Nord e Sud - anno V - n. 48 - novembre 1958

si pensi alla poetica di Alvaro, alle antitesi che la distinguono dandole una fisionomia tanto singolare nella letteratura di questi ultimi decenni (17 ). E di questo andare, che non può non sembrargli ramingo, di questo abbandono che egli sente doloroso, lo scrittore comprende la necessità, nè può tacere che esso finisce per divenire una prepotente forza evolutiva per l'economia e la trasformazione radicale di tutte le strutture sociali della sua terra. Ma se nella introduzione all'antologia di Falqui, egli si lascia trasportare da una trasognata adesione sentimentale agli incanti più sottili di una terra che conosce la sua infanzia, e l'atteggiamento è pienamente accettabile nella rigorosità della sua ispirazione poetica (e del resto lo scritto fu redatto, per la prima volta, in molti anni prima della guerra), più di recente, in questa sua opera postuma, la prevalenza di ragioni critiche fa sì che il tema della «fuga >> ritorni nella sua essenziale problematicità, nei suoi limiti di fenomeno economico, approfondito e studiato in funzione di una società che cerca un suo punto di fusione e assieme una via per la sua disponibilità di energie. (18 ) Ma, a nostro parere, non sempre i motivi di questa indagine riescono a manifestarsi in forme compiute, chè su di essi prevale sovente la denuncia, la trasposizione lirica delle diagnosi tradizionali al pensiero meri- (17) E su questo vedi ampiamente il saggio di A. Palermo (La Calabria di Alvaro), in Nord e Sud n. 14 p. 110 ss. (18) Ma il superamento critico non cancella, anzi acuisce la nostalgia per qualcosa di irrimediabilmente perduto; il tema della «fuga» si ripresenta allora come la più sofferta esperienza dello scrittore: un legame tanto più difficile a sciogliere se ci riporta ad un mondo scomparso: « E noi andiamo contando, nei nostri viaggi, i beni di cui disponiamo, le piccole case che paiono felici, i paesaggi che hanno consolato molti prima di noi. Fuggiamo d~ luogo a luogo cercando un'intimità che non troviamo, perchè questo non è più il nostro mondo; è il mondo dei nostri padri, pieno dei loro ricordi e del loro senso della vita. Che non è più il nostro. La guerra, strappandoci dalle nostre case, sbattendoci in fuga o alla ricerca di alimenti o perseguitati dal nemico ci ha ricondotti a una primitiva attitudine di migratori. E irragionevolmente seguitiamo. Nulla ci spinge ci caccia o ci perseguita. Ma noi fuggiamo. Ci affacciamo un istante sulla vita tranquilla di gente che non si muoverà mai, che non fuggirà mai, e questo ci spaveµta, temiamo di restarne prigionieri. E fuggiamo rimpiangendo quell'angolo della terra» (« Un treno nel Sud», p. 50). [103] Biblioteca Gino ■ 1anco

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