dissidio d'ordine economico, negli ultimi anni no11c'è stato, e forse non poteva esserci, un reale contrasto politico di fondo tra le varie classi sociali fra11cèsi. La Francia era, ed è, come dice Sauvy, Ùn paese « pluriautarchico >>, cioè fatto di vari gruppi immobilistici, interessati tutt i all'immobilismo perchè esso è la condizione essenziale per la soprav vivenza di tutti nel regime e< apolitico >> che Leon Blum, ancora giovane, preannunciava e lamentava in una memorabile pagina del 1892. Un partito comunista consapevole dei propri compiti avrebbe tentato una politica antimmobilistica cominciando dalla <<disintossicazione» delle r.nasse ope raie e sviluppando a fondo la lotta alle situazio11i acquisite e prestabilite, ma senza confonderle col regime democratico, senza accettarle come fata li, ineliminabili e incorreggibiii in regime capitalista. Non avendo fatto c iò, più per paura della prova del fuoco che per consapevole decisior1e, il PCF è diventato anch'esso t1na forza immobilistica scl1ierata a difesa dell e situazioni acquisite. Non si dimenticl1i che il PCF ha appoggiato dappri ma Mèndes-France, ma lo ha avversato seriamente soltanto qundo s'è tr attato di ridurre i i privilegi dei distillatori di alcool. La tattica imposta dalla teoria della e< pauperizzazione assoluta >> dei salariati in regime capitalista aveva così portato la Franc ia a questa situazione paradossale: il PCF. si /4dattava e si piegava all'immobilismo generale, e l'anticomunismo credeva di dover temere in ogn i tentativo rinnovatore il pericolo di una ripresa del JJCF. Si credeva di sterilizzare ii PCF nella stagnazione generale e nell'isolamento internazion ale. Questo giudizio ha ispirato, in un certo senso, anche l'a zione di Mollet, che è certamente il francese che conosce, meglio di tu tti, i comunisti del suo paese. Ed è questo giudizio che alimentò in misura non trascurabile le diffidenze nei confronti di Mendès-France, schieran do contro <li lui anche gli antieuropeisti dell'estrema destra. Soltanto in esso c'era, co111e si doveva vedere poi, un errore di base. Effettivamente, si riusciva a sterilizzare il PCF e a creare nel suo seno ragioni di co11Rittisempre più Jcuti tra i ceti più umili che aspiravano alla « rivoluzione » e i ceti operai più agiati che si facevano incorporare nell'immobilismo. Ma l'equilibrio statico, del quale, alla lunga, il PCF doveva fare, si sperava, le spese, non poteva essere mantenuto se non a prezzo di sempre più larghe <<concessioni invisibili >> al comunismo, e a prezzo della democrazia. · [122] Biblioteca Gino Bianco
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