Nord e Sud - anno VI - n. 50 - gennaio 1959

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO VI * NUMERO 50 * GENNAIO 1959 . Biblioteca Gino Bianco

- iiiii Avete provato a scrivere sulla Lettera 22? Uno strumento energico e veloce scatta ad allineare le parole; e le imprime con la nitidezza che si richiede ad . . un pensiero preciso. Avete provato a sollevare la Lettera 22? Un dito la trasporta, ogni angolo del tavolo e della casa può diventare il suo, si sposta con facilità da una stanza all'altra, viaggia con voi. modello LL lire 42.000 + Lo.e. Net negozi Ollvettl ed In quelll di macchi ne per ufficio, elettrodomestici e cartolerie. Olivetti Lettera 22 Biblioteca Gino Bianco

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Ferdinando Isabella Vittorio de Caprariis Paolo Ungari Editoriale [3] L'Edilizia scolasticae il Piano decennale [7] Appunti sulla crisi francese [ 21] Malagodi anno IV [ 44] GIORNALE A PIÙ VOCI N. d. R. 1 pupazzi massi,nalisti [54] Mario Arpea L'Università europea [56] Ennio Ceccarini L'imbarazzato silenzio degli intellettuali ortodossi [62] Giuseppe Ciranna La, colpa dell'editore [ 66] MIGRAZIONI E INSEDIAMENTI NELL'lTALIA MERIDIONALE Giuseppe Galasso III - Geografia delle migrazioni nell'Italia Meridioriale (1951-57)[75] DOCUMENTIE INCHIESTE . Michele Tito L'elettorato comunista francese e il referedum [107] Alberto Sensini Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenth Italia annuale L. 3.300 8emestrale L. l. 700 Estero annuale L. 4.000 semeMtrale L. 2.200 Effettuare i versamenti 8ul C.C.P. o. 3134552 inte~tato a Arnoldo Mondadori Editore • Mi.!allo Biblioteca Gino Bianco LETTERE AL DIRETTORE [126] RECENSIONI La table ronde [ 127] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista « Nord e Sud » Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

• EditoriaJe I« franchi tiratori>>sono, pur nel loro anonimato, i personaggi più noti della scena politica italiana attuale: essi se1nbrano avere oggi un ruolo di protagonisti che forse alcuni di loro non avevano mai sognato neppure nei momenti di maggiore ottimismo. A volta a volta eroi di una libertà che si andrebbe spegnendo nella cupa e livellatrice tirannide della partitocrazia, o addirittura .i.ncarnazioni del <<Maligno>>uo,niini di coraggio o pu,-i «irresponsabili», i « franchi tiratori>>sono in realtà un frutto scadente di un costume politico che tende a deteriorarsi sempre di più. Quello ch·e si è letto su molti giornali è purtroppo vero; con questa correzione, perà, che il dato oggi più preoccupante non sembra a noi neppure l'estremo pericolo del discredito che potrebbe domani investire le istituzioni parlamentari, quanto il fatto che sono premiati uomini i quali, a quel che sembra, non hanno il coraggio morale e civile delle loro opinioni: essi infatti riesco110 12elloro intento che è quello di demolire il Governo, di linciare politicamente un Presidente del Consiglio. Saremmo tentati oggi di dar ragione a coloro che si mostra110più pessimisti sulla DC, a coloro che denu·nciana esserv_in Italia « qualcosa di nuovo»; e questo proprio quando consideriamo il caso dei << frane/ii tiratori>>che si sono esercitati contro la legge sui mercati. In tal modo non si consolidano le istituzio11i,ma si degrada il costume civile del paese. Tanto sembrano vere siffatte considerazioni che un ostinato nemico della << partitocrazia>>u,n oppositoreintegrale dell'attuale formula di governo come Luigi Sturzo si è spinto fino a sostenere l'abolizione del voto ·segreto. A noi non sembra che una simile soluzio12esi possa accettare: si può dare domani il caso che la segretezza del voto sia garanzia addirit~ [3] Biblioteca Gino Bianco

tura dell'incolumità fisica di eletti del popolo e non devono esseredei democratici a cancellare qt,ello che potrebbe diventare l'estremo rifugio della libertà politica. .. La verità è che il problema politico autentico notl è qttello dei << franchi tiratori», 111,la'altro, della destra democristiana e della destra che sta intorno alla DC: se si risolve questo secondo, si risolverà anche il primo, senza bisogno di ricorrere a misure drastiche. Proprio perciò ci sono sembrate quanto mai viziate di grossolana ipocrisia le acerbe rampogne morali degli Andreotti e dei Pella contro i « franchi tiratori>>.Dopo tutto non sono più coraggiosi i << fra1zchitiratori>>i, quali almeno votano contro il Governo, di coloro i quali la pensano al loro stesso modo, lo dicono, lo scrivono, e: tuttavia continuano ad essere ministri? Si può fare all'interno di un partito l'opposizione ad una certa politica; si può anche rivendicare la libertà di voto e votare come si vuole iti Parlamento: non si può, però, essereavversari di una certa formula politica, e stare nel governo clie impersona o dovrebbe impersonare una tale f ormu?a. In un tal caso veramente si degrada se stessi ad un livello ancora più bassodi quello a ctt:isi sono posti questi f aniigerati « franchi tiratori>>(ed è proprio a questo punto anzi clie ci piace esprimere i nostri sentimenti di calorosasolidarietà, morale e politica, con l'on. Preti·). Il problema di fondo, il problema politico è, come dicevanio, quello della destra democristiana: qitest'ultima accettò a malincuore la formula del governo di centro sinistra proposta dall'attuale Presidente del Consiglio e poi si è data da fare per contenere e imbrigliare ogni eventuale « slittamento», forse sperando di demolire l'uomo e la formula prima ancora che le scadenze e le scelte si presentassero.Ma essa era ed è tuttora la più ferma ed aspra avversariadi una politica di centro-sina·stra:appena, infatti, questa politica ha incominciato ·a prendere forma e soprattutto appena essa ha agito come sollecitante di movimenti in altri settori dello schieramento politico, la destra democristiana ha immediatamente irrigidito le sue posizioni, e l'offensiva ha avuto inizio. Gli antichi inventori del neoatlantismo si sono riscoperti atlanti'cipurissimi·; ministri in carica hanno pubblicato programmi di opposizione; e tutti sono volati in soccorso del cattolicesimo minacciato. Naturalmente nessuno osa negare che il principale problema politico italiano è quello di un allargamento delle forze democratiche e del riassorbimento di movimenti che fino a ieri erano in Italia su posizioni [4] Biblioteca~ino Bianco

