latrice, dell'Italia contemporanea è eccesso di fede. Basterebbe porre una sola domanda al critico francese che si dimostra così preciso nella documentazione, oltre che nei giudizi: come giustificare l' altissimo livello di opere come quelle di Giorgio Bassani o dell'ultimo Cassola (quello qel Soldato, ad esempio) nate al di fuori del neorealismo, ed anzi tanto più urnaFRANCESCOlov1NE: Signora Ava, Einaudi, Torino, 1958. Questa opportuna ristampa viene ad avvivare una delle più morte annate della narrativa italiana dal dopoguerra in poi, e dà l'occasione a un rinnovato giudizio sull'arte di Francesco lovine. La sua improvvisa e immatura scomparsa creò infatti un clima un po' artificioso di compianto e di benevolenza, che avviluppò l'ultimo suo romanzo, Le terre del Sacramento, e suscitò su di esso una serie di valutazioni, tutte, più o meno, soggiogate dal mito, alquanto romantico, dell' « ultima fatica dello scrittore». La rilettura della Signora Ava, mostrandoci a distanza di 16 anni - uscì per la prima volta nel 1942 - tutta la sua validità e vitalità, contribuisce, a nostro avviso~ in modo decisivo a sfatarlo: ha tutti i titoli, insomma, per essere essa la migliore cosa di !ovine. Abbinandola con Le terre del Sacramento, che costituirebbero, per molti autorevoli critici, addirittura uno « sviluppo » e un « progresso », la si sacrifica. Nulla qui di quei vistosi difetti delle Terre: sciatteria stilistica - ed è questo ne, tanto più indicative, tanto più purificatrici di quelle dei tardi epigoni ·di Pavese e di Vittorini? Non è una domanda retorica. È l'esempio di quella dialettica perenne dei generi e delle correnti letterarie che talora molti critici, anche i più avvertiti, come il Fernandez, dimenticano, nella foga di certe scoperte e di certi entusiasmi di neofiti. ALBERTOSENSINI forse l'unico difetto giustificabile, dato che Iovine non potè rivederne le bozze, e . Iovine era uno scrittore che raggiungeva la forma felice a furia di limare -; tono populistico sempre pi_ù scoperto e programmatico, a mano a mano che ci si avvicinava al coreografico finale con contadini e fascisti che battagliavano. E inoltre una gamma di tropi del romanzo feuilleiton e del bozzetto veristico: l'aristocratica che ama per un'ora il bel proletario, la verbosa generosità inconcludente dei galantuomini << progressisti », e così via. Ma sopratutto, se Le terre del Sacramento, pur con tutti questi visibilissimi nei, riuscivano a darci un quadro sufficientemente vivo della provincia molisana alla vigilia dell'avvento del fascismo, laddove il libro falliva· del tutto, ed era il suo intento principale, era nella rappresentazione della dinamica dei sentimenti e delle cose, per cui, più che di presenza della storia, era da parlare di mera successione di fatti, più o meno plausibile. Un piano volutamente diverso è quello della Signora Ava. « O riempo da Gnora Ava - nu viecchio imperatore - a morte condannava - chi faceva a'mmore »: sono [126] BibliotecaGino Bianco I
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