per nulla il suo atteggiamento sulla questione. Il mondo occidentale era diviso in due gruppi: i fautori di una politica di fermezza (Acheson-Adenauer), i quali ritenevano cl1e sotto la pressione di u11'organizzazione massiccia dell'Occidente i russi avrebbero potuto finire con il cedere la Germania orientale; e gli esponenti più o meno neutralisti (vedi per tutti Walter Lippmann) i quali ritenevano che i russi non aspettavano che la decisione americana di allentare la tensione in Europa per effettuare a loro volta « la grande ritirata » al di là della Vistola. Ma, pur nella diversità delle visioni, gli uni come gli altri erano inclini a pensare che i russi f assero disposti a ritirarsi dalla Germania orientale, per consentire la riunificazione tedesca. La nota russa del 10 marzo 1952 venne letta dagli ambienti neutralisti in chiave di questa iu.tGrpretazione. Dopo la. Bibliotecaginobianco [10]

morte di Stalin, nella fase Beria-Malenkow della direzione collegiale ci furono sintomi di ammorbidimento russo in Germania, che sfociarono nei moti di Berlino del 17 giugno 1953 (e che provocarono forse la caduta di Beria). E che la C,onferenza di !lerlino del gennaio '54, convocata per discutere il problema tedesc~, p.ortasse soltanto aITa Conferenza di Ginevra dell'aprile successivo dove fu trattata esclusivamente la questione indocinese, non bastò a scoraggiare le speranze occidentali, che vennero invece crescendo nell'inverno '54-'55, mentre si preparava il <<Summit>> della primavera successiva. Il famoso piano Eden per la riunificazione tedesca cade appunto in quest'epoca. La prima dichiarazione ufficiale del Governo sovietico, che poneva fine irrimediabilmente ad ogni speranza di unificazione tedesca, fu fatta dallo stesso Krusciov, appena reduce dal Summit di Ginevra. A partire da qt1el momento il Cremlino non ha lasciato nessun dubbio sulla sua volontà di non permettere una riunificazione tedesca, che implicasse lo smantellamento dello << stato socialista » realizzato in Germania orientale, cioè a dire un'unificazione basata su libere elezioni. Il significato di tale presa di posizione è addirittura ovvio. Subito dopo l'incontro al vertice, che avrebbe dovuto finalmente rivelare la possibilità concreta di soluzione tra Est ed Ovest del problema tedesco, Krusciov annunciava che un accordo era possibile solo se gli Occidentali erano disposti a riconoscere il Governo di Pankow, sanzionando cioè lo status quo in Europa orientale. Mentre i leaders occidentali si baloccavano con l'illusione dell'atmosfera di fiducia e di buona volontà, l'opinione mondiale apprese dopo poche settimane che, al riparo dallo << spirito di Ginevra>>, il Cremlino aveva iniziato la sua penetrazione nel Medio Oriente inviando armi a Nasser, mentre bloccava definitivamente le speranze di unità tedesca su basi accettabili agli .occidentali. Una nuova ondata di wishful trinking fu scatenata in occidente dal famoso rapporto segreto di Krusciov del febbraio del '56. Si credette in altri ambienti occidentali che la destalinizzazione avrebbe facilitato la distensione internazionale e avrebbe allentato la presa russa sugli Stati Uniti, Germania Est compresa. Ma, quali che fossero le ragioni di politica interna che spinser.o Krusciov al rapporto segreto, per profondi che furono i rivolgimenti verificatisi nell'ambito ·dei partiti çomunisti dei paesi satelliti, le basi della [11] Bibliotecaginobianco I

politica estera russa non furono scosse. E la dimostrazione la si ebbe con la soppressione della rivoluzione ungherese. Il Cremlino non poteva accettare una diminuzione della sua sfera di influenza. Dopo la prova di forza ungherese, che era anche servita a rivelare il velleitarismo delle richieste occidentali di roll-back, l'atteggiamento russo si è venuto ulteriormente e progressivamente irrigidendo. Le tappe di questo processo sono: il colpo di stato in Siria, il lancio del missile intercontinentale, il colpo di stato in_Ira~ ed infine (dopo la diversione ,delle cannonate a Quemoy) l'ultimatum sul problema di Berlino. I Quando Walter Lippmann ha intervistato Krusciov nell'autunno '58 è giunto alla conclusione che l'obiettivo fondamentale p•erseguito dal Crem1 lino è il riconoscimento