I antidemocratiche, mentre itl tutta Europa sono sempre stati sugli spalti più esposti della democrazia: ma quando dalle dichiarazioni platoniche si passa alla politica concreta, appare chiaro che taluni notabili democristiani guardano a destra, che altri si nascondono dietro l'integralismo del Quotidiano, che altri ancora fissano il vuoto. Il problema non sembra più, ditnque, di scelta della Democrazia Cristiana tutta intera, se è vero che l'attuale gruppo dirigente sembra avere già scelto; nia di atteggiamento di questa singolare concentrazione di destra della DC medesima. E' questa che deve risolversi, e risolversiprima ancora in sede di partito che in sede di governo e di maggioranza. L'on. Pella , non può conciliare i suoi caramellosi appelli· unitari, ad esempio, con la politica che egli ha sempre voluta, e più che mai vuole, e con le forze alle quali una tale politica dovrebbe fare appello; e qui, non è questi-one delle forze che minacciano la Chiesa Cattolica, sì, invece, della politica italiana. Quanto alle ventate di massimalz'smointegralistico che paiono travolgere la mente di taluni pericolanti dirigenti della Azione Cattolica, esse non hanno senso comune. Può anche darsi che a rigore di logica l'ideologia cattolica sia incompatibile non solo col socialismo democratico, ma anche col liberalismo, conservatore o progressista che sia:,e con qualsiasi concezione moderna dello Stato. Ma è questo che vogliono affermare i Pella, gli Andreotti e i loro amici? Vogliono, ci·oè,tirare tutte le conseguenze da queste proclamazioni di incompatibilità e preparare la guerra di religione in Italia? O vogliono piuttosto insediarenei ba1ichidel Governo un gretto conservatorismo, che non risolverebbe nessuno dei problemi del paese, e coprirlo coi panni ingannatori di una difesa della religione? Noi crediamo clie essi propendotio per questa seconda parte del dilemma, non per la prima; e infatti oramai lo dicono abbastanzaapertamente e sul tema dell'apertura a destra sembratio avere impegnato battaglia in seno al loro partito. Bene: ma ora se ne assumano le responsabilitàe gtz·altri notabili giudichino fino a che punto giova associarsia una battaglia come questa. Sia chiaro comunque che se oggi vi sono avversari politicicui si devono tagliare le ungliie, e che devono essereisolati per non nuocere, questi avversari - per gli uomini della .)·inistr_daemocratica,laica e cattolica,tanto .rpessogli uni contro gli altri armati, divisi all'interno dei loro stessi,par--\ titi da contrasti tanto profondi quanto inopportuni - sono appunto quegli [5] Bibliot ca Gino Bianco

esponenti della destra democristiana, clericalie f ascistoidi,che hanno ingaggiato la battaglia per l'apertura a destra. Su questo terretio sono stati già battuti a loro tempo i Gedda e i Lauro. E certo - anche; se non soprattutto, per i più seri ambienti cattolici - sarebbe un gran bel gior110quello in cui Andreotti, Pella e compagni fossero messi in condizioni di 110nnuocere, e di non degradare ulteriormente la religione a grossolanostrumento per le loro manovre di corridoio e per la zelante difesa di quegli interessi costituiti cui essi si sono incautamente legati. Forse, in quel giort10 in cui si potessefinalmente prescindere dalla destra democristiana, finirebbe il << doppio gioco » del revisionismo atlantico per andare al governo al posto di Martino e dell'oltranzisnio atlantico per tornarci al posto di Fatifan.i; e forse finirebbe anche l'altro << doppio gioco>>d, i stare nel gover110di centro-sinistraper favorire l'opposizione e per preparare /~avvento di un governo di centro-destra. In quel giorno comunque i « franchi tiratori>>non esisterebberopiù; e forse anché, chissà? in quel giorno ci sarebbe risparmiato lo spettacolo dei Panfilo Gentile che accorrono tra/elati a dife11dereil cattolicesimo, minacciato... dal socialismo di Nenni e di Lombardi e dal classismo dell'on. Penazzato! [6] BibliotecaGino Bianco

' , . L'edilizia scolastica e il Piano decennale di Ferdinando Isabella Non siamo tra coloro cl1e condividono il distaccato scetticismo con il quale, in alcuni qualificati ambienti della vita politica e della cultura italiana, è stato accolto il .Piano per lo sviluppo della scuola nel decennio dal 1959 al 1969) il cui schema di legge governativo è ora all'esame della competente Commissione senatoriale. Nè concordiamo in tutto con le critiche severe che al Piano sono state mosse da più parti. Tuttavia, non possiamo neanche aderire all'eccessivo ottimismo con il quale in altri ambienti, parimenti qualificati, il piano viene considerato; e, tanto meno, possiamo aderire all'incondizionato credito che si vuole accordare alle sue effettive possibilità di realizzazione. Ci sembra, invece, di poter far nostro l'acuto ed obiettivo giudizio espresso da chi (1 ) ha dato del Piano una felice definizione: un'impegnativa assunzione di responsabilità del Governo di ~ronte ai problemi della scuola. Per quanto riguarda l'edilizia scolastica, i provvedimenti previsti dal Piano possono vantare il merito di denunciare, con la chiara immediatezza delle cifre, le gravi condizioni di questo importante settore della scuola italiana. E deve dirsi che la previsione di costruire in dieci anni 75 mila aule per le scuole elementari, 38 mila per le secondarie d'obbligo, 15 mila (1) Si veda la Relazione introduttiva al IV Convegno del « Mulino » (Bologna 29-30 nov. 1958): relazione pregevole, oltre che per le acute considera~ioni svolte, per la ricca documentazione e le ampie, approfondite indagini sulle varie questioni poste dal Piano. [7] Bi lioteca Gino Bianco

