fumi e ddle chiacchiere di facili filosofemi, fini va per proclamarla una « parola'-', dimenticando che egli stesso l'aveva prima dichiarata importante e necessaria: e come si può proclamare importante e necessaria una «parola?». Nè, certo, po· ten riuscir sufficiente la definizione che il Salvemini proponeva per la sua propria personale posizione, la definizione di « riformista>> degli anni 1899-1902; una definizione troppo semplice e immediatamente polemica perchè potesse risolvere in sè tutta una visione storico della società italiana. Nel dibattito sull'orientamento della Unità è dunque presente un'incertezza e anche un travaglio che sarebbe grave errore lasciarsi sfuggire; e non solo perchè questa incertezza e questo traYaglio permettono di cogliere i limiti di una politica, ma sopra tutto perchè, presenti e attiYi come sono nella coscienza di SalYemini, permettono di comprendere fino a che punto il direttore dell'Unità sentisse il problema di questi limiti e fino a che punto riuscisse ad attingere la chiarezza dì una soluzione. D'altra parte, chi consideri o cerchi di considerare nel suo insieme questa singolare polemica, è colpito da un'analogia, che a prima vista non si sospetterebbe, tra la posizione di Salvèmini e quella di Croce. Certo, nella sua lettera del 15 gennaio, l'atteggiamento di Croce era stato polemico, rivolto com"era .:d ammonire che non si desse peso e importanza alle parole del consueto vocabolario politico - democrazia, aristocrazia, etc. - dal momento che quel che conta, nella vita politica, non è la parola ma la sostanza, la concreta azione degli uomini di buona volontà, che hanno il governo e governano di fatto nell'interesse di tutti, anche di coloro che « fanno ic finte di opporsi» e che in realtà « consentono». Ma se si prescinde -sul contrasto a proposito della « disperata speranza» salveminiana in una « democrazia italiana», è evidente che il metodo suggerito da Croce non era senza profonde risonanze nell'animo di Sah-emini, anche lui nemico delle formule e delle parole, e teso, invece, alle concrete realizzazioni e ai concreti programmi. E se oggi è chiaro o dovrebbe esser chiaro che questi documenti del pensiero politico crociano sono tra i meno felici e più discutibili, la loro risonanza nelle pagine, pur così diversamente intonate del direttore dell'Unità, può dare assai bene la rpisura dei limiti del suo <e concretismo », della sua incapacità a fare del suo sentimento democratico non una generica fede, ma un metodo cffettirn di lotta politica, e, prima ancora, una valutazione critica e storica delle ragioni che aveYano portato l'Italia alla realtà dì Giolitti. Nella sua pretesa (onesta pretesa, senza dubbio). di indicare un fine concreto, che riuscisse di per sè evidente :1 tutte le persone oneste quale che fosse la loro fede (<e monarchico-liberale», ma a suo modo, Giustino Fortunato; riformista di sinistra, ma a suo modo, Ugo Guido Mondolfo; riformista, ma a suo modo, lo stesso Sah-emini), il direttore dell'Unità non riusciva solo ad una svalutazione delle. « parole» rispetto ai veri fini della ;1zione politica: finiva per rimanere prigioniero del pregiudizio tip~camente ideologico che quei fini fossero evidenti di per sè, e che gli strumenti tecnici adoperati dai collaboratori dell'Unità fossero più che ~uffìcienti a rivelarli e a illustrarli. Un pregiudizio che ho chiamato ideologico e che si potrebbe dire di natura quasi ; . [119] Bibliotecaginobianco
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