formale dello << status quo » in Europa, contemporaneamente al proseguimento degli sforzi di penetrazione nei paesi , sottosviluppati. Sembra dunque che proprio Walter Lippmann abbia smesso l di sperare nella « grande ritirata >> al di là della Vistola, che era stata , la sua tesi preferita negli anni passati. È bene, dunque, tenere chiaro in mente che Mac Millan si è fatto promotore dell'incontro al vertice (e gli altri paesi occidentali lo hanno accettato) non per rispondere ad un gesto di pace sovietico, ma come reazione ad una terribile minaccia. Nel '55 si andò a Ginevra nel clima del sorriso, nel '59 sotto la spada di Damocle dell'ultimatum berlinese. Nel 1955Mosca aveva concesso come prova della sua buona volontà il Trattato con l'Austria, nel '59 minaccia, per bocca di Krusciov, la distruzione atomica dell'Occidente con 16 bombe all'idrogeno. ' E tragicamente paradossale che l'opinione occidentale, intossicata da anni di infiltrazione e di propaganda pacifista e neutralista, si sia resa conto solo molto vagamente del mutamento di atmosfera tra il '55 e oggi. ' La richiesta di disengagement, che ha Jominato gli ambienti neutralisti fin dalla fine del '57, quando se ne fece portavoce Kennan nelle ormai famose Reith Lectures, ha creato l'illusione che l'attuale fase diplomatica rientri in un clima distensivo e miri ad ottenere il « disimpegno » delle forze avversarie attualmente in contatto armato sull'Elba, come primo piano di un settlement pacifico progressivo e generale. In realtà Mac Millan ha asserito a Washington che la proposta di un incontro al vertice non parte da questa visione ottimistica della realtà. Nel suo viaggio a Washington, il Premier inglese ha detto al Presidente Bibliotecaginobianco [12]

americano che la sua decisione in favore del summit era tnàturata durante il viaggio a Mosca, quando si era reso conto che l'incontro al vertice sarebbe stato il solo mezzo per trovare una soluzione all'altrimenti gravissima situazione di Berlino. Vera o non vera che sia la rivelazione di J. Alsop sul New York Herald Tribune (2 ), secondo cui gli inglesi hanno promesso ai russi concessioni sul problema tedesco in cambio di una garanzia sovietica sulle royalties di petrolio irakeno, vi sono numerosi segni che Mac Millan sia disposto ad andare incontro a Krusciov, cioè a cedere sulla questione di Berlino, o sulla questione tedesca. Significativa, da questo punto di vista, l'ostilità della stampa inglese, Times in testa, al package plan degli Occidentali. Nè meno indicativa è l'apertura degli uffici della FBI (Federation of British lndustries) e della Reuter in Germania Est, annunciata dagli inglesi in concomitanza con le riunioni dei Ministri degli Esteri, mentre si discuteva d•ello status della Germania. Non per niente Acheson sul N.Y. Times Magazine ha paragonato Mac Millan a Chamberlain (3 ). In conclusione, gli occidentali si avviano all'incontro al vertice in posizione di netto svantaggio, poichè, mentre i russi si presentano al tavolo della Conferenza chiedendo qualcosa, essi possono solo sperare di cedere il meno p.ossibile; mentre i russi perseguono una politica decisa e coerente, gli occidentali sono divisi ed indeboliti dall'atteggiamento degli inglesi propensi, a quanto sembra, a raggiungere un accordo ad ogni costo. È difficile prevedere, mentre la Conferenza dei Ministri degli Esteri è ancora in corso, l'evoluzione delle trattative. È possibile, però, tentare un quadro generale delle esigenze dello schieramento occidentale. Il contenimento è una necessità valida oggi come dieci anni fa. Sostenendo il contrario, Kennan dà per dimostrato quello che bisognerebbe dimostrare. Quando l'eminente ex diplomatico· americano scrive che la politica del contenimento era diretta a mettere i paesi europei in condizione di ricostruire le loro forze, per evitare che subissero le mire aggressive dell'URSS, e quando aggiunge ,che tale obiettivo può ora considerarsi raggiunto, egli commette, a me sembra, un grave errore di calcolo politico. Se è ver.o, infatti, che i paesi europei si sono ~isollevati dallo stato di prostrazione economica, in cui erano ridotti nel dopoguerra, non è vero ( 2 ) Cfr. Cards on the table?, 16 maggio 1959. ( 3 ) Cfr. On dealing ,with Russia: an inside View, 12 aprile 1959. [13] Bibliotetaginobianco