per i licei, gli istituti magistrali e tecnici, è certamente al disotto delle effettive necessità, specie per le scuole elementari (per le quali prevedere 100 mila aule, invece di 75 mila, non sarebbe stato eccessivo, calcolando le future esigenze sugli alunni obbligati e non sugli iscritti, e tenendo conto dei bisogni che matureranno man mano, con la istituzione di nuove classi e con la graduale eliminazione delle aule adattate). È, comunque, la prima volta che il problema viene affrontato in tutta la sua ampiezza: dalle scuole materne alle Università, dalle piccole scuole rurali ai convitti nazionali ed agli educandati femminili. Un Piano per le scuole rappresenta sempre un avvenimento di grande importanza nella vita di un IJaese; nel nostro, in particolare, esso deve costituire uno strumento di rottura di situazioni gravi e pesanti specie nelle zone depresse, una forza acceleratrice indispensabile nella politica di promuovimento e di_sviluppo che s'intende adottare. Nella proposta di legge governativa queste possibilità esistono soltanto allo stato potenziale; occorre, perciò, che in sede parlamentare ai provvedimenti proposti vengano apportati alcuni emendamenti che li rendano efficacemente operanti. Di essi intendiamo qui occuparci, limitatamente alla parte del Piano che riguarda l'edilizia scolastica. La proposta di legge parte dalla premessa di mantenere il sistema in vigore, che è quello regolato dalla legge 9 agosto 1954, n. 645; e ciò al fine di evitare fratture e soluzioni di continuità con la situazione attuale. Criterio, questo, accettabile, perchè è sempre pericoloso disfare il già fatto, specie quando esso ha già dato qualche risultato positivo; ed è quasi sem- . pre consigliabile innestarsi su di un vecchio ceppo ancora vitale, anzicchè affidarsi ad una nuova pianta ed attendere che essa cresca e dia i frutti. Non si può essere, però, di accordo con il criterio seguito là dove non si è creduto di dover correggere il sistema esistente, 11eipunti dove esso si era dimostrato difettoso ed inefficiente. In sostanza, la proposta non sembra sufficientemente radicale nella sua impostazione, e le modifiche che s'intendono apportare alla legge in vigore tengono conto solo in minima parte della esperienza di questi anni; non appaiono, pertanto, idonee ad ovviare i gravi inconvenienti che si sono rilevati durante l'attuazione della legge e che l'hanno resa non del tutto operante. Si tratta ora di vedere se i provvedi~enti relativi al finanziamento, [8] Biblioteca Gino Bianco ..

alla programmazione ed alla esecuzione delle opere sono tali nel nuovo schema governativo, da garantire il funzionamento del Piano; se, cioè, sono stati rimossi tutti gli ostacoli che hanno rallentato l'azione che la legge del 9 agosto 1954 si proponeva di svolgere per dare alla scuola italiana la sua casa. Per quanto riguarda il finanziamento, anche la nuova legge prevede il sistema di frazionare nel tempo l~onere a carico del bilancio dello Stato, il che consente di realizzare lavori di notevole impqrto, mediante la concessione di contributi statali e facendo intervenire il risparmio, disposto ad erogare, sotto forma di mutui, le somme occorrenti al pagamento immediato delle opere. Il sistema funziona sempre quando i contributi sono stanziati in rapporto alle reali possibilità d'intervento del risparmio chiamato a fornire i capitali. Purtroppo, generalmente non è così, perchè agli importi dei contributi statali corrispondono importi di capitali che superano di gran lunga le. effettive disponibilità degli Istituti finanziatori, in ispecie quelle della Cassa Depositi e Prestiti, alla quale gli Enti ammessi a contributo ricorrono ..per le maggiori facilitazio:11iche essa offre rispetto alle altre Aziende di Credito. Certo è che il sistema così detto delle spese in annualità presenta, per l'uso eccessivo che se ne è fatto, una certa pesantezza proprio nel settore del reperimento dei capitali (2); esso è, inoltre, criticabile pure in quanto comporta rilevanti impegni negli anni futuri (i contributi sono, in gen~- rale, trentacinquennali e, per il piano dell'edilizia scolastica, impegnerebbero il bilancio del Ministero dei LL. PP. fino al 2004), al punto che nei prossimi esercizi finanziari, estendendosi il sistema, gli stanziamenti sarebbero in gran parte assorbiti dagli impegni assunti per opere già eseguite e scarse possibilità resterebbero per il finanziamento di nuovi lavori; infine si fa osservare che le operazioni di mutuo sono costose e che sarebbe, pertanto, da preferire il pagamento immediato. Considerazioni, queste ultime, che non ci sembra possano avere eccessivo peso nell'attuazione di una politica di sviluppo, nel cui quadro si inseriscono ovviamente i provvedimenti per la scuola. (2) Si veda quanto è scritto a tal riguardo in: G. Romita - « Politica dei Lavori Pubblici » - Roma 1955. [9] Biblioteca Gino Bianco

E qui riteniamo sia appena il caso di ricordare che non v'è spesa più produttiva di quella destinata alla scuola, non v'è somma che ritorni nel giro della ricchezza generale con più alto interesse di quella impiegata per il miglioramento della pubblica istruzione. Ciò vale in modo particolare per il Mezzogiorr10, dove la politica di sviluppo si identifica con quella di prorriozione della mano d'opera ora disoccupata o sottoccupata, e .dove esiste, pertanto, un elevato potenziale di lavoro umano che va ad<lcstrato, partendo proprio dalle scuole elementari. Ad un piano ristretto, limitato cioè alle scarse possibilità di bilancio per fronteggiare impegni di spesa a pagamento immediato, è, dunque, da pieferire il sistema dei mutui, per quanto oneroso ed impegnativo nel futuro. Benvero, sarebbe preferibile su tutti i sistemi ricorrere a quello <li un prestito nazionale o chiamare al finanziamento del piano alcune categorie di cittadini_, mediante la corresponsione di contributi del tipo di quelli che sono ora pagati per l'INA-Casa. Se si vuole, invece, lasciare il sistema adottato nello schema di legge governativo, che è appunto quello· dei mutui, occorre esaminare se esistono o meno le effettive possibilità di reperire i capitaìi corrispondenti ai contributi stanziati. Il programma previsto dal Piano stabilisce un impegno annuo di 3 miliardi e 250 milioni per contributi a carico dello Stato, di cui: un miliardo e mezzo destinato alle scuole elementari; un miliardo e 250 milioni agli edifici per le scuole di con1pletamento dell'obbligo, oltre il quinquennio, comprese le scuole d'arte e gli istituti professionali; 500 milioni per le scuole secondarie di altro tipo. Sono, questi, contributi in annualità trentacinquennali. Lo Stato interviene, poi, nel finanziamento -di altri edifici scolastici, mediante la corresponsione di contributi una tantum. E propriamente: per le scuole materne sono stanziati 3 miliardi all'anno per un decennio; un altro miliardo annuo, per nove anni, è assegnato alle scuole elementari rurali; cinque miliardi saranno stanziati nell'esercizio 1959-60 e nei nove successivi per egli edifici universitari, nonchè due miliardi all'anno per dieci anni sono destinati come contributi straordinari alle Università ed agii Istituti universitari siti nelle aree depresse. All'importo ed alla misura dei contributi trentacinquennali corrisponde un capitale di circa 65 miliardi all'anno, ossia di 650 miliardi per tutta la durata del piano. A circa altri otto miliardi all'anno - complessivamente a 80 miliardi nel decennio - si può computare l'onere a carico degli . [IO] Biblioteca Gino Bianco

