Nord e Sud - anno VI - n. 52 - marzo 1959

e gli ufficiali piempntesi, e anche I il cane Bendicò, hanno una loro vita intima che viene rivelata nei particolari essenziali, e mentre fanno da sfondo al grande personaggio che è i! principe Fabrizio, acquistano una loro autonomia di personaggi veri; e poi vi è la Sicilia sentita e fatta sentire nel carattere degli uomini, delle tradizioni, della natura. Le pagine ad essa dedicate sono fra le più belle, a cominciare da quelle descrizioni di giardini dai profumi intensi e violenti che aprono il libro a quelle rappresentazioni di lande brulle più deserte e infeconde del mare: una Sicilia che diviene origine e spiegazioni di mali morali, e dà motivo a considerazioni di rar-a efficacia (che ben giustificano la caratteristica, vista in modo precipuo dal De Robertis n~l libro, di « poesia gnomica »): << da. noi si può dire che nevica fuoco come nelle città maledette della Bibbia; in ·ognuno di questi mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogn:t trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora le pioggie, sempre tempestose, che fanno impazzire 1 torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove due settimane prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici, ma incomprensibili perchè non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati, e sempre incompresi, che si ~ono espressi soltanto co.n opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove: tutte queste cose hanno formato il carattere nostro, che così rimane condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità d'animo ». Potrebbe sembrare (e da altri è stato detto con convinzione) che il motivo ispiratore del romanzo è stato per il Tornasi l'avvicendarsi delle classi al potere, il salire di un ceto e il decadere di un altro, ma sebbene questo sia pure la materja di cui si tesse il romanzo, e sebbene sia un argomento che più volte deve aver tentato il Tornasi (è ripreso infatti nel racconto I gattini ciechi pure non è questo il vero motivo che ha dato l'avvio al concepimento dell'opera. Questo motivo si deve invece cercarlo nell'ansia di una meditazione di ben altra natura universale (ed ecco come lo scrittore toglie le sue radici dalla sua isola per porsi in un ben più largo ambiente di scrittori), la meditazione, dicevo, dei rapporti fra la vita e la morte, una continua sospesa attenzione alle cose della vita, accompagnata ad un altrettanto continuo sogguardare alla morte: un « corteggiamento della morte» che traspare da ogni pagina del libro e culmina negli ultimi due magnifici capi toli con la narrazione della morte del principe, con l'epilogo così freddamente e pure tragicamente esemplificativo della fine del prestigio della sua casata. Vorrei dire che non è tanto uno studio del mutamento delle classi che importa al Tornasi, o la sua ricostruzione storica, ma è l'atteggiamento del principe Fabrizio (tal quale è come personaggio vivo, con [124J Bibliotecaginobianco

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