" fronto le sole regioni settentrionali. In queste le attività primarie occupa- \1ano nel 1951 soltanto il 33% delila popolazione attiva contro il 42% del 1936; le industrie, invece, ìl 40,3% di essa contro il 34,8% del 1936; e i trasporti ed altre- attività terziarie il 26,7°/4 contro il 23,2°/4 del 1936. La situazione meridionale è stata inoltre sempre aggravata dal fatto che le medie sopra riferite derivano da diversità regionali assai gravi. Già nel 1876 da una statistica relativa al numero degli operai addetti alle principali industrie risultava che per ogni 1.000 abitanti erano occupati in tale settore: 0,6 in Abruzzi e Molise, 10,1 in Campania, 1,5 in Puglia, 0,2 in Basilicata, 3,4 in Calabria; contro una media italiana del1 13,6 per mille. La Campania era cioè nettamente all'avanguardia delle regioni meridionali, e anzi non troppo lontana nemmeno dalla n1edia italiana. Nei decenni che seguirono i progressi non furono pochi, ma nessuna delle regioni meridionali ne realizzò tanti da poter tener dietro all1 e regioni settentrionali e neppure a quelle centrali del Paese. Sessant'anni dopo, al censimento industriale del 1937-40, il nu- ,mero degli addetti ad esercizi industriali per ogni 1.000 abitanti in età da 15 a 61 anni era nella media italiana di 122,2 ed in ciascuna regione meridionale di: 42,8 in Abruzzi e Molise, 73,2 in Campania, 57,S in Puglia 24,4 in Basilicata, 33,8 in Calabria. Come si vede, la Campania restava la regione più industriale deLMeridione, ·ma dietro di essa la situazione cambiava notevolmente. Ancora una volta la Puglia superava le altre regioni meridionali, ponendosi al secondo posto fra esse; ed un sensibile progresso compivano anche gli Abruzzi. Ma la Calabria regrediva·- dal punto di vista relativo - in misura non trascurabile; e la Basilicata restava ferma alla sua bassissima proporzione di occupazione industriale (un quinto della media italiana). Tutto questo, na- [82] Biblioteca Gino Bianco
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