invece che essi siano forti abbastanza da poter alla lunga resistere alla forza di attrazione del colosso sovietico. La ricostruzione dei paesi europei è avvenuta essenzialmente lungo la linea degli Stati nazionali. Il fallimento della CED segnò una grave battuta d'arresto nello sforzo di costruzione federale, ed il Mercato Comune implica una strada lunga verso l'unità, che non riesce ad impedire nel frattempo la ripresa della politica nazionale dei singoli Paesi. Il contenimento, se ha avuto successo come << diga militare», non è invece finora riuscito a costruire la << diga politica», cioè la struttura politica unitaria degli Stati europei. E questo secondo obiettivo (la diga politica) è in verità l'obiettivo a lungo termine del contenimento, che può permetterci di competere con il mondo comunista, senza subire ulteriori erosioni. Oggi come oggi i paesi europei, presi isolatamente, non so110in condizione di reggeré nè dal punto di vista della sfida competitiva, nè sul piano militare. Lo stesso Kennan, mentre asserisce che gli Stati europei sono sufficientemente forti, avverte che il problema essenziale è di impedire che la Germania occidentale sia dotata di armi nucleari. Ma, senza armi nucleari, la forza di un paese e illusoria. Prive di armi atomiche, la Germania ovest o l'Italia, senza la protezione americana, sarebbero costantemente alla mercè del ricatto atomico sovietico. Per conseguenza, se la minaccia russa è ancora più che mai una realtà, se i paesi europei isolati e senza appoggio americano non potrebbero competere con il colosso sovietico, è evidente che l'esigenza essenziale per le democrazie rimane la politica del contenimento intesa nel suo doppio valore di scudo militare e di strumento di unificazione europea. Il problema e dunque un problema interno alla alleanza atlantica, e non può essere risolto in un incontro con i russi. Da un incontro al vertice, mentre Mosca si aspetta da una parte un ulteriore rilassamento dello sforzo occidentale di organizzazione delle forze democratiche e dall'altra parte il riconoscimento formale dello status quo in Europa orientale, le democrazie non hanno nulla da guadagnare, creando le condizioni di fatto per il riconoscimento del Governo fantoccio di Grotewohl, cedendo cioè su una fondamentale questione di principio senza contropartita. Bibliotecaginobianco [14]

Problemi istituzionali della democrazia moderna di Vittorio de Caprariis La crisi che ha travagliato e travaglia la Francia, la fine della Quarta Repubblica e l'avvento di un nuovo regime il cui assetto istituzionale desta gravi preoccupazioni pel destino della libertà in quel paese, hanno dato una pungente attualità ai discorsi sulle insufficienze cl.elleistituzioni democratiche in Italia. Anche da noi si sono scoperte crepe e disfunzioni, si sono constatati difetti e vizi organici, e le richieste e le proposte di riforme più o meno radicali si sono fatte più frequenti e nutrite. Si è cupamente parlato, da qualche parte, di non so che tradizionale incapacità del popolo italiano a dar vita a libere istituzioni; si è perfino affermato che i regimi democratici (almeno del tipo che si conosce nell'Europa occidentale) avrebbero fatto il loro tempo e che sarebbe necessario, pertanto, sostituirli con sistemi più moderni; si è, finalmente, accennato ad una malattia morale, che paralizzerebbe le coscienze dei più, ad una crisi di sfiducia, sopraggiunta ad un decennio di distanza, o poco più, dagli entusiasmi del '45, per il naufragio delle illusioni che allora si nutrirono, per il fallimento della << Repubblica pura e dura>>, che in quei momenti si ritenne possibile. Ne è mancato chi ha indicato nel dilagante conformismo la ragione principale delle dìflicoltà attuali: le illusioni e gli entusiasmi del '45 o del '46 - si argomenta - erano pur segno di una volontà d'azione, di una energia creatrice; ed oggi l'una e l'altra avrebbero una vita stenta e grama in un paese sottoposto ad una profilassi sterilizzante, si conserverebbero intatte solo in piccoli gruppi di audaci idealisti, i quali [15] Biblioteéaginobianco

