la cui esperienza è stata tutta dominata dal disperato compito di << stabilire una impossibile armonia fra la vita soggettiva e il mondo esteriore >>;o di Vittorini, cantore dell' << uomo puro>>, o infine di Pratolini, sommesso cronista dell'uomo nella sua società, il Fernandez traccia un quadro della nuova narrativa italiana, affettuoso e caldo, ,n1a pur tuttavia lacunoso e parziale. Legato allo schen1a della << rinascita » delle nostre lettere e della nostra cultura dopo il ventennio fascista, il Fernandez, come tanti altri critici che fanno del 1945 l'anno di nascita della nuova epoca d'oro dell'intelligenza nostrana, ha dimenticato i profondi legami che riannodano questa cultura a quella vecchia, viva e vitale an-- che nella morta società del ventennio. I nomi di Al varo, di Branca ti, di Bilenchi, dovrebbero bastare ad abbattere una volta per tutte questo mito della << rinascita dalle ceneri >>,un mito che rischia di creare una frattura artificiosa fra diverse generazioni, che pur hanno lavorato nel senso di una direzione con1une, sia pure con altri e diversi strumenti. Legato al marxisn10 generico e retorico della << letteratura sociale », il Fernandez, che pure riconosce più volte gli errori dello zdanovismo e dell'estetica stalinista, cede più d'una volta al facile esercizio della catalogazione: e nelle sue pa- . ' . g1ne, pur cosi acute e penetranti, stonano le generiche etichette di << àrte borghese ; e << arte purificatrice >>, disperata la prima, esaltata la seconda. « La nuova cultura ha preso in Italia», egli afferma a conclusione del suo saggio, << l'aspetto di un'opera di redenzione, attraverso l'opera d'arte, dal dolore del mondo offeso: e attraverso questo carattere di redenzione ha I reso all'arte la sua dignità di forza purificatrice, di catarsi collettiva per il genere umano». Nulla più che questo epilogo, vagamente retorico e magniloquente, può rendere il tono di questo saggio, che pure illumina molto bene certi aspetti del mondo moraviano e pavesiano. Ma, là dove il profilo critico o meglio l'analisi dell'opera cede il passo ad una visione d'insieme, la tesi prende il sopravvento e la pagina si piega nei limiti di una costruzione prefabbricata, talora scarsamente rispondente alla realtà delle cose. Un'analisi e una tesi di fondo come queste esposte dal Fernandez sarebbero state più accettabili ieri che oggi, quando da molte parti è stato redatto il certificato di morte del neorealismo come corrente e quando si è esaurita da tempo quella vena che è stata per anni la collana vittoriniana dei Gettoni dell'editore Einaudi. Oggi molte opere e la stessa estetica del neorealismo (se mai il neoreJtlismo ne ha avuta una, unitaria e cosciente) sembrano cadute negli anni passati; hanno avuto una loro funzione, una funzione dialettica contro certo calligrafismo del ventennio; hanno ridato per una breve stagione sangue e calore alla narrativa; hanno permesso la formazione di nuovi talenti, poi sviluppatisi in altre direzioni (l'esempio di Calvino è in questo senso probante); hanno, in una parola, segnato gli anni della ripresa in Italia. ~a parlare di « nuova cultura» come fa Fernaridez, e dare al neorealismo la veste di una totale « concezione del mondo », e vedere in esso la vera parola nuova, riv~- (125] Biblioteca Gino Bianco
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