Enti locali per opere relative alle scuole materne, le scuole rurali e le Università; onere al quale essi potranno far fronte, in generale, solo stipulando mutui, con ammortamento, per capitali ed interessi, a totale loro carico, limitandosi in questi casi, come si è detto, l'intervento dello Stato al pagamento una tantum di un contributo sulla spesa, contributo variabile che si può valutare a circa la metà della spesa stessa. Sulle effettive possibilità di reperire ogni anno 73 miliardi, e per dieci anni consecutivi, è lécito esprimere seri dubbi; e sono appunto queste scarse possibilità che renderanno problematica, a nostro avviso, la realizzazione del piano. Vero è che nello schema di legge è stabilito che la Cassa Depositi e Prestiti deve provvedere alla concessione dei mutui con criteri di assoluta priorità: ma ciò vuol dire tutto e nulla. Nel bilancio del Ministero dei LL. PP. sono stati riportati anno per anno, tra i residui, i contributi stanziati nella legge in vigore e non utilizzati per mancanza di finanziamenti; dalla stessa relazione che accompagna la proposta governativa risulta che nel triennio 1955-6-7, di circa 98 miliardi di spesa ammessa a contributo, soltanto 22 sono stati utilizzati e 24 sono in via di utilizzazione. A questa situazione fa riscontro quella della Cassa Depositi e Prestiti, che negli scorsi anni ha potuto erogare per l'edilizia scolastica solo una piccola parte dell'importo complessivo dei mutui concessi (meno del dieçi per cento, in media); nè si vede come questa situazione possa cambiare nel futuro se, mentre da un lato non sono prevedibili aumenti di disponibilità di fondi da parte di questo Istituto, esso dovrà continuare ad evadere le richieste di mutui per disavanzi di bilanci comunali e provinciali, per l'edilizia popolare ed economica e per diverse altre opere pubbliche. Quindi se la Cassa Depositi e Prestiti, da sola, non ha potuto far fronte nel passato a tutte le esigenze di finanziamento della legge in vigore, che sono di soli 30 miliardi all'anno, non si vede come essa possa soddisfare nel futuro le richieste della nuova legge, che sono, come si è detto, di ben 73 miliardi all'anno. Il finanziamento del Piano, con il sistema previsto nello schema governativo, finirebbe per essere, dunque, aleatorio ed inconsistente, se in · sede parlamentare non vi si apportasse una modifica, nel senso di prevedere la costituzione di un Consorzio di ~nti finanziatori (alla Cassa Depositi e Prestiti potrèbbero affiancarsi le Casse di Risparmio e altre Aziende di Credito, nonchè Istituti Assicurativi ed Assistenziali), il cui apporto , [11] Biblioteca Gino Bianco

di capitali potrebbe essere, infine, integrato dal gettito di un prestito obbligazionario (3 }. Certamente gli oneri derivanti ai Comuni ed alle Province dai mutui contratti con il costituendo Consorzio sarebbero più gravi di quelli della Cassa Depositi e Prestiti, specie se il Consorzio fosse costretto a ricorrere alle obbligazioni. Questo maggior onere cadrebbe a carico degli Enti. In questo caso, per venire incontro ai più pressanti bisogni delle scuole nelle aree depresse, si potrebbe aumentare la misura dell'intervento della Cassa per il Mezzogiorno, ed in alcuni casi (come del resto la legge già prevede per gli edifici Universitari) stabilire un contributo straordinario da parte dello Stato. Se si vuol, dunque, lasciar fermo il criterio del pagamento in annualità, la costit11zione di un Consorzio di Istituti di Credito che assicuri lo effettivo finanzial!lento del piano, ci sembra, a parere anche di esperti in materia, una proposta da prendere in considerazione. Che se poi se ne trovasse un'altra più idonea, 'tanto meglio. L'importante è di non lasciare nella legge questa grave lacuna, che compromette seriamente la realizzazione del piano. Gravi insufficienze si sono rilevate nell'applicazione della legge vigente, nel settore della programmazione e della conseguente ripartizione dei fondi, non sempre corrispondente ai reali bisogni della scuola. Si tratta di insufficienze dovute in massima parte al fatto che la realizzazione del piano si era lasciata all'i11iziativa degli Enti obbligati all'edilizia scolastica. Può dirsi che la disposizione che stabiliva che i c~ntributi dovevano essere -ripartiti «regionalmente, in proporzione delle aule scolastiche mancanti )), e l'altra, con la quale era fissata la precedenza, nel programma delle opere (3) Vi sono altri esempi di Consorzi: quello di credito per opere pubbliche, del quale fanno parte la Cassa Depositi e Prestiti, l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, l'Istituto di Credito delle Casse di Risparmio italiane ed alcune Casse di Risparmio. I mutui concessi dal Consorzio sono effettuati con l'impiego del capitale sociale oppure mediante l'emissione di obbli-- . . gaz1on1. V'è, poi, l'Istituto di Credito per le Imprese di pubblica utilità, la cui attività è interessante, particolarmente per le operazioni di credito che esso compie a favore dell'industria elettrica (G. Romita - op. cit.). . [12] Biblioteca Gino Bianco

da eseguire, alle scuole materne e d'obbligo del Mezzogiorno, non hanno avuto pratica applicazione. Nè poteva essere diversamente, trattandosi di disposizioni non tassative, che si prestavano ad interpretazioni elastiche e di comodo. Purtroppo, nello schema governativo si è seguito lo stesso criterio: nessuna tassativa disposizione basata su di un rigido criterio di gradualità in rapporto ai bisogni; si è rimasti ancora nel vago e ?el generico, proprio là dove occorreva essere precisi e circostanziati. Neanche qui si è avuto il coraggio di affrontare il problema alle radici, limitandosi a fare appena qualche timido passo avanti. Così, invece di un programma annuale, ne avremo uno biennale; con la novità che i programmi saranno stabiliti in conformità delle direttive fissate dal Comitato dei Ministri (che costituisce un"innovazione interessante). Resta la precedenza alle scuole costruite nelle aree depresse; e la ripartizione dei contributi sarà ancora regionale e sarà fatta in proporzione non soltanto « delle aule mancanti, ma anche delle aule da destinare a scuole di nuova istituzione, in modo da assicurare, oltre che l'eliminazione delle carenze, la integrale attuazione, anno per anno, del programma decennale di -svilt1ppodella scuola >>.Ma qui ci sia consentito di ricordare quanto abbiamo scritto in proposito su questa rivista (4 ), affermando tra l'altro che un piano della scuola deve tener conto non soltanto della situazione in atto, ma anche della dinamica di alcuni fenomeni: « vi sono aule che mancano oggi e ve 11esaranno altre che mancheranno in un futuro più o meno prossimo, quando certe situazioni matureranno>>. Queste situazioni erano individuate: nella eliminazione delle aule adattate; nei riflessi che sulla popolazione scolastica ha l'andamento demografico del nostro Paese; nelreliminazione dell"analfabetismo e dell'evasione dall'obbligo scolastico; nell"istituzione di nuove classi e riduzione delle classi plurìme. Fenomeni, questi, che si manifestano con un diverso comportamento nelle .varie regioni d'Italia e che nel Mezzogiorno aggraveranno le già gravi condizioni dell'edilizia scolastica. Ed anche alla stregua di queste situazioni abbiamo insistito sull'esigenza di graduare tutti i Comuni italiani secon4o il loro stato di necessità scolastica, e di creare un organo centrale che assicurasse la realizzazione del piano secondo criteri di giustizia distributiva. Con la nuova proposta di legge si è accettato il principio, ma non si è ( 4 ) Si veda Nord e Sud - N.ri 19, 22, 27, ed in particolare 29. [13] Biblioteca Gino Bianco

