Nord e Sud - anno V - n. 48 - novembre 1958

i versi posti in limine, che spiegano il titolo 'del romanzo e suggeriscono immediatamente il tono nel quale uomini cose avvenimenti si muoveranno. Lo scrittore non sarà direttamente impegnato, non dovrà dividere i reprobi dagli eletti, non dovrà parteggiare, insomma, nella vicenda narrata. Ci saranno sì degli avvenimenti reali, storici - la caduta del regno borbonico nel Sud d'Italia, il sorgere del brigantaggio - ma saranno avvolti in una atmosfera favolosa, dove vinti e vincitori parlano lo stesso linguaggio, dove il militare da una parte o dall'altra sembra quasi trascendere le volontà dei singoli. E non significa ciò qualunquistica spoliticizzazione; al contrario, è affettuosa adesione dello scrittore alle ragioni di tutti i suoi personagi, soprattutto a quelle dei << vinti », contadini « borbonici» per generosità, per dabbenaggine, per disperazione. In un'opera siffatta la vicenda finisce per occupare un posto molto marginale, e quando si è detto che tratta degli echi molisani degli anni '59 e '60, davvero si è detto tutto. Non vi è un protagonista - sarà lo scalcagnato prete ·Don Matteo, sarà il contadino e poi brigante Pietro, sarà la scialba e poi appassionata Antonietta, o saranno i tanti, non meno vivi, 4: minori » che affollano queste pagine? Non vi sono « fatti » più o meno importanti, anche se nell'ultima parte del romanzo il darsi alla macchia del contadino Pietro sembra assorbire ogni attenzione dell'autore. Vi è solo una folta, drammatica, comica, elegiaca presenza di contadini e preti, galantuomini e signori, borbonici e liberali; e vivono tutti delle vicende più grandi di loro, quelle del '60 nel Sud d'Italia. Pur essendo personalissimo il ritmo e il tono con cui Jovine fa muovere tutti i suoi personaggi ~gevolmente si sono potuti indicare gli autori e le opere che hanno alimentato la sua fantasia: Nievo, per il cucinone di casa De Risio; Manzoni, per l'improvvida ubbriacatura che don Matteo si prende all'osteria; si può aggiungere l'Alvaro della Gente in Aspromonte per l'atmosfera mitica e favolosa. Ma tutto ciò aiuta ad individuare l'arte di Jovine in questo romanzo, non a ridurne i meriti. Egli è riuscito, cioè, a far rifluire in una sintesi unitaria elementi così vari e talvolta eterogenei. E tutto ciò prova, per noi ancora una volta, in modo inoppugnabile, la « letterarietà » della sua ispirazione. L'abbiamo detto, la felicità della Signora Ava è tutta nel suo tono, e tono quasi sempre significa stile. « La terra intanto, sotto la pioggia e la nebbia, riposava quietamente; i contadini l'avevano abbandonata al suo riposo. Così, nera, fumigante di vapori, era misteriosa e diabolica. Il ·seme gettato nel suo grembo germinava segretamente secondo una legge che nessuno poteva coµiprendere. Solo quando le prime foglie tenerissime avevano compiuto il prodigio di aprirsi un varco tra le zolle, tutto si faceva chiaro. Allora interveniva l'idea di Dio; il crescere, il verzicare avvenivano nella luce, nel regno delle cose evidenti, che la ragione raggiungeva. Per le piante e il grano cresciuti si potevano invocare i santi, scongiurare con preghiere il fulmine e la grandine, ma la vita segreta sulla terra sfuggiva ai certi poteri del cielo: non si poteva influire su di lei come sul ventre gravido delle donne che con gesti di oscura magìa » (p. '103). È un brano che, a non voler fare esempi [127] BibliotecaGino Bianco

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