Nord e Sud - anno VI - n. 50 - gennaio 1959

pol~tici dovevano tener conto. Lo stesso Mendès-France, che è volentieri celebrato come il campione dell'autentica posizione democratica, non solo inviò Soustelle come governatore generale in Algeria, ma, innanzi alla rivolta, nel novembre 1954, non seppe far altro che affermare che occorreva riprendere e applicare, finalmente per davvero, lo statuto del 47, lo statuto, cioè, dell'integrazione~ E quando un anno e mezzo piu tardi, tra maggio e giugno del 1956, egli si dimise da vice-presidente del Consiglio del governo Mollet, non disse già cl1e bisognasse trattare coi ribelli e disporsi ad abbandonare l'Algeria, ma si limitò ad accusare il governo stesso di non << anticipare >> sul piano delle riforme sociali, di non aver bene accordato i tempi delle due operazioni, dell'intervento dell'esercito e delle riforme di struttura. Gli uomini della sinistra democratica e socialista tra il '55 e il '57 sono stati, appunto, tormentati e come paralizzati da questo dilemma: la situazione imponeva una soluzione drastica del problema (riconoscimento della << personalità algerina>> e concessione di larghissime autonomie oltrechè parità effettiva dei diritti politici), ma il paese non pareva disposto ad accettarla. L'unica via d'uscita pareva quella prospettata nei primi mesi del '57 dal governo Mollet: tentare di isolare i focolai di ribellione e pacificare alla meno peggio la regione, per procedere poi, ad elezioni veramente libere e tali che creassero degli interlocutori autorizzati e validi e forniti di prestigio presso le masse musulmane, coi quali -impegnare le ·necessarie trattative per un nuovo statuto. ., Certo, una simile politica· era jrta di pericoli: innanzi tt1tto essa rischiava di porre la questione algerina negli stessi termini in cui era stata tante volte posta quella della guerra in Indocina: prima vincere e poi trattare. No11 sarebbe .accaduto ancl1e questa volta ciò che era accaduto tante volte nel decennio precedente, che, cioè; quando la posizione era di~cile si i11vocaval'onore nazionale che non consentiva di ve11irea patti, e quando, invece, era favorevole si sperava che fosse inutile trattare? La risposta qui era molto semplice: tutto sarebbe dipeso dagli uomini che si fossero trovati al potere: era, perciò, necessario che il governo fosse nelle mani di coloro che eran favorevoli ad una soluzione liberale. E, del resto, su questo punto, sulla necessità che le elezioni fassero posposte alla pacificazione, Mollet e Mendès-France erano d'accordo. In verità" i pericoli maggiori erano altri: una simile politica imponeva t1na rapidità di movimenti eccezionale: solo la lJronta mobilitazione e il tempestivo impiego [34] Biblioteca Gino Bianco

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