creato lo strumento esecutivo idoneo per porlo in pratica. Nè crediamo si possa pensare che questo strumento sia il Comitato dei Ministri previsto dall'art. 6 dello schema. Il Comitato, presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio, è composto dai Ministri del Bilancio, del Tesoro, della P.I., dei LL. PP., del Lavoro e della Previdenza Sociale, nonchè del Ministro incaricato di presiedere il Comitato dei Ministri per il 1vfezzogiorno. Come si vede, si tratta di un vero e proprio Consiglio di Ministri, in iscala appena ridotta, al quale sono assegnati vasti compiti (determinare nelle linee generali i programmi delle opere da eseguire; determinare le sedi la cui condizione si debba riconoscere similare a quella del M_ezzogiorno e delle Isole ai fini dell'assegnazione dei contributi; esaminare lo stato dei lavori precedentemente deliberati, esercitando azione di propulsione per la loro tempesti va esecuzione; controllare il celere es1,ìetame11to delle pratiche attinenti la concessione dei mutui da parte della Cassa Depositi e Prestiti, nonchè la tempestiva utilizzazione delle opere per l'attuazione del piano). Affinchè queste ottime disposizioni diventino operanti, occorre, però, che gli Enti interessati abbiano presentato le necessarie domande, per cui se mancano quelle dei Comuni più bisognosi, questi non possono essere inclusi nei programmi. E proprio qui sta il punto debole della legge. Perchè, come è stato rilevato anche da altri (5 ), il momento decisivo per la applicazione del piano sta per l'appunto nel controllo delle situazioni locali nelle quali intervenire. Lo schema governativo stabilisce, invece, una ripartizione fatta solo dopo la presentazione delle domande, il che non soltanto può far trascurare le situazio11i più gravi, quando esse non sono state tempestivamente prospettate dagli amministratori interessati, ma può indurre in errore nella distribuzione dei contributi, in quanto manca l'organo che ·abbia un panoran1a compieta ed aggiornato della situazione scolastica dell'intero territorio nazionale e sia in possesso degli i11dìspensabili dati sociologici su cui costruire la graduatoria dei bi.sogni. Lo stesso controllo sostitutivo dello Stato, previsto anche dallo schema governativo, si è dimostrato per il passato privo di pratica efficacia. Raramente si è intervenuti nel caso in cui gli Enti obbligati abbiano ritardato o si siano rifiutati di prendere i necessar1 provvedimenti stabiliti dalla legge, perchè si tratta di interventi ai quali le An1ministrazioni locali, per ragioni ( 5 ) Relazione introduttiva al IV Convegno del «Mulino» citata - pag. 8. [14] Biblioteca Gino Bianco

di prestigio, resistono con ogni mezzo, ed a cui gli stessi organi di controllo ricorrono soltanto eccezionalmente, per le ripercussioni di varia natura che essi determinano e che si cerca quasi sempre di evitare. Il sistema resta, pertanto, ancora macchinoso e le11to, in contrasto con le finalità del piano e con l'urgenza richiesta dalla soluzione del grave problema. Perchè anche quando gli Enti pre~do110 spontaneamente l'iniziativa, l'iter delle varie procedure permane lungo e complesso, nonostante vi siano disposizioni che tendono ad abbreviarlo ed a semplificarlo, come quelle relative alle modalità per l'approvazione dei progetti. Quando, poi, gli Enti obbligati non prendono le iniziative, riter diventa ancora più pesante, per l'intervento sostitutivo deilo Stato e l'eventuale nomina del Commissario. Per ovviare a tutti questi inconvenienti, ed avvalendoci dell'esperienza ormai decennale dell'INA-Casa (6), avevamo proposto la costituzione di un Comitato di attuazione, con il compito di provvedere all'impiego dei fondi assegnati, d1 predisporre il piano delle costruzioni, di vigilarne la esecuzione. In fondo erano le stesse attribuzioni che il nuovo schema di legge assegna al Comitato dei Ministri; soltanto si trattava di un organo più snello e più tecnico; inoltre esso sostituiva, a tutti gli effetti, gli Enti obbligati. Ciò avrebbe consentito un funzionamento rapido, automatico, • tassativo. La proposta di legge potrebbe, pertanto, essere emendata nel senso di affiJncare al Comitato dei Ministri un Organo esecutivo, che potrebbe anche essere il Servi.zio centrale per l'edilizia scolastica presso il Ministero della P.I. Esso dovrebbe predisporre l'elenco graduato dei Comuni secondo il loro stato di necessità scolastica, fare i programmi biennali sulla base di questi elencl1i, vigilare perchè il piano abbia il suo regolare e rapido svolgimento in tutte le sue fasi. L'operato di questo organo dovrebbe formare, poi, oggetto delle decisioni del Con1itato dei Ministri, le cui deliberazioni sarebbero sostitutive di quelle degli Enti obbligati. Soltanto in tal modo, a nostro avviso, al Piano sarebbe assicurata la (6) Nel primo settennio il programma dell'INA-Casa è stato realizzato per il 99,61 per cento. Al 30 settembre 1958, ad un terzo circa del 2° settennio, l'avanzamento della realizzazione del piano segnava le seguenti percentuali: progetti pronti 58 per cento; appalti autorizzati 53 per cento; lavori iniziati 41 per cento. Ciò è stato possibile anche perchè si è creato « un organismo libero da qualsiasi intralcio burocratico e di per sè stesso. semplice ed agile ne_lle strutture organizzative». [15] Biblioteca Gino Bianco