apparirebbero, sl, condannati ad essere espulsi dal tessuto cl.ella vita pubblica, ma, col loro coraggio disinteressato, contribuirebbero a serbare intatto un patrimonio morale attraverso la caligine della disperazione presente. Sono, questi, giudizi e atteggiamenti e stati d'animo di cui sarebbe assai agevole mostrare i limiti, ma che insieme sono t1n sintomo del disagio che effettivamente esiste nel nostro paese e ·di cui sarebbe sciocco e pericoloso dissimularsi le ragioni obiettive. L'ottimismo di un Candide benpensante non resisterebbe a lungo ad un'analisi vigorosa e schietta: v'è una ,degradazione degli istituti della libertà e v'è una degradazione della società .Politica e di tutte le forze che la compongono, non solo innegabile ma preoccupante, e che parla da s.ola. Se è vero (ed anche qui l'esperienza francese è illuminant•~) che la polemica in,discriminata contro partiti e classi politiche e contro le istituzioni democratiche è prova di una profonda irresponsabilità, se è vero che c'è sempre il rischio di mettere in movimento un meccanismo che pt1Òan.dare assai più in là di quanto gli uomini in buona fede possono prevedere, che c'è, insomma, il rischio di bruciare le parti sane con quelle malate e di uccidere l'organismo; è vero, altresì, che la rinuncia a vedere attentamente ciò che non funziona, a denunciare le disfunzioni in atto ed a proporre le riforme più adatte, può essere altrettanto pericoloso. Il senso di responsabilità non equivale al silenzio ermetico, al rifiuto della critica: che anzi l'intervento chirurgico tempestivo è sovente più efficace delle cure mediche estenuanti. L'impegno democratico non è fatto soltanto di fedeltà, ma anche di costante vigilanza e di prontezza ad intervenire per restaurare gli equilibri minacciati o per innovare audacemente là dove v'è necessità di innovare. Pure, il riconoscimento di quella che abbiamo chiamata una degradazione degli istituti della libertà non implica automaticamente il riconoscimento della validità delle motivazioni che di solito sono offerte. Quando si afferma che l'esperienza francese è la riprova che il problema non è soltanto italiano ma europeo e che i regimi democratici sono ormai superati, si dice troppo o non si dice nulla. Poichè in tale affermazione manca totalmente ogni indicazione d{ che cosa sia superato e di quale meccanismo non serva più allo scopo per cui fu escogitato; si mette tutto sullo stesso piano, si travolge tutto in un fumoso rifiuto ed in una non meno fumosa richiesta di ammodernamento: e vien voglia di respingere con . [16] Bibliotecaginobianco .

fastidio cosiffatte manifestazioni di inquietudini, e di rinviare gli inquieti a meditare serenamente sui problemi, onde assortire la generica e sommaria condanna di proposte concrete. Parimenti, quando si parla di una inferiorità innata del popolo italiano, si pone il discorso in termini assolutamente inaccettabili e che, per di più celano nelle loro pieghe un'insidia reazionaria non discernibile a prima vista, ma non per questo meno sicura. E, finalmente, quando si accenna ad una crisi morale, ad un conformismo paralizzante, che sarebbe prodotto, o anche solo accelerato, dall'istinto corruttore che animerebbe questo o quel partito politico, quando si accenna ad una malattia dell'animo e del costume che avrebbe già spento ogni freno inibitorio ed avvierebbe· il paese verso il regime, si fa una diagnosi così impressionante e grave, che veramente non s'intende come la scrupolosa restaurazione del sistema dei contrappesi istituzionali possa bastare a restituire all'ammalata la salute. Una semplice vernice di costituzionalismo non dovrebbe essere sufficiente a dare qualche luminosità al quadro tutto color perso in cui consiste la diagnosi: poichè l'esperienza del passato ammonisce che quando si è in simili condizioni di atassia morale, di corruzione politica e di profondo -disagio sociale, si è alla vigi- · lia di rivoluzioni decisive. Non dico ciò per il gusto di rilevare una contrad,dizione, ma solo perchè in queste cose nulla come la sproporzione tra la diagnosi ed i rimedi può essere fuorviante dall'esatta intelligenza dei problemi, e quindi dalla loro soluzione. Bisogna, ·dunque, restituire alle cose le loro esatte proporzioni senza concedere nulla