Nord e Sud - anno VI - n. 52 - marzo 1959

« scientista », e che abbastanza chiaramente, mi pare, può indicare il limite di tutta la pasizione di Salvemini come direttore dell'Unità.· In anni recenti, nel 1954, nella prefazione alla ristampa, nel I volume einaudiano delle Opere, dei suoi Scritti sulla questione meridionale (Torino 1956, pagine XIV), Salvemini ha scritto, rievocando i tempi della sua giovinezza e del suo primo scritto meridionalistico, che « il marxismo è una droga meravigliosa: prima sveglia gli animi dormienti, e poi li ri~becillisce nella ripetizione di formule che spiegano tutto e non dicono nulla >l. Nel Salvernini epigrammatico di questa e di altre consimili dichiarazioni non c'è nulla che già non fosse nel cornba'ttente d~gli anni dell'Unità: la verità e il limi te di. questo giudizio troppo evidenti perchè sia necessario commentarli, sono altresì il lix~;ite e la positività del suo atteggiamento palitico, dei tempi dell'Unità e di sempre. E qui due punti vanno rapidan1.ente toccati, prima di metter termine a questa not~. Due punti o meglio due questioni, due problemi, ai quali bisognerà dare rispasta; se e fino a che punto Salvemini abbia partecipato della mentalità antiparlamentare che caratterizza la polemica politica italiana alla fine del secolo scorso, e abbia contribuito con la sua palemica antigiolittiana, e contro la degenerazione dei partiti, ad un aggravarsi della crisi dell'ideologia liberale-parlamentare; e in secondo luogo, se ci siano punti di contatto o di divergenza tra il « concretismo » palitico e il suo metodo nella ricerca storica. Il primo dei due problemi è troppo complesso, troppo delicato e difficile, richiede troppe distinzioni e troppi chiarimenti preliminari, perchè sia il caso di affrontarlo in questa sede. Sul· secondo, certo non meno complesso, qualche considerazione può essere anticipata qui. Quando Sah-emini fu preso dalla passionepolitica, e quella passione presto passò in diretta azione pubblicistica e giornalistica, il gio,·ane studioso era impegnato nella stesura di quello che rimane non solo il suo capalavoro storiografico, ma altresì uno dei prodotti più significativi degli studi medievali in Italia, Magnati e popolani in Firenze.dal 1280 al 1295. In un articolo commemorativo del maestro, Ernesto Sestan ha ricordato che, se c'era un termine a propasito del quale lo spirito concreto e chiarificatore di Salvemini esercitava una critica quasi feroce, questo era il termine « popolo ». Per chi conosca anche solo qualche pagina del Sah-emini storico, l'osservazione parrà quasi oyvia; e basti ricordare la polemica con J aurès all'inizio del volume sul1a rivoluzione francese. E tuttavia, non si deve dimenticare che la tenace volontà di chiarire situazioni concrete, di non abbandonare l'analisi finchè persistessero zone d'ombra e di ambiguità, non era disgiunta, nel Saivernini storico, e sopra tutto nel Salvemini di Magnati e popolani, da una altrettanto prepotente volontà di cogliere tutt'interoil senso di uno S\'olgimento, la logica cli una situazione; e che proprio da questa volontà procede quel1a tendenza a non disperdere il processo storico in particolari quasi irrelativi, ma a coglierne con sicurezza il «significato» e quasi la legge di sviluppo che ha dato luogo al1a memorabile reazione di Nicola Ottokar. Quale sia il significato di questa palemica e a quali considerazioni si presti non è il caso di dire qui (anche se da parte mia dubito fortemente che si passa ripeter [120] Bibliotecaginobianco

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