perfetta ed immediata corrispondenza tra la programmazione e l'attuazione, requisito, questo, essenziale in ogni pianificazione. L'aver lasciato tra gli organi pianificatori (Comitato dei Ministri e Ministeri della P. I. e dei LL. PP., che preparano i programmi) e quelli che dovranno prendere le iniziative· per la realizzazione delle opere (dal reperimento delle aree al collaudo), il diaframma degli Enti locali, con il pesante fardello delle deliberazioni da sottoporre ai vari organi di tutela e controllo, ci sembra abbia svuotato il piano della necessaria automaticità e scorrevolezza. Nè crediamo possa avere consistenza il rilievo che non sarebbe opportuno esautorare gli Enti locali, togliendo loro l'iniziativa, essendo quello dell'edilizia scolastica un servizio che questi Enti sarebbero ben felici di veder disimpegnato, in loro vece, da un organo centrale, nell'interesse delle popolazioni da essi amministrate. Del resto, per citare un esempio recente, le disposiizone della legge 12 febbraio 1958 n. 126 sulla classificazione · delle strade, per effetto delle quali la maggior parte delle strade comunali passerà alle Pro-vince, ed alcune strade provinciali passeranno allo Stato, non pare abbiano incontrato resistenza da parte degli Enti interessati, i quali vedono in tal modo agevolato l'intervento dello Stato che, invece di operare su 8100 Comuni, opera al livello delle An1n1inistrazioni provinciali, che hanno Uffici tecnici e personale specializzati. Lo stesso potrebbe accadere s~si attribuissero ad un organo centrale le iniziative che ora hanno , gli Enti locali in materia di edilizia scolastica. È vero che questi Enti preferirebbero essere sollevati anche dagli oneri finanziari cl1e, secondo lo schema di legge governativo, restano, sebbene in piccola parte, ancora a loro carico. Sarebbe certamente meglio che così fosse, e ne abbiamo spiegato le ragioni. Questa cir~ostanza non dovrebbe però impedire la costituzione -dell,organo centrale sostitutivo delle iniziati ve locali. ,I Le norme che nella nuova proposta di legge si riferiscono al reperì~ mento, al vincolo ed all,acquisto delle aree, nonchè all'approvazione dei progetti, contengono anch'essenotevoli facilitazioni, rispetto alla legge del 9 agosto 1954; per cui si semplificano le procedure e si promuove, con l'assistenza tecnica agli Enti, il migliorame11to edilizio. E tuttavia, anche in questo settore, permangono seri dubbi sulla idoneità ed efficienza delle provvidenze al fine di una rapida e razionale realizzazione del Piano. Basta [16] Biblioteca Gino Bianco I

considerare che bisogna costruire 130 mila aule in dieci anni (oltre le scuole materne, le scuole rurali e gli Istituti universitari\ 300 nuovi istituti professionali, sedi di convitti nazionali e di educandati femminili, ~per rendersi conto del peso che hanno, durante le varie fasi di attuazione, alcuni particolari aspetti del problema (urbanistico, architettohico, tecnico, economico, ecc.). Si comprende come. « non sia ammissibile lasciare nelle mani d'ei singoli Comuni l'illiziativa di studi di distribuzione 'a livello nazionéÌle »; . . e che pertanto « una corretta impostazione del pro~lema ·non poss·a far~i che a livello nazionale e sulle medie nazionali )) (7 ); di qt1i l'esigenza 1i creare un organo centrale con funzioni di studio, di coordinamento· e di regolatrlentazione delle nuove costruzioni. · · · Parte di questo compito potrebbe essere assegnato al Servizio centrale per l'edilizia scolastica, in aggit1nta alle attribuzioni già dette. Per la parte ··esecutivasi potrebbe costituire, alle dipendenze deì Ministero ~ei LL. PP., un'.11.zìendaNazionale per l'Ediliz·ia Scolasu·ca, così come si è fatto ·per le strade (A.N.A.S.). Gli adempimenti esecutivi del Piano dalla nuova proposta di legge ' sono lasciati ancora agli Er1ti obblig~ti, fatta eccezione per i ~muni del Mezzogiorno con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti; per i quali la Cassa, oltre ad assumersi gii oneri finanziari a ct1i i Comuni stessi dovrebbero far fro1ite i11dipe11denza dei mutui contratti, e autorizzata anche a provvedere direttamente alla progettazio11e delle scuole elementari e materne. È senza dubbio 11n lodevole provvedimento questo, di assistere i piccoli Comuni delle così dette aree depresse, che si gioverebbero anche dell'intervento della Cassa per tutti gli aàempimenti necessari p·er la regolarizzazione del mutuo; purtuttavia esso rappresenta un intervento limitato (nel Mezzogiorno la popolazione dei Comuni con meno di 5.000 abitanti costituisce appena il 23,20 per cento della totale) e non giova certo all'unicità- d'indirizzo, indispensabile in una pianificazione di questo tipo, quale si raccomanda per affrontare alle radici un problema che la legislazione precedente non ha potuto risolvere e nemmeno alleviare. (7) Si veda C. Cocchia: « L'edilizia scolastica: aspetti urbanistici », Nord e Sud, Numero 32. f17] Bibliote·ca Gino Bianco

Se alla proposta di legge venissero apportati gli emendamenti che abbiamo illustrati, verrebbe assicurato al piano il seguente funzionamento-: una_.volta deliberato dal Co1?1itatodei·Ministri il programma biennale delle opere predisposto dal Servizio Centrale dell'Edilizia scolastica in conformità dell'elenco dei Comu11i in cui gli edifici si debbono costruire e con i criteri di precedenza e di gradualità specificati, mentre i fondi necessari sono assicurati dal Consorzio di' Credito per l'edz'lizia scolastica, tutti gli altri adempimenti esecutivi verrebbero espletati dall'"'1ziendaNaz-io1ialeper l'Edilizia Scolasti'ca. Con questo sistema non sarebbero rimosse o limitate le competenze dei Ministri della P. I. e dei LL. PP.; anzi verrebbero rafforzate e valoriz.zate. Per garantire gli evidenti vantaggi tecnici ed econon1ici che l"or.dinam~nto emendato offrirebbe, non bisognerebbe lasciar cadere la proposta di stabilite un costo massimo, per aula; da fissare, beninteso, secondo i vari tip~ d~ ~cuola, ed in rapporto alle esigenze dei Comuni, che potrebbero _ç,ss.~~deistinti anche tenendo conto del numero degli abitanti~ .• . ' Occorre, infine, chiarire che con le deliberazioni del Comitate ,dei Min.ist~i, che sostituiscono quelle degli Enti obbligati, sarebbero assegnati a quèsti Enti gli oneri finanziari cedenti, per legge, a loro carico; il che può apparire come uoa limitazione di specifiche attribuzioni delle Giunte e dei Consigli Comunali e Provinciali. In effetti, non è così, perchè, riconosciuta la necessità del servizio dell'edilizia scolastica in tutto il Paese, lo Stato aVoca a sè il compito di provvedervi attraverso il Comitato dei Ministri e secondo norme cl1elasciano agli Enti obbligati alcuni oneri finanziarì, (il che crediamo avvenga anche per altri servizi, per i quali i Comuni e le Provincie sono tenuti ad iscrivere nei loro bilanci contributi obbligatori). Del resto lo schema di legge prevede, come si è detto, l'intervento sostitutivo in caso di ritardo o di rifiuto da parte degli Enti locali. Questo avverrebbe a priori: per tutti (e 110n avrebbe car,attere di sanzione) evitando di incorrere nell'ipotetico provvedimento d'ufficio a carico degli inadempienti. con le conseguenze politiche ed amministrative alle quali si è fatto cenno. Ci ren.diamo conto con1e le esigenze che il Mercato Comune e l'automazione pongono agli operatori economici delle regioni d'Italia più progredite possano far passare in second'ordine, almeno al loro sguardo, quei problemi che altre regioni meno provvedute debbo110ancora risolvere. Non~ [18] Biblioteca Gino Bianco