al desiderio dell'innovazione per l'innovazione, alla tentazione di veder crisi morali dappertutto, alle previsioni apocalittiche; bisogna sforzarsi di veder con chiarezza e rigore quali sono i mali di cui soffre effettivamente la democrazia italiana, quali sono le cause più plausibili e quali i rimedi; e bisogna, soprattutto, sforzarsi di essere il più possibile aderenti ad una impostazione politico-istituzionale. Quali sono, dunque, questi mali che così volentieri si denunciano? Squilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo; inefficienza del Parlamento, interferenza d_ellapolitica nell'amministrazione e dell'amministrazione nella politica, degradazione degli organì dello Stato ad organi di partito, prepotere di occulte influenze, sfrenata libidine -d{potere dei monopoli privati o di quelli pubblici, partitocrazia, governo degli apparati, inadeguatezza degli attuali sistemi elettorali ...: abbiamo messo un pò alla rinfusa l'uno accan- [17] Bibliotecaginobianco

to all'altro alcuni dd diretti che si lamentano piò trequentemente e che, com'è ovvio, si coloriscono diversamente secondo le convinzioni e la militanza politica di chi li denuncia. Ed è appena necessario avvertire che altri se ne potrebbero aggiungere assai facilmente, togliendoli dalla stampa quotidiana _osettimanale o dalle riviste specializzate o anche solo dalla osservazione di ciò che quotidianamente accade. Ma ognuno può intendere che in questo cahier de àoléances ( e si badi che gli altri che vengono presentati non sono di solito più ordinati) v'è una confusione indicibile, v'è la tendenza a mettere tutto sullo stesso piano, e che v'è, pertanto, la esigenza primaria di stabilire, un ordine rigoroso. Solo che per comodità di discussione l'ordine non puç>essere stabilito a posteriori, ma deve farsi intorno ad ipotesi di lavoro, che non si assumo.fioa caso, ma sono già, a loro modo, un primo frutto dell'analisi delle questioni. A me sembra che si po'>sadire che due sono i punti fondamentalì da sottoporre ad esame, due sono le sfasature principali che minano oggi la stabilità o l'armonico sviluppo delle istituzioni d.emocratiche nel nostro paese. Prendendo a prestito un linguaggio che apparirà impreciso (ma che sarà precisato subito) si può aggiungere che la prima di queste difficoltà è nel seno della società politica e che la seconda deriva da una contrad- - dizione tra questa società politica stessa e la società civile, contraddizione che in altri paesi è già esplosa da un pezzo, onde il problema è ormai chiaro alla coscienza di tutti (anche se le soluzioni non appaiono sempre soddisfacenti), mentre in Italia covava già da tempo, ma solo da poco è apparsa manifestamente. E, come 'si può intendere già da questo cenno, sono entrambe questioni che superano di molto la responsabilità di questo o quel partito: se proprio si volesse fare una ricerca sulle responsabilità bisC?gnerebbeiniziare un discorso assai vasto e complesso e sottoporre ad una analisi implacabile innanzitutto le insufficienze della nostra cultura (e non della nostra soltanto). Il difetto interno alla società politica pare consistere 1n un décalage che s'è venuto a creare tra l'evoluzione delle forze politiche e· quella dei nieccanismi che, per così dire, istituzionalizzano queste forze politiche medesime. Gli storici militari delle guerre franco-tedesèhe usano ripetere che nel '70 come nel 1914 e nel 1940 i francesi erano in ritardo di una ------ guerra. Si potrebbe dire paradossalmente che l'Italia è in ritardo di· una riforma istituzionale: la· nostra costituzione, che sarebbe stata ottima [18] BibliotecaGino Bianco

trent'anni fa, ha delle lacune che la rendono inadattét ai nostri tempi. Il trionfo definitivo della democrazia politica e il suo figlio primogenito: il suffragio universale, hanno profondamente alterato, per ogni dove, le condizioni della lotta politica ed hanno per ciò stesso posto in crisi l'istituto fondamentale del regime liberale del secolo scorso, il parlamento. Questo non vuol dire che vi sia contraddizione ò, peggio ancora, una necessaria incompatibilità tra suffragio universale e istituto parlamentare (una simile conclusione sarebbe davvero un insostenibile paradosso), ,na vuol dire semplicemente che, quest'ultimo, in una società la quale abbia se non altro l'aspirazione ad essere totalmente democratica, da solo non basta più alle funzioni che una volta erano sue. E, di più, anche il vecchio sistema dei bilanciamenti e dei contrappesi funziona male: anche qui non già perchè il principio su cui quel sistema era fondato non è più valido, ma perchè le antiche dighe non sono più adatte a contenere il fiume impetuoso e questo fa pressioni in modi ed in punti insospettati e provoca crepe, le quali, a loro volta, falsano il funzionamento dell'intero meccamsmo. · Non è, dunque, che i vecchi principi ed istituti siano or,nai interamente superati, è piuttosto che essi da soli sono inadeguati: la grande rivoluzione operata dal suffragio universale, la creazione, cioè, dei cosiddetti partiti di massa, ha posto problemi imprevisti, ha rotto gli equilibri preesistenti ed ha impresso un movimento vertiginoso a tutta la società politica. Ma su questo punto conviene essere chiari fino all'-estremo, ed evitare ogni equivoco: il suffragio universale è figlio legittimo delle rivoluzioni liberali dei secoli scorsi e parimenti la formazione dei moderni partiti è un prodotto apch'esso legittimo e necessario della evo1uzione liberaldemocratica. Giacomo Perticone ha avuto· perfettamente ragione a sottolineare con forza che il regime rappresentativo parlamentare ed il regi~e dei partiti di massa si trovano sulla stessa linea di svolgimento delle istituzioni politiche contemporanee. Coloro i quali lamentano la partitocrazia, denunciano ad ogni istante la cosiddetta degenerazione partitocratica e fanno risalire ad essa tutti i mali di cui soffriamo, non paiono aver riflettuto sulle verità elementari che si sono appena accennate. E' ben vero che negli ultimi tempi la polemica contro la partitocrazia è diventata per qualcun~ una comoda etichetta al coperto della quale si può comodamente contrabbandare la più avariata merce conservatrice: ma non è [19] BibliotecaGino Bianco

contro simili posizioni di sfrontato opportunismo che si vuole qui polemizzare, sì, invece, contro coloro i quali ritengono, in buona fede, che il regime dei partiti sia incompatibile col regime di libertà. Piaccia o no, i partiti sono gli strumenti indispensabili della dialettica democratica e dunque sono istituti della vita democratica: ricorderò ancora una volta che negli anni terribili dell'occupazione nazista Léon Blum avvertì autorevolmente quei suoi amici, che pensavano di sopprimere i difetti della Terza Repubblica sopprimendo i partiti, che a questo modo essi avrebbero semplicem.ente distrutto la democrazia. E d'altro canto se oggi i partiti sono come sono, ciò non è dovuto, come qualcuno sembra sospettare, alla cattiveria e malignità degli uomini, ma soltanto al fatto che essi, come ogni altro aggregato sociale, obbediscono ad una certa logica di sviluppo e a certe leggi elementari. Ciò mi sembra ampiamente provato dal fatto che coloro i quali sogliono denunciare i mali della partitocrazia, non solo non osano negare (tanto una simile r1egazione suonerebbe assurda!) la necessità dei partiti o mettere in causa, come pur sarebbe logico, il suffragio universale, ma anche non assortiscono le loro polemiche di alcun rimedio pratico, fatta eccezione per l'invocazione del collegio uninominale: un mutamento che non intaccherebbe se non in minima parte il sistema. I partiti odierni, dunque, si frappongono fra il parlamento ed il paese e tendono a,d assumere essi l'intera rappresentatività di questo e a depote11ziare quello, rivendicando per sè il privilegio del controllo politico. D'altra parte la stessa dinamica che porta i partiti a sostituirsi nella sostanza agli eletti del popolo (o - il che è lo stesso - a creare gli eletti del popolo) li spinge anche a spazzar via il fragile schema che separa la politica dall'amministrazione e a mescolarsi a quest'ultima per ispirarla e possederla (il che, naturalmente, crea un movimento di rimbalzo dell'amministrazione verso la politica), ad installarsi nel possesso degli strumenti che la tecnica moderna delle comunicazioni di massa ha creato, a pervadere, insomma, ogni segmento della società politica. E insieme ogni partito tenderà a costituirsi come una monade autosufficiente, ad organizzarsi come uno stato, e nel suo seno avverrà ciò che accade nella società politica tutta intera, dalla distinzione tra classe dirigente e classe diretta alla creazione di bu1Gcrazie, dalla sclerosi dei processi di ricambio all'immobilistica difesa delle posizioni di privilegio: anche nei partiti, cioè, vi sarà un più o meno graduale trapasso dal fisiologico al pato- ·[20] Bibliotecaginobianco

logico che porta le società al limite delle rotture rivoluzionarie. Il rapporto di queste monadi tra loro e quello di ciascuna di esse con gli istituti tradizionali dello stato, l'involuzione che si verifica in ognuna, deteriorano i meccanismi istituzionali e rendono asfittica l'atmosfera politica; le difficoltà non si sommano ma si moltiplicano, e la fisionomia dello stato medesimo subisce una deformazione grottesca ed impressionante: i partiti da istituti della vita democratica si trasformano in elementi di accelerazione dei mali propri ,della democrazia. Innanzi a tutto ciò non vi è scelta: i partiti non si possono sopprimere poichè il rimedio sarebb~ peggiore del male; si deve, dunque, accettarli come istituti della vita democratica e regolarli come tali. Come è noto, tra gli studiosi di diritto costituzionale è in corso un vivace ed elevato dibattito sul delicato problema della configurazione dei partiti politici nella Costituzione: ma tale dibattito, importantissimo dal punto di vista del diritto positivo, è irrilevante dal punto di vista nostro. Quel che qui ci preme stabilire non è tanto ciò che dice la Carta Costituzionale, ma ciò che sembra desiderabile che essa dica o debba dire: è evidente che nel momento in cui si raggiungesse un accordo sulla necessità dell'istituzionalizzazione dei partiti politici, si potrebbe iniziare una procedura di revisione costituzionale per colmare le lacune eventuali della nostra Costituzione. La questione che 5Ì presenta in questa sede non è, dunque, tecnica, di accertamento della volontà dei costituenti e della lettera e dello spirito delle norme costituzionali (che sarebbe una questione sulla quale non abbiamo nessuna competenza per intervenire), ma è di natura strettamente politica. Una volta constatata l'evoluzione della società politica contemporanea e una volta constatato che ai pregi del regime attuale si accompagnano delle possibilità di degenerazioni, si tratta di vedere se non convenga tentare di evitare queste degenerazioni con una apposita legislazione, o se non sia preferibile che le cose continuino per il corso attuale con la speranza che l'org~nismo produca spontaneamente ,degli anticorpi che neutralizzino i germi di degenerazione. Posto il problema in questi termini parrebbe che non vi dovessero essere dubbi sulla risposta: e tuttavia i dubbi esistono e molti che hanno studiato il problema sono perplessi o addirittura negano l'opportunità di una istituzionalizzazione dei partiti. Lasciamo pure da parte l'argomento ,toricistico - di uno storicismo male inteso e male applicato - contro la (21] Bibliotecaginobianco

mentalità illuministica di coloro che vorrebbero risolvere i problemi con le leggi, poichè questo veramente non è degno di essere discusso: le leggi, dopo tutto, s0110gli strumenti con cui si operano le rivoluzioni incruente in regime democratico I Vi sono altri argomenti di assai maggior peso che è giusto ed opportuno rilevare. V'è innanzitutto la preoccupazione (ed essa è filtrata, mi sembra, in alcune pagine tormentate ed inquietanti che Rescigno ha ~critto su questi problemi) di chi paventa cl1e una regolamentazione di tale materia possa comprimere la libertà di quei gruppi che si situano tra l'individuo e lo stato; e v'è poi il timore di coloro che sospettano eh~ (adopero le parole di Morta ti, nel Mondo del 4 novembre 1958, ma lo stesso timore è in altri, in P. Barile, ad esempio: si veda il suo articolo nel Mondo del 28 ottobre 1958; e ,di esso si è fatto interprete Piccardi nella relazione all'VIII Convegno degli « Amici del Mondo») « nell'attuale situazione le misure di controllo operino surrettiziamente come strumento di per~ecuzione verso determinate formazioni, con la conseguenza che si risolvono in definitiva, o in fattori di maggiore turbamento della vita politica... oppure che agiscano, ancora peggio, nel senso ,di rafforzare in modo artificioso le correnti più retrive di conservazione». Che sono obiezioni di natura diversa, la prima di carattere generale e la seconda soltanto di congiuntura. Coloro che, come Rescigno, respingono una regolam.entazione dei partiti muovono da una visione sostanzialmente esatta della società e delle sue articolazioni, da una concezione il più possibile totale della vita della libertà e d.ei modi con cui essa si incarna, e vorrebbero lasciare il più possibile libera (ci si perdoni il gioco di parole) questa vita della libertà. Ora questa esigenza, validissima in sè, non sembra potersi applic2re ai partiti contemporanei: questi non sono più un gruppo intermedio tra l'in,dividuo e lo stato, ma sono, o almeno tendono ad essere, lo stato: se la dinamica dei partiti politici che si è accennata di sopra trova rispondenza nei fatti, se è vero che essi tendono ad assumersi l'intera rappresentatività del paese, a mescolarsi all' amministrazione, se è vero che le loro funzioni sono diventate decisive nella vita di tutta la società (non sono forse i partiti che definiscono la politica nazionale o che creano gli eletti del popolo?), non è più possibile assimilarli ai tradizionali gruppi intermedi e si deve anzi ritenere che la libertà sia meglio garantita da una loro regolamentazione piuttosto che da una a~se,nzadi regole. Bibl iotecag inobianco

L'obiezione per così dire congiunturale sembra assai più discutibile; il rischio di prevaricazioni v'è sempre in tutte le cose umane: ma anche ammesso che qui sia più grave ·che altrove, non per questo bisogna restare inoperosi, poichè si possono accortamente escogitare tutta una serie di meccanismi che, se non rendano ,definitivamente impossibili le temute prevaricazioni, le infrenino e le penalizzino ad un punto tale da far ritenere preferibile alle varie forze politiche il non esercitarle. Che se poi si ritenesse che in Italia vi sia110forze disposte a prevaricare, costi quello che costi, allora ogni prudenza sarebbe inutile: i dittatori non l1anno mai avuto bisogno di u.na legislazione sui partiti per sopprimere i loro avversari! D'altro canto non riesco ad intendere come si possa pensare di regolare talune materie senza regolarne altre. << Soprattutto - ha scritto, ad esempio, Mortati - occorrerebbe se non proprio adottare il sistema nord-americano delle primarie, imporre che le candidature vengano pro-- poste in apposite assemblee di partito, sulla base della relazione di apposite commissioni elette dagli iscritti, prescrivendo altresì che i candidati già investiti del mandato espongano un preciso rendiconto dell'attività svolta, e consentendo agli intervenuti sia di esprimere motivati apprezzamenti sulle qualità dei singoli candidati, sia di chiedere conto dell' esclusione di determinati nomi ... » : ma chi o cosa garantisce che sìmili assemblee non possano essere truccate? Evidentemente solo una precisa ed attenta legislazione, ,che consenta a qualsivoglia iscritto di adire la magistratui:a allorchè ritenga che un suo diritto di iscritto sia stato violato. E si può ottenere ciò senza una specificazione per legge ·dei « diritti » di un iscritto ad un partito politico? E, finalmente, perchè stabilire una simile procedura, con le connesse possibilità di impugnativa, solo per le assem• blee da cui devono emanare le candi,dature? Che forse le discussioni sulla linea politica di un partito e le assemblee attraverso le quali si preparano i congressi nazionali, non sanò altrettanto o, in qualche caso, ancor iù -importanti? E perchè, dunque, garantire la libertà di scelta ,del candida-- to e non quella di scelta della politica ·del partito, che nei partiti di massa odi~rni, nei quali esiste una certa disciplina di voto per gli eletti, è più rilevante dell'altra? Naturalmente qui la materia è più difficile e qui più che altrove le obiezioni all'intervento legislativo dello stato possono avere un peso maggiore: pure, l'ostacolo può essere aggirato e si può dare forse una soluzione ai problemi attraverso un intervento indiretto. Perchè [23] Bibliot~caginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==