ha tutti .i torti .l'ing. Mai:tinoli quando sostiene, come recentemente nel Convegno del Mulino,. che nelle scuole professionali non si dovrà ìnse- - g11:areun mestiere, ma ]a .capacità ad apprendere un mestiere: tanto è. ra-· pido, con il ritmo attuale del progresso tecnico. il succedersi delle specializzazioni, per cui quelle che .ora sono indispensabili possono diventarenell'immediato futuro inutili, e l'operaio oggi ricercato corre il risch~o di ~ trovarsi domani disoccupato. Noi abbiamo ancora il problema dell'analfabetismo appunto e dell'evasione scolastica, della care11zadi aule nelle scµole elementaii e delle classi plurime; nelle nostre scarse scuole professionali bisognerà lasciare ancora per. un po' di tempo i torni e le saldatrici, prima di addestrare i giovani ai nuovi processi dell'automazione. · Non siamo affatto insensibili .ai problen1i di fondo sollevati dal piano decennale della scuola; dobbiamo, però, insistere anzitutto su situazioni che possono apparire di dettaglio, ma cl1eper ·noi sono essenziali, e non per noi soltanto, se è vero, come è vero, cl1e i problemi òelie aree depresse .sono problemi dell'Italia tutta. Un'esperienza quasi secolare -ci insegna che proprio l' a.ver trascurato alcuni aspetti del problema dell'edilizia scolastica (specìe in. rapporto agli oneri ed alle iniziative degli ._~ptilocali) ha approfondito ancor più il solco che divide alcune regioni dalle altre; siarrio perciò convinti che questa situazione si aggraverà in avvenire se si continuerà· ad agire seguendo lo stesso sistema. E quando il sen. Zoli esprime l'opinione che basterebbe sostituire alcuni amministratori inadempienti per eliminare gli intralci che ostacolano la regolare attuazione del programma, egli dimostra, ce lo consenta, di essere fuori della realtà non soltanto meridionale, ma di buona parte delle Amministrazioni comu11aìi e dell'ingranaggio burocratico nel quale si dovranno muovere i realizzatori del Piano. Alla scuola occorrono anzitutto gli interventi necessari alla sua vita, poi quelli indispensabili al suo sviluppo. In aléune zone del nostro paese esistono ancora bisogni esse1zz,ialai lla vi:ta della scuola; in altre questa situazione è superata; nuovi problemi di sviluppo, appunto, si presentano oggi, e, ne conveniamo, si fanno anche urgenti e pressanti per i contatti economici e culturali con altre nazioni più progredite. È difficile chiedere a chi si sente il terreno scottare sotto i piedi per le gravi situazioni che matureranno nel prossimo avvenire comprensione ed aiuto per i bisogni di altri; ma è lecito esigere dallo Stato una politica scolastica che segua criteri di giustizia distributiva, nelrinteresse di tutto il Paese e della stessa [19] Biblioteca Gino Bianco

Comunità europea, nel cui ciclo produttivo bisogna inserire, dopo averle addestrate, le masse di mano d'opera disoccupata o sottoccupata dellé aree depresse, la sola riserva della forza ài lavoro europea. E qui ha ragione l'on. La Malfa _quando insiste nel chiedere un rapporto sulle condizioni della scuola, per conoscere esattamente il suo attuale stato, perchè solo così gli interventi potranno essere regolati in relazione ai bisogni. Non vogliamo dire che 110n si sia fatto nulla per la scuola in questo dopoguerra. Vogliamo magari concedere che si è fatto parecchio, tenendo conto dei mezzi e degli strumenti a disposizione. Ma, anche a voler dare il giusto merito a coloro che si sono preoccupati di adoperare queste scarse possibilità nel modo migliore, non riteniamo che, per quanto riguarda la edilizia scolastica nel Mezzogiorno, ci si possa dichiarare del tutto· soddisfatti; e meno che mai ci si può dichiarare soddisfatti proprio quanto al modo con cui si è cercato di affrontare l'annoso problerna. Come si è detto, il legislatore ha sempre calcato la vecchia via. E anche oggi, che c'è una impegnativa assunzione di responsabilità da parte del Governo, il rischio . . che si corre è ancora quello che il legislatore torni ~ battere, a calcàre la veccl1ia via, solo di poco correggendo l'errore che l'esperienza ha chiaramente illuminato. È in questo spirito che abbiamo suggerito gli emendamenti illustrati in qt1esto articolo. [20] Biblioteca Gino Bianco

Appunti sulla crisi francese di Vittorio de Caprariis La crisi violenta, che, tra il maggio e il giugno di quest'anno, ha portato alla fine della Quarta Repubblica, ha fatto sorgere preoccupazioni ed allarmi in tutti i circoli politici, ha suscitato molte nobilissime proteste, ma non sembra aver provocato analisi critiche approfondite e valide. Il ricordo terribile di un altro giugno .. del giugno 1940, e quello dell'instaurazion~. della dittatura in Italia si congiungevano per sollecitare il riflesso. antifascista, l'istinto repubblicano, il sentimento che si fosse a una svolta fatale e che, pertanto, convenisse adottare i partiti estremi, anche il fronte popolare, anche la guerra civile, per scongiurare il pericolo, o almeno per morire dopo aver salvata, col sacrificio, l'anima. Allora, come nel '22, un regime criticato e criticabile, ma che garantiva le libertà fondament_ali, era stato travolto da una minoranza che aveva portato al governo del paese un eroe salvatore; allora, come nel '40, sotto la pressione di forze esterne il Parlamento era stato costretto ad investire e a dare poteri eccezionali ad un uomo che si sapeva avversario del sistema. Certo, v'erano delle differenze e v'erano dei particolari conturbanti, che contribuivano a rendere più difficile l'intelligenza della situazione: De Gaulle non er~ stato il suscitatore principale della lotta contro Vichy e della Resistenza contro i tedeschi, il restat1ratore della Repubblica? E tuttavia notì faceva adesso figura di chi è p<:Jrtatoal potere da una trista consorteria che ave~a giurato a se stessa di vedere la fine della Repubblica? E perchè la Francia dell'89 e del '93, del 1848 e della Comune, la Francia dei grandi, generosi soprassalti d'energia, non s'era moss3:, aveva atteso, immobile e quasi i11differente, che lo strano gioco avesse termine? << Le peuple fra~çais ~'a pas vot1lu de la guerre civile... Je dirai, quant à mai, heureusement qu'elle , [21] Biblioteca Gino Bianco •

fut évitée, non seulement parce que nous l'aurìons perdue ... )> : sono, parole che Jean-Marie Domenach ha scritto in Espri·t (settembre 1958), in un articolo che dava conto della sua opposizione a De Gaulle e della decisione sua e dei suoi amici di rispondere non al referendum. Lasciamo pure da parte la contraddizione di Domenach, il quale si compiace che la Francia abbia evitata la guerra civile e insieme sembra annunciarla per la prossima volta, e accettiamo la sua testimonianza, per quello che e·ssa è: la testimonianza di un aspro avversario della Quarta Repubblica, sempre pronto alla critica acerba e moralistica. Il popolo francese non s'è battuto perchè sentiva che la battaglia era inutile; e, perciò quando De Gaulle ha promesso di rispettare le libertà repubblicane gli si è consegnato: << il popolo di P.arigi era ben felice di marciare in onore della Repubblica - doveva dire J ules Moch al corrispondente del Reporter (26 giugno 1958) ~ ma non pensava realmente che avrebbe dovuto difendere la Repubblica stessa dal fascismo. E -ciò prova il suo buon senso; esso sapeva benissimo che De. Gaulle non è un fascista>>. Ma, incalza Piovene (Tempo Presente, sett.-ott. 1958), << le libertà affidate ad un uomo,. che, volendo, potrebbe toglierle (senza contare quelle già effettivamente tolte) sono già perdute in noi>>. La resa dei francesi a De Gaulle, che i risultati del referendum hanno sol? mostrata con più evidenza ( << non mi stupisce - è sempre Piovene che scrive - 1'80 % di sì nella Francia metropolitana>>), c'era già nel momento in cui essi non avevano impugnato le armi per difendere la Repubblica. Il silenzio della Francia nel maggio 1958 richiama alla mente il silenzio che tenne dietro alla sconfitta del 40: 1 atonia morale del popolo salda il circolo di ferro dell'avvento della dittatura. L'esercito che si ribella e si costituisce in corpo di pretoriani che .vuole eleggere ed elegge l'imperatore; l'uomo della1 provvidenza; la nuova 9iovanna d'Arco, portato al potere da esigue minoranze di destra nel più autentico stile napoleonico e mussoliniano e che nello stesso stile si fa plebis,citare; la più parte della stampa che diventa conformista e par verificare amcora una volta il ruere in servitium tacitiano. È la Francia del '58, che abbia1no innanzi, o quella del '40 o addirittura l'Italia del 1925? Eppt1re c'è qualcosa che non funziona nel gioco delle analogie, nelle deduzioni che da esse si traggono e nella congiunta indignazione m.Òrale. Vi sono giudizi che paiono approssimativi; v~è un troppo frettoloso correre a conclusioni che un'analisi critica più approfondita degli avveni- .. [22] Biblioteca Gino Bianco

menti e del-le forze che parteciparono ad essi non sembra giustifi~are. Ad es., e \il punto è come vedremo di primaria importanza, si da troppo facilmente per naturale, ovvia, scontata, fermissima, la collusione dell'esercito con taluni movimenti dell'estrema destra antirepubblicana, mentre quella collusione vi fu assai meno di quanto si sia sospettato. La cronaca vigorosa e commossa di Michele Tito (si veda Nord e Sud dell'ottobre 1958) mostra, con l'evidenza del racconto sofferto giorno dopo giorno, come cio sia vero, come l'intreccio fosse assai più complesso delle facili semplificazioni a priori, come il gioco delle parti fosse assai meno orche-. strato di qt1el che si sarebbe tentati di credere. La verità è che l'esercito francese non è t1na ·legione di pretoriani ed anzi, per incredibile che ciò possa sembrare agli amatori dei clichés, pronti a citare il boulangismo .e I'aff aire Dreyfus, ha, proprio in materia di politica coloniale, una tradizione assai nobile e per certi versi più progressista di molto pensiero progressista <\ civile >>. Non. s'intende l'atteggiamento dell'esercito d'Algeria se non si pone mente a questa tradizione, cominciatasi a creare già nei primi anni del Secondo Impero e che raggiunge i suoi pu11ti più alti durante lJ Terza Repubblica. Appunto dopo la sconfitta del '70, quando la classe dirigente francese inizia una politica di raccoglimento, quando la ligne bleue des Vosges comincia ad apparire irraggiungibile e il desiderio <;içllarivincita si attutisce nel cuore di tutti, quando sembra scomparire una vera e propria missione militare e il destino dell'esercito par ridotto alla tutela di una certa struttura sociale, la parte migliQre dei qt1adri si ribella a questa prospettiva e imbocca la strada che Faidherbe aveva indicata con l'esempio qualche decennio prima: nell' azio11e coloniale consiste il nuovo << role social de l'officier dans le service militaire ~iversel >> scriveva alla fine del secolo l'allora capitano Lyautey. · Faidherbe, un polytéch11i·cien riservato ed attento,. uno di quegli: uomini cl1e non ricevono da altri la loro vocazione ma guadagnano la loro parte di grandezza al prezzo tutto moderno dello studio e dell'applicazione; aveva rotto con la tradizione della conquista militare vecchio stile, coi sistemi da pacha révolté dei l}ugeaud, che avevano suscitato la giusta indignazione di un Tocqueville, e aveva inaugurato un metodo nuovo. Egli riuscì un colonizzatore di clas_seperchè· acquistò una conoscenza formidabile della regione, della quale era governatore, della geografia fisica di essa e di quella uma11a ecl economica, perchè volle [23] .Biblioteca Gino